NEL 120° DELLA
NASCITA E 60° DELLA MORTE DI ALBERT SCHWEITZER
Filosofo, teologo e
medico filantropo all’insegna del “rispetto per la vita”
Le parole
“rispetto” e “pace” come richiamo alle nostre responsabilità
di Ernesto
Bodini
Anche quest’anno è doveroso onorare importanti anniversari, non solo in
quanto biografo ma anche perché ricordare alla collettività personaggi ed
esempi di vita volti al bene comune, si spera siano presi di esempio… giacché
ne abbiamo sempre più bisogno. Più volte ho divulgato la personalità e le opere
di questo benefattore dell’umanità, ma quest’anno merita una rievocazione anche
perché l’Enciclopedia Treccani ha scelto come parola dell’anno “rispetto”, inteso come rispetto verso
gli altri quale primo passo sulla strada per il dialogo, la collaborazione, la
solidarietà rafforzando il concetto di civiltà. Partendo dal conseguente concetto
“vivere e far vivere”, cosa intende,
inoltre, il rispetto per la vita? «Per
far luce su se stessi e sul rapporto con il mondo – sosteneva l’alsaziano
dott. Albert Schweitzer (14/1/1875 - 4/9/1965) – bisogna accantonare le congérie di elementi che costituiscono il nostro
pensiero e cultura, per rifarsi al primo fatto della propria coscienza, il più
immediato, perennemente presente: la volontà di vivere. Solo da qui può
giungere a una visione ragionata del mondo… Affermare la vita è l’atto
spirituale con cui si cessa di lasciarsi vivere e si comincia a dedicarsi alla
propria vita, per elevarla ai suoi massimi valori. Affermare la vita è
approfondire, interiorizzare, esaltare la volontà di vivere… Il rispetto per la
vita, nato nella volontà di vivere, diventa consapevole, contiene strettamente
congiunte l’affermazione del mondo e l’esigenza morale. Essa cerca di creare
valori e realizzare progressi che giovino all’ascesa materiale, spirituale ed
etica del singolo e dell’intera umanità». Fin dai primi anni del secolo
scorso, Schweitzer si dedicò a una lunga ricerca del pensiero etico dei
filosofi degli ultimi decenni, per mettere a fuoco il nostro comportamento nei
confronti del creato e fondare razionalmente il suo concetto di rispetto per la
vita. Mentre Descartes (Cartesio) dice: “Penso, dunque esisto”, ma poi si perde
nell’astratto, Schweitzer, rimanendo sul concreto, afferma: «Io sono la vita che vuole vivere, in mezzo
alla vita che vuole vivere. Bisogna dunque rispettare la vita. L’uomo morale
possiede il coraggio di lasciarsi tacciare di sentimentalismo, ma rispetterà la
vita universalmente». Ossia, l’essere umano può chiamarsi “essere etico”
soltanto se considera sacra la vita in se stessa, sia quella umana che quella
di ogni altra creatura. Il “rispetto per la vita” nel pensiero di Schweitzer
non è una semplice, pur nobile, affermazione di principio, ma una chiave di
volta per la moderna capacità di giudizio del progresso tecnologico e le sfide
culturali che ne derivano. Anzi, tale principio diventa una professione di fede
incrollabile: il sì alla vita diventa etica collettiva. Il suo compito primario
è la realizzazione del progresso e la creazione di quei valori che possano
favorire la crescita materiale, spirituale ed etica del singolo individuo e di
tutta l’umanità. Tale concetto è legato a quello di “moralità” come principio
fondamentale. «Un uomo è veramente morale
– sosteneva – soltanto quando osserva
l’obbligo impostogli di aiutare ogni vita che può assistere e quando si fa
scrupolo di uscire dalla sua strada per evitare di danneggiare un essere
vivente. Non chiede quanta comprensione meriti questa o quella vita a causa del
suo intrinseco valore; neppure chiede di quanta sensibilità sia dotata. Per lui
la vita, come tale è sacra».
LA GUERRA È DISUMANITÀ
Ma con il passare degli anni, dei due conflitti mondiali e relative
conseguenze, Schweitzer constatava che la mancanza di umanità era aumentata
rispetto alle generazioni precedenti, e affermava: »Siamo venuti in possesso di armi nucleari: la possibilità e la
tentazione di distruggere la vita superano ogni limite. Oggi, grazie al
grandioso progresso della tecnica, il destino dell’umanità è segnato dalla
possibilità di un orribile annientamento della vita». E si domandava come
presentare a tutti e in modo nuovo, il problema della pace. Se un tempo si
considerava la guerra un male accettabile, se non addirittura utile per il
progresso umano, almeno dei popoli più forti, dopo i due conflitti mondiali
tale ipotesi era fortemente messa in dubbio. Il dottor Schweitzer non aveva
esitazioni: «È evidente che una guerra
rappresenta una orribile calamità e non bisogna lasciar nulla di intentato pur
di evitarla; e ciò, soprattutto per una ragione etica. Nelle due utime guerre
ci siamo macchiati delle colpe di un’orribile disumanità, e sarebbe ancora
peggio in una guerra futura. Questo non deve avvenire». Un monito caduto
nel nulla: nell’ultimo mezzo secolo le guerre si sono susseguite e
intensificate in tutto il mondo. «Quello
che oggi ci manca – proseguiva il grande pensatore – è riconoscere che siano tutti colpevoli gli uni verso gli altri di atti
disumani. L’orrenda esperienza collettiva, attraverso la quale siamo passati,
deve scuoterci perché la nostra volontà e la nostra speranza siano inpegnate
verso tutto ciò che può portare a un’epoca in cui non vi siano più guerre.
Questa volontà e questa speranza sono possibili solo se, attraverso uno spirito
nuovo, raggiungiamo un’intelligenza superiore, che sia in grado di trattenerci
da un uso infausto delle energie di cui disponiamo». Il suo pensiero non è
nuovo. Quattro secoli prima, nel 1517, Erasmo da Rotterdam (1469-1539) aveva
pubblicato un volume intitolato “Querela
Pacis” (Lamento della Pace), in cui la Pace (retoricamente personificata)
espone al tribunale dell’umanità il suo desolato lamento e chiede di essere
ascoltata. Il grande umanista olandese, per primo, ha osato opporsi alla guerra
con motivazioni puramente etiche, definendola contraria alla natura umana; ma
non ebbe seguaci.
Il suo appello alla pace, come imperativo etico, fu considerato
un’utopia. Nel 1795, Immanuel Kant (1724-1804) pubblicò un’opera dal titolo
significativo: “Per la pace perpetua”;
per realizzarla, suggeriva il filosofo tedesco, c’è bisogno di un’autorità arbitrale,
che abbia l’autorevolezza di dirimere le controversie tra i popoli… Non c’è
dubbio che, nei decenni passati, il filosofo alsaziano ha contribuito allo
sviluppo storico e spirituale del nostro tempo, che ne rispecchia le tendenze,
le speranze, le angosce. Il principio del “rispetto per la vita” è ancora
un’affermazione che obbliga tutti, in qualunque situazione si trovino, a
occuparsi e farsi carico del destino degli esseri umani. Responsabilità che si
traduce in vari modi e vari nomi: non violenza, pacifismo, neutralità, difesa
dei popoli, impegno per la giustizia, salvaguardia del creato. Vorrei
concludere con la seguente osservazione: nel discorso di fine anno del
Presidente della Repubblica, così come il Pontefice all’apertura del Giubileo,
nel menzionare rispettivamente “rispetto” e “pace” avrebbero fatto bene fare
riferimento agli approfondimenti e alla lungimiranza di Schweitzer; ma
purtroppo questa nobile figura etica sta cadendo nell’oblio, e sta a noi
biografi cercare di mantenerla in auge per considerarla sempre più di
riferimento… forse nel tempo darà i suoi frutti.
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