Un evento da ricordare

 

PERCHÈ RICORDARE UN EVENTO

IMPORTANTE COME LEZIONE DI VITA

La doverosa considerazione di chi si presta per curarci non solo in casodi calamità, ma anche nella più normale quotidianità del loro esercizio 

di Ernesto Bodini

Nei miei ricordi di (ex) paziente Covid-19 ma anche in qualità di divulgatore scientifico, con parentesi di libero e democratico commento, mi sento in dovere di rievocare brevemente quel lungo periodo che potrei definire “Annus Horribilis”, a causa dell’intrusione di un nemico che si è indebitamente appropriato della nostra salute e della nostra vita: il Coronavirus. Fece la sua prima comparsa in Lombardia e fu individuato dalla anestesista Annalisa Malara (classe 1982 – nella foto), avendo sottoposto a tampone molecolare quello che è stato individuato in Italia il paziente “1” (e come tale primo certificato in Europa), Mattia Maestri, un 38enne ricoverato per una violenta polmonite bilaterale con diagnosi certa di Covid-19: correva il giorno 20 febbraio 2020. Questa dottoressa, intraprendente e lungimirante, è passata alla storia con umiltà come si conviene in chi esercita la professione medica per scelta e convinzione. In seguito le fu chiesto come intuì quella che sarebbe stata la più grave infezione, avendo constatato che per la prima volta farmaci e cure risultavano inefficaci su una polmonite apparentemente banale; dopo l’esame del tampone molecoare ne intuì la gravità e ne dispose il ricovero immediato, sotto la sua responsabilità in quanto i protocolli italiani non lo giustificavano. È inutile dire che rischiò il contagio. Da qui ebbe iniziò l’odissea con la prima “zona rossa” creata intorno a Codogno e altri dieci Comuni il successivo 23 febbraio, con la presenza di militari a presidiare i confini; serpeggiava la paura di fronte ad un nemico sconosciuto. Dopo i primi due anni, il continuo verificarsi di casi, la dott.ssa Malara e altri colleghi al seguito sono stati considerati “eroi”… ma  ciò stava diventando una realtà quotidiana per chi quel lavoro lo esercitava con senso del dovere e abnegazione nella sanità, che non dovrebbe mai venir meno, compresa l’attenzione e il rispetto da parte di tutti noi. Da quel giorno l’impegno della dott.ssa Malara e di tanti altri colleghi su questo versante è quindi continuato negli anni successivi, durante i quali si sono verificati ovunque molti altri casi, in parte guariti e in parte deceduti; poi, con la realizzazione del vaccino l’ondata si è sensibilmente ridimensionata, sia pur tra polemiche e contestazioni… e anche con conseguenze per diversi pazienti; ma ciò che è rimasto inalterato è il notevole impegno di tutti gli operatori sanitari, un corpus che a mio dire si è abusato definendoli “eroi”, primo perché il vero eroismo ha un’altra concezione e secondo perché terminata la pandemia medici e infermieri sono tornati nella “normalità” che corrisponde all’ipocrisia date le difficoltà create dal SSN, come se si è professionisti e professionali solo nelle gravi emergenze. Medici come la dott.ssa Malara e infermieri (oss compresi) che hanno dimostrato quanto di meglio hanno saputo e potuto fare, hanno rappresentato la Sanità non solo come doveva essere ma anche deve continuare ad essere: testimoni il loro operato ad oltranza e i tanti pazienti curati.Quindi ripeto, non eroi, ma professionsiti da continuare a considerare e rispettare, cercando nel contempo un’alleanza per difendere la loro dignità, la loro incolumità e il loro posto di lavoro: ne va della salute e della vita di tutti noi! Per concludere utili sarebbero, a mio avviso, incontri pubblici (ma non di piazza) per far meglio conoscere potenzialità, limiti e responsabilità della Medicina il cui compito di esercizio è affidato a loro, ma anche al buon senso civico di chi amministra, e di tutti noi: aggredirli non solo è reato ma compromette l’esito di una diagnosi e di una cura.

 di una cura.

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