Infermieri al bivio?

 

LA CATEGORIA DEGLI INFERMIERI AL BIVIO? Per superare la cronica carenza occorrono iniziative programmatiche e strutturali: non solo per garantire assistenza ma anche per un “ritorno” alla considerazione di una professione di valenza pari a quella del medico. Utile sarebbe anche rievocare le origini di questa nobile professione. 

di Ernesto Bodini 

Se la Sanità pubblica non è ancora giunta al ”capolinea” dal punto di vista delle garanzie e della continuità, lo si deve in gran parte non solo al fatto oggettivo del diritto alla tutela della salute (art. 32 della Costituzione), ma anche al dovere di molti medici ed altrettanti infermieri. Questi ultimi sono un esercito in decrescita sia in Italia che all’estero tant’è che nel 2020 l’Oms avvertiva che in tutto il mondo mancavano 5,9 milioni di infermieri, quasi un quarto dell’attuale forza lavoro, pari a 28 milioni di persone. Tralasciando la realtà del sottodimensionamento in alcuni Paesi all’estero, la cui carenza va detto che rappresenta una delle più grandi minacce sanitarie, nel nostro Paese la situazione non è meno preoccupante: la carenza di questi professionisti è di almeno 65.000 unità, tant’è che nei prossimi dieci  anni usciranno dalla professione (per raggiunti limiti di età, rispetto al decennio precedente) almeno il quadruplo dei professionisti. Va ricordato che l’Italia è il Paese OCSE' (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) con meno infermieri per 1.000 abitanti: 6,4 contro una media europea di 9,5 ed è fanalino di coda per laureati in infermieristica ogni 100.000 abitanti: solo 17 contro una media di 48. È evidente che senza un intervento strutturale per risalire la china e riequilibrare così gli organici, la carenza continuerà a rappresentare un problema di “vitale” importanza, sia per la stessa categoria che per i cittadini-pazienti… ancorché sempre più anziani e soli. «Le soluzioni strutturali possibili – è quanto sostiene Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – si basano su tre priorità: incremento della base contrattuale e riconoscimento economico e dell’esclusività delle professioni infermieristiche, riconoscimento delle competenze agite; evoluzione del percorso formativo universitario, con le specializzazioni». Secondo la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) le proposte avanzate comprendono alcune modifiche normative, a cominciare dalla Legge 43/2006 che regolamenta le professioni sanitarie e stabilisce un ampliamento delle competenze, prevedendo per gli specialisti una vera e propria laurea magistrale clinica. Di concerto con il Ministero della Salute, il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Consiglio Universitario Nazionale e la Conferenza dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, sono state poste le basi per l’attuazione di una revisione delle Lauree Magistrali con l’individuazione delle prime tre aree di sviluppo specialistico: Cure primarie, Cure pediatriche e neonatali, Cure intensive ed emergenza. È stato rilevato che in Italia, dall’A.A. 2010-2011 la perdita di attrattività della professione legata alla scarsa retribuzione e alla impossibilità di un concreto sviluppo di carriera, ha prodotto una riduzione progressiva della domanda, e ciò a fronte dell’aumento di posti a bando per cercare di contenere la forte carenza infermieristica: 23.627 candidati per 20.337 posti a disposizione, giungendo a 1,2 domade per posto, con Regioni (soprattutto al nord) che registrano anche meno di una domanda per posto. Incisivo l’intervento di Giovanna Innantuoni, presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, che ha precisato: «Bisogna cambiare  il sentimento della professione infermieristica, che è passione, cura ma soprattutto professione sempre più moderna. Non si può parlare di ospedale del futuro senza riconoscere la professione infermierisitica come parte fondante… Il nuovo disegno del Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia non deve essere un nuovo colpo alle professioni sanitarie, per sminuirle. Lavoriamo quindi insieme affinché questa professione venga riconosciuta per quella che è, affinché intercetti i giovani, ma anche le scelte della politica e dei finanziamenti».

Questi ed altri interventi ripresi nel corso della Giornata Nazionale del personale sanitario e sociosanitario, del personale assistenziale, socioassistenziale e del volontariato, manifestazione del 20 febbraio scorso, per dare un segnale esteso alle problematiche della categoria, alla quale è intervenuto il ministro della Salute Orazio Schillaci alla presenza di oltre 800 professionisti del settore Sanitario, oltre ai referenti di tutte le Federazioni e dei Consigli Nazionali delle professioni. «Abbiamo bisogno di lavorare sulle professioni che rappresentiamo – ha detto nel suo intervento la presidente Mangiacavalli –, sulla nostra formazione accademica, innanzitutto, che si traduce in un percorso di carriera ed economico. Il nostro SSN è preziosissimo, ma c’è bisogno di una manutenzione straordinaria, di pensare a nuovi modelli, a nuove modalità per affrontare le sfide che abbiamo di fronte come Paese e come professionisti. Abbiamo inoltre bisogno dell’innovazione tecnologica e dei processi organizzativi e assistenziali (che peraltro saranno i tempi al centro del Terzo Congresso Nazionale della Federazione in programma a Rimini nel mese di marzo). Noi infermieri siamo un elemento chiave su cui intervenire, perché valorizzare le professioni infermieristiche significa garantire al Paese anche il contributo che queste figure possono, devono e voglionio dare… il tutto in una logica sempre più multiprofessionale, multidisciplinare e di lavoro di équipe con un sforzo comune che va oltre gli steccati professionali».

Per dovere mi corre l’obbligo rammentare la significativa opera di particolare dedizione degli infermieri durante la pandemia da Covid-19, causando alla categoria a livello mondiale, un danno senza precedenti. Anche queste figure dai camici sempre in ordine e solitamente dalla parola rassicurante, sin dall’inizio si sono prodigate sul fronte della pandemia e a tutt’oggi nel nostro Paese sono ben 12.000 quelli contagiati dal Coronavirus, 39 i deceduti di cui 4 si sono tolti la vita. Professionisti sul campo di battaglia per una buona parte dei quali privi di quelle più semplici protezioni che chi di dovere dovrebbe garantire, e proprio su mascherine e prodotti igienizzanti le speculazioni da parte di persone senza scrupoli continuano senza sosta… e non c’è Codice penale che tenga, sic! Ecco che questi “soldati dell’assistenza tout court” sprezzanti del pericolo quotidiano, pur avendo anch’essi una famiglia, possono contare non solo sull’accostamento dei medici ma anche sulla propria totale dedizione che, in questa circostanza, va ben al di là del ruolo e dell’etica professionale; tant’è che il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, li ha definiti la «spina dorsale di qualsiasi sistema sanitario». Pandemia a parte, la gente ha bisogno di infermieri, in tutto il mondo, sempre, altrimenti ci saranno sofferenze, morti e costi sanitari più alti. Forse, come ulteriore contributo all’informazione pubblica sarebbe utile dedicare un convegno rievocando le origini di questa professione, ben rappresentata da Florence Nightingale (1820-1910 – nella foto), esempio di particolare dedizione e lungimiranza considerando i tempi in cui ha vissuto e per quanto ha saputo donarsi. Non di meno valore le colleghe statunitensi Virginia Handerson (1897-1996), Hildegard Elizabeth Peplau (1909-1999) e Martha Elizabeth Rogers (1914-1994).

 Rogers (1914-1994).

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