CONTRO LE AGGRESSIONI AI SANITARI

 

AGGRESSIONI AI SANITARI:  UN FENOMENO IN COSTANTE

AUMENTO NONOSTANTE LA LEGGE REPRESSIVA…

Un “vademecum” promosso dalla Regione Piemonte per capire

meglio questa evoluzione e come prevenire gli eventi

di Ernesto Bodini

Vogliamo parlarne ancora? Si, ma di cosa? Delle aggressioni agli operatori pubblici, soprattutto in ambito sanitario, che hanno raggiunto alcune migliaia di casi. Mentre dal punto di vista della repressione con il Decreto-Legge n. 137 dell’1/10/2024 sono state introdotte misure urgenti per contrastare la violenza contro i professionisti del settore sanitario e socio-sanitario, così come i danneggiamenti alle strutture sanitarie. Ma dal punto di vista della prevenzione cosa si sta facendo? Varie le iniziative da parte di alcune ASL Ma secondo una linea comune per affrontare tale rischio interessante è il programma Management delle aggressioni contro gli operatori sanitari, a cura della Regione Piemonte e dell’Asl di Torino, il cui scenario attule si riferisce ad episodi contro il personale sanitario. Infatti, il tasso di incidenza di aggressione è pari a 9,3 per 10.000 contro un valore di 2 per 10.000 nei lavoratori delle industrie del settore privato; un aumento esponenziale soprattutto nei P.S. anche delle Asl piemontesi causando agli operatori lesioni fisiche e danni psicologici, sia individuali che di équipe. Più da vicino,  secondo l’Inail le aggressioni sono in media tre al giorno: nel 2019 le violenze denunciate sono state circa 1.200 di cui 456 hanno riguardato gli operatori del P.S., 400 in corsia e 320 negli ambulatori. Per quanto riguarda l’etimologia per aggressione il termine deriva dal latino aggredior, ossia l’avvicinarsi a qualcuno o qualcosa con azioni benigne od ostili; quindi l’aggressività implicherebbe la violazione dello spazio altrui, mentre violenza significa “che viola” la volontà altrui, da qui l’eventuale conseguenza della frustrazione quale espressione che impedisce un determinato scopo. Quindi, la violenza riguarda tutti quegli atti che umiliano o danneggiano il benessere e la dignità di una persona. Sul posto di lavoro questo atto, che può essere verbale e/o fisico, ma anche psicologico, comprende le molestie (bullismo, mobbing) quali comportamenti fuori da ogni logica razionale e umana rivolte contro un dipendente o un gruppo, oppure contro un superiore e, viceversa, contro un subordinato al fine di intimidire e umiliare. Sono considerati atti di violenza gli insulti, le minacce e qualsiasi forma di aggressione fisica o psicologica tali da mettere a repentaglio la salute, la sicurezza e il benessere della persona. In merito alle aggressioni sul posto di lavoro, un po’ ovunque più di una persona su cinque ha avuto ha subìto violenza e molestie durante l’attività lavorativa. Le aggressioni si dividono in violenza interna e violenza esterna; nel primo caso, che è più frequente, si riferisce alle vessazioni (mobbing); e il mobbing sul posto di lavoro consiste in un comportamento ripetuto, irragionevole, rivolto contro un dipendente o un gruppo di colleghi, tale creare un rischio per la salute e la sicurezza. La violenza esterna comprende insulti, minacce o le forme di aggressione fisica o psicologica praticate sul posto di lavoro da soggetti esterni all’organizzazione e, contestualmente, può esere presente una componente etnica o sessuale. Le persone aggressive o dedite alla violenza possono presentarsi sotto forma di comportamenti incivili (mancanza di rispetto per gli altri), aggressioni fisiche o verbali (con intento lesivo), violenza personale con l’intento di nuocere. Ma perché parlare di violenza? Gli esperti precisano che aggressioni e violenza sono i principali rischi professionali all’interno delle strutture sanitarie che sfociano in due dei fattori più importanti di stress da lavoro correlato, benessere e salute mentale degli operatori, e i costi relativi alla salute mentale sono correlati al lavoro nella misura del 3-4% del prodotto interno lordo (riferimento europeo). Per quanto riguarda la classificazione sul luogo di lavoro, la stessa si divide in quattro tipi, secondo la relazione tra il suo autore  e il luogo di lavoro. 1) Chi perpetra  la violenza non ha legami con il luogo di lavoro o con i lavoratori. 2) Chi perpetra la violenza è un paziente o un visitatore o un fornitore. 3) Chi perpetra la violenza è un lavoratore o un ex lavoratore di quella struttura. 4) Chi perpetra la violenza ha una relazione personale con il lavoratore ma nessun legame con il luogo di lavoro.

Note legislative

Con la Legge n. 4 del 15/1/2021 è stata approvata in italia la Convenzione sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro n. 190 del 21/6/2019 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). La Legge prevede all’art. 5 che l’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro avvenga mediante la prevenzione e la protezione tipici dei sistemi adottati per la gestione della salute e sicurezza negli ambienti e luoghi di lavoro. La Legge n. 4 del 15/1/2021 ha essenzialmente tre  obiettivi con lo scopo indelegabile del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti, e sono: 1) In particolare l’art. 8  della Convenzione 190 stabilisce: “Ciascun membro dovrà assumere misure adeguate atte a prevenire la violenza e le molestie nel mondo del lavoro”. 2) L’identificazione dei settori o delle professioni e delle modalità di lavoro in cui i lavoratori e altri soggetti interessati risultino maggiormente più esposti alla violenza e alle molestie. 3) L’adozione di misure che garantiscano una protezione efficace di tali soggetti. La Raccomandazione n. 8 del novembre 2007 è volta a prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari. È il primo atto italiano di livello governativo in cui si prende atto della alta frequenza di episodi di violenza, verbale e/o fisica, a danno degli operatori sanitari e in cui si danno indicazioni metodologiche ed operative per affrontare il problema. Tale Raccomandazione, che peraltro si rifà ampiamente a quanto elaborato dalla letteratura internazionale, rappresenta un utile e autorevole punto di riferimento, una base su cui elaborare strategie e programmi specificamente adattati al contesto dei Servizi Socio-Sanitari. La Legge n, 113 del 14/8/2020 fa riferimento a Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni. In particolare riguarda la prevenzione delle molestie e violenze. Nel dettaglio: prevede che sia effettuata una valutazione del rischio e l’identificazione di misure di prevenzione; individua percorsi di formazione per tutti i lavoratori esposti al rischio; pene più severe per gli aggressori, fino a 16 anni di reclusione e sanzioni fino a 5.000 euro; procedibilità d’ufficio per i reati di percosse e lesioni quando ricorre l’aggravante di aver agito a danni degli operatori nell’esercizio delle loro funzioni. Il Piano Nazionale  di Prevenzione 2020/2025 alla Linea 3 è prevista l’attivazione di Tavoli tecnici per il rafforzamento della Salute globale del lavoratore secondo l’approccio Total Worker Health; il Macrobiettivo n. 4 include infortuni e incidenti sul lavoro, malattie professionali, e tra i rischi trasversali particolare attenzione va posta al dato delle aggressioni e alle violenze sul luogo di lavoro, in particolare per alcune attività di front-office, quali sanità, istruzione, trasporti, servizi sociali, vigilanza e ispezione. Il Decreto n. 81 del 2008 è relativo al Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, nella fattispecie gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari rappresentano un problema di sicurezza del lavoro che va affrontato secondo quanto previsto dal Dlgs 81 del 9/4/2008 e successive modificazioni integrazioni (“Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro”); il rischio di subire un’aggressione sul post di lavoro va valutato e gestito dalle organizzazioni al pari di qualsiasi altro rischio lavorativo; per tale ragione i “datori di lavoro” sono tenuti a valutare il rischio in relazione al “rischio aggressione” e a predisporre misure di prevenzione. «L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro – è ricordato dagli autori del vademecum – hanno identificato, nell’ambiente di lavoro, molti fattori di carattere psicosociale che possono determinare  un aumento del rischio di eventi violenti. Il modo attraverso cui il lavoro viene organizzato e gestito, le dinamiche relazionali, il sistema di regole, l’accesso alle informazioni, la distribuzione dei compiti e delle responsabilità e la gestione dei conflitti possono avere delle conseguenze sulla salute mentale dei lavoratori, determinare un aumento dei livelli di tensione nei team, portare ad una diminuzione della motivazione e dell’impegno lavorativo, favorire la messa in atto di comportamenti violenti». Il cospicuo lavoro di prevenzione va oltre. È precisato altresì che nel complesso i fattori di rischio lavorativo possono essere suddivisi secondo le caratteristiche considerate in: determinanti strutturali (organizzazione, qualità, comfort fisico degli spazi), e relazionali (atteggiamenti, conflitti, comportamenti incivili, stigmatizzanti e discriminatori, qualità del “clima”, scarsa collaborazione tra i membri, mancata condivisione degli obiettivi, mancata circolazione delle informazioni, etc. I fattori di rischio qualora vengano sottovalutati o non sufficientemente controllati, possono favorire la manifestazione di condotte aggressive e, di conseguenza, danneggiare la creazione di un ambiente basato sul supporto e la cooperazione e diminuire l’attenzione verso gli utenti e la qualità dei servizi erogati. Inoltre, la gestione di un evento aggressivo è influenzata dalla capacità di identificare tempestivamente e rimuovere (quando possibile) i fattori trigger (scatenanti). Il trigger rappresenta quella condizione, elemento, fattore capace di attivare la tensione psicoemotiva che caratterizza l’escalation e che precede l’”attacco”. I fattori scatenanti possono essere classificati in organizzativi, ambientali, relazionali (relazione di cura, relazione nei team) o correlati alle caratteristiche  dell’aggressore. Ogni organizzazione sanitaria viene invitata a creare una cultura della sicurezza e a dotarsi di un sistema integrato di strategie pee la gestione del rischio aggressivo: 1) interventi ambientali; sistemi di allarme, sale colloquio/triage progettate con vetrate antisfondamento che permettano la visibilità verso l’esterno, agenti di sicurezza nelle aree più a rischio, etc. 2) interventi organizzativi/modifiche amministrative: revisione dei processi lavorativi al fine di identificare le situazioni di pericolo e rimuovere le “operazioni”, le condizioni e le procedure che possono rappresentare un rischio (esempio: trasparenza delle liste di attesa), chiarezza dei percorsi di cura, gestione dei tempi di attesa, accessibilità dei servizi, circolarità delle informazioni, etc. 3) Programmi di trattamento e sostegno agli operatori sanitari vittime di violenza: interventi di supporto e solidarietà nell’immediatezza, nel medio e nel lungo termine con sessioni di defusing, debriefing, counselling psicologico e farmacologico, azioni di sostegno della vittima nel disbrigo delle pratiche burocratiche e giurudiche (denunce, azioni legali, etc.), programmi di gestione dello stress emotivo che consentano di rielaborare l’esperienza, acquisire insight significativi e idonee strategie coping. 4) Interventi formativi. La raccomandazione indica le strategie che le Aziende Sanitarie possono mttere in atto per la prevenzione del rischio aggressioni. A cominciare dall’analisi dei processi: individuazione delle criticità e delle aree di miglioramento-revisione degli episodi di violenza segnalati; avvio e gestione di un sistema informativo per la segnalazione ed il monitoraggio degli Eventi Aggressivi, analisi delle condizioni operative  e dell’organizzazione; predisposizione del rapporto annuale sul profilo di rischio aziendale rispetto agli episodi di violenza; condizioni di indagini ad hoc presso il personale; predisposizione del piano di attività per la gestione di tale rischio, sviluppo di procedure e protocolli; formazione specifica rivolta ai cittadini-utenti; approccio sistematico e multidisciplinare.

Formazione del personale sanitario

La formazione del personale sanitario rappresenta una delle strategie prioritarie, finalizzata all’acquisizione di competenze relazionali specifiche nel riconoscere e gestire tempestivamente gli eventi aggressivi: le politiche aziendali, le procedure di segnalazione, le tecniche di de-escalation, le strategie di prevenzione, le tecniche di sostegno verso le vittime, i fattori di rischio, i segnali comportamentali di allarme, le tecniche di gestione dei conflitti e della rabbia… È necessaria una formazione di base, di approfondimento e aggiornamento con sessioni programmate di valutazione e di follow-up. La formazione coinvolge tutti i dipendenti, compresi supervisori, manager e neo assunti. I metodi didattici utilizzati con maggior successo sono quelli che utilizzano metodologie di apprendimento attivo (role playig), lavori di gruppo, simulate, analisi di autocasi, visione di filmati, tenuta di diari, etc., il confronto e la condivisione dei problemi e delle esperienze, lo sviluppo di abilità comunicative, l’elaborazione di nuovi riferimenti teorici. Come già spiegato la violenza in ambito sanitario è considerata come un problema importante, rilevante e diffuso. L’aspetto multidimensionale di tale fenomeno richiede l’adozione di interventi multidisciplinari, differenziati e diversificati. La prevenzione e gestione degli eventi aggressivi, dunque, coinvolge diversi attori (operatori sanitari, dirigenti, formatori, tecnici, etc.) e richiede diversi livelli di intervento. Il livello di intervento definisce gli ambiti di responsabilità dei singoli professionisti, del team, dell’organizzazione… Il management degli eventi aggressivi ha come finalità principali il miglioramento della pratica clinica e l’adozione di strategie relazionali, formative, organizzative ed amministrative che consentano di 1) gestire in sicurezza un evento aggressivo, 2) ridurre le conseguenze finali di un agito violento. Al fine di raggiungere tali obiettivi è importante che le Aziende Sanitarie siano in grado di 1) promuovere una politica di intolleranza verso tutte le forme di violenza, 2) favorire l’adesione a sistemi di reporting ed assicurare un monitoraggio sistematico degli eventi, 3) promuovere una revisione dei processi organizzativi e degli stili relazionali nei luoghi di lavoro, 4) valutare il rischio di violenza nei diversi settori e individuare le azioni di contenimento necessarie, 5) garantire il supporto nel post evento, 6) promuovere percorsi formativi con sessioni di base, rinforzo e follow-up.

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