Brevi e libere considerazioni...

 

BREVI E LIBERE CONSIDERAZIONI SULLE CAUSE DEI

DECESSI DEI MEDICI IN EPOCA PANDEMIA DA COVID-19

Non onore al merito ma parità, uguaglianza e giustizia per tutti loro

di Ernesto Bodini

 

In merito al periodo della pandemia da Covid-19, anche se i riflettori tendono a spegnersi, di tanto in tanto c’è ancora qualche strascico di notizia che fa discutere. Una di queste riguarda il diritto all’indennizzo (ipotetico o riconosciuto) ai medici che hanno perso la vita durante la loro funzione, ossia mentre svolgevano l’attività medica nei confronti dei propri pazienti. Pur non entrando in merito ai rapporti contrattuali tra il medico e il rispettivo Ente assicurativo di categoria (Struttura Sanitaria compresa), come pure nell’ambito dei contratti di assicurazioni private, credo che sia doveroso considerare la figura del medico in quanto tale, e il fatto che molti di loro sono deceduti durante la pandemia in funzione della loro attività, merita alcune considerazioni. Anzitutto si rammenti la situazione “imprevista” in cui si sono trovati, ossia dover continuare ad assistere i propri pazienti sin dall’inizio in cui i provvedimenti di tutela erano più o meno improvvisati, o comunque non a regime; inoltre la consistente richiesta di rispondere alle chiamate domiciliari con tempi e precauzioni non del tutto sufficienti come ad esempio la carenza di mascherine, tamponi, etc. Se questa realtà rispecchiava i medici di famiglia, diversa la situazione dei medici ospedalieri le cui rispettive Aziende si sono dotate (lottando contro il tempo) di vari “stratagemmi” di allestimento dei reparti, riconvertendo gli stessi per il ricovero dei pazienti affetti da Covid-19, processo in parte facilitato in quanto coadiuvati da un corpus di infermieri e di Oss, peraltro parte di essi precettati da altre sedi... Ma come sempre, quando un lavoratore muore sul posto di lavoro bisogna fare i conti con il denaro, elemento imprescindibile per liquidare gli eredi se la causa è stata dichiarata come infortunio sul lavoro; mentre pare (secondo alcune fonti giurisprudenziali) che un medico che perde la vita curando pazienti affetti da Covid-19 non rientri nel concetto di infortunio sul lavoro. Questa differenza si direbbe essere una sorta di lana caprina, ma a mio modesto avviso (pur non rivestendo titoli in merito) tale non è proprio perché un evento esterno, come una fonte virale, che colpisce irreversibilmente un lavoratore (medico, infermiere, tecnico e Oss) durante le sue funzioni, credo sia da ritenersi causa diretta e responsabile del danno (decesso in questo caso), e pertanto negare un indennizzo agli eredi è equivalso a veder partire il loro congiuto per il fronte volto a combattere contro il nemico (Sars-Cov-19)… e non fare più ritorno. Ed è inutile dire che, tanto i medici ospedalieri quanto quelli di famiglia e del territorio, per tutto il periodo sono stati esposti al grave rischio infettivo, senza contare l’essere “causa indiretta” di contaminazione nei confronti dei loro famigliari. Personalmente ho vissuto questa esperienza quale paziente ricoverato e curato adeguatamente in ospedale e, senza piaggeria per alcuno e con estrema sincerità, posso dire di aver assistito alcune funzioni organizzative e di gestione nell’approcciare i pazienti; a ciò si aggiunga mai un lamento davanti agli stessi, ma un modo di comunicare e colloquiare cercando di trasfondere ai loro assistiti serenità e speranza. Anche se nel corso di quel periodo medici e infermieri sono stati definiti “eroi” (termine che a mio avviso andrebbe rivisto), in realtà il loro non era eroismo ma l’azione consapevole di dover svolgere una precisa mansione, perché per il medico viene prima il paziente. Ora che la pandemia è praticamente quasi estinta, la categoria dei medici (ma anche degli infermieri) non farebbe più parte di quel “popolare eroismo”, mentre andrebbe sostenuta per le note vicende che sta subendo, specie se all’interno di una funzione pubblica. Quindi, con tutta obiettività, in qualunque circostanza il medico si venga a trovare, gli si deve la massima considerazione non solo da parte dei pazienti, ma anche (se non soprattutto) da chi gestisce la sanità pubblica, ossia quegli amministratori che hanno come primo input il contenimento dei costi a cominciare, ad esempio, dal dedicare il minor tempo possibile anche alle prime visite, per non parlare poi dell’essere più “parsimoniosi” nel prescrivere determinati esami diagnostici strumentali. Per concludere, pur essendo un paziente come tanti (oltre che osservatore e divulgatore di tematiche medico-sanitarie), le mie considerazioni qui esposte non rientrano certo in una sorta di mero campanilismo, ma più semplicemente in quella della obiettività per la quale inviterei gli esecutori della Giurisprudenza del Lavoro, a riconsiderare il problema dei medici che sono deceduti sul campo dopo averci curato, e in molti casi salvato la vita… indipendentemente dalla fonte responsabile del loro decesso. E, a mio parere, anche questa è parità, uguaglianza e giustizia!


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