RIFLETTIAMO
ANCORA INSIEME… ANCHE
SE RICHIEDE UNA PARTICOLARE DEDIZIONE
di Ernesto Bodini
Tutti i giorni i mass media ci “bombardano” di notizie
d’ogni genere, non solo di politica interna e internazionale, sport, spettacolo
e cultura; ma anche di cronaca nera e/o giudiziaria, oltre ad aspetti sociali
che comprendono ogni sorta di disgrazie. In particolare, mi riferisco alle
tante persone che contraggono malattie più o meno rare, e in non pochi casi vanno
incontro a decessi più o meno improvvisi che, mai come in questi ultimi anni,
le vittime sono in gran parte giovani e ancora in età di lavoro e di utilità
sociale. Di fronte a questo specchio di informazione mi chiedo: quanti di noi
si soffermano sia pur brevemente per una riflessione, e magari ponendosi
qualche domanda non per “sostituirci” al destino, ma più semplicemente per le quali
le molteplici cause (ovviamente a parte quelle note) portano via prematuramente
i nostri simili? Ma non solo. Quali deduzioni è possibile fare di fronte a
notizie spesso particolarmente sconvolgenti in quanto l’evento funesto è stato improvviso?
Non vorrei certo cadere nella retorica, ma personalmente ogni volta che mi trovo
di fronte (direttamente o indirettamente) a queste notizie, come ad esempio
quando chi è deceduto è stato colpito da una malattia rara, se non anche di
natura ignota, mi assale una sorta di angoscia che non saprei spiegare, in
seguito alla quale molte domande affollano la mia mente… e non c’è verso di
individuare una benché minima e plausibile risposta; e proprio in assenza di
questa nello stesso tempo mi sovviene quanto sosteneva (lapidariamente) il
filosofo danese Söeren Kierkegaard (1813-1855): «La vita non è un problema da risolvere, ma un mistero da vivere».
Ovviamente questa sua considerazione (o constatazione) inglobava tutto ciò che
lo ha riguardato nel corso della sua breve esistenza, epoca in cui non
esistevano le modernità dovute al progresso, incluse determinate conoscenze,
come ad esempio il vasto arcipelago delle malattie e i relativi sviluppi della
Medicina. Questo autore, da molti considerato il “padre dell’Esistenzialismo”,
ha sofferto prevalentemente a livello interiore (e non credo che allora si
potesse parlare di depressione, probabilmente non se ne conosceva l’esistenza)
anche perché, come sappiamo, ricevette una rigorosa educazione religiosa e,
talmente conscio di tale sofferenza, annullò il suo fidanzamento con la
giovanissima Regine Olsen (1822-1904) per non “condividere” con lei il suo
patema d’animo… In sostanza non voleva ingannare la ragazza, avendo il timore
ossessivo che la maledizione divina potesse gravare anche sulla famiglia che
avrebbe formato insieme a lei, o forse pensava che la serietà della fede
cristiana gli impedisse di "sistemarsi" nei panni di un tranquillo
uomo sposato. Ma a parte questo riferimento storico, che avrebbe pur senso
considerarlo, e tornando ai concetti introduttivi all’articolo, di fronte agli
eventi funesti, specie se improvvisi, quanti di noi sono preparati
psicologicamente e spiritualmente? Non ho certo io la pretesa di approfondire
oltre, ma in questi casi se ci soffermiamo sia pur per un momento emerge
“prepotentemente” il nostro pensiero verso i rapporti umani ed esistenziali
vissuti da queste persone più sfortunate e, se mi si vuol credere, alcuni
attimi di emozione si frappongono fra loro e la nostra coscienza di
sopravvissuti…, ma non di mera pietà perché questa uccide una seconda volta. Di
fronte a realtà come queste solitamente tendiamo tutti ad avere un pensiero di
seppur ideale vicinanza, ma allo stesso tempo tale pensiero ci abbandona quasi
subito per lasciare il posto al nostro, seppur umano, egoismo del diritto di
continuare a vivere… e in salute. Ebbene, con queste riflessioni-considerazioni
non ho voluto ergermi a sociologo, antropologo, filosofo e tanto meno teologo;
ma più semplicemente richiamare l’attenzione (se non disturbo troppo chi legge)
sui valori dell’esistenza umana, con i nostri difetti e i nostri peccati che,
rammento, non saranno mai alienati da una qualunque azione di bene. Ma non per
questo si deve smettere di agire nel bene e per il bene. Vorrei terminare con
la convinzione del sommo filosofo danese, che spero non suoni come un’eresia,
ovvero: “È in questa vita che decidi la
tua eternità».
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