IL DOVERE DI SAPERE PER NON CONTINUARE A SUBIRE IN SANITÀ
Una recente pubblicazione descrive fatti e misfatti all’interno e all’esterno
del nostro SSN. Mentre il pubblico “arranca” il privato cresce… Rilevare tale
andamento può
aiutare a capire meglio e ad ottenere di più…
di Ernesto Bodini
Tra
gli infiniti articoli dedicati alla descriziome delle carenze del SSN e il
conseguente malessere dei cittadini italiani, non mancano anche pubblicazioni
editoriali. Il tutto quale contributo all’analisi di un processo che ha pure
dell’anticostituzionale, proprio perché le gravi carenze sanitarie e assistenziali
sull’intero territorio (pochissime le realtà più virtuose), riflettono
l’antitesi all’art. 32. Una delle recentissime pubblicazioni è Codice Rosso – Come la sanità pubblica è
diventata un affare privato (ed. FuoriScena de’ Corriere della Sera, 2024, pagg. 242, euro 16,00), a
cura delle giornaliste “di punta” Milena Gabanelli e Simona Ravizza. Questo
corposo lavoro è un vero e proprio viaggio (per certi versi quasi
interminabile) nel sistema assistenziale e ospedaliero pubblico, con l’aggiunta
(si fa per dire) dell’auto presenza del privato. Molti i capitoli attraverso i
quali le autrici passano in rassegna potenzialità e carenze di molti ospedali,
ma in particolar modo la situazione del territorio che, tra lacune e carenze di
ogni tipo, ci danno il reale polso della situazione con dati e statistiche assai
aggiornate. Pur considerando obiettivamente il pregio dell’art. 32 della
Costituzione che recita: “La Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure agli indigenti”, da come vanno le cose c’é
da rilevare che stiamo diventando un po’ tutti indigenti (non certo per nostro
volere), a cominciare dal considerare che il sistema essere è in parte in mano
alle lobby. Tuttora costante è la tortuosa strada del medico di famiglia e le relative
difficoltà di accesso all’ambulatorio, come pure le più o meno “fantomatiche”
Case della Comunità e Rsa, sino all’estensione produttiva delle farmacie. Un
secondo capitolo passa in rassegna la carenza dei medici con tutti i vari
provvedimenti (o pseudo tali): voci inascoltate, valutazione di merito del
lavoro a gettoni e contratti non rinnovati, la rincorsa spasmodica ai medici e
infermieri stranieri, come pure l’esodo all’estero di nostri connazionali neo
laureati o neo specializzati, o verso i lidi più remunerativi della sanità
privata. E che dire delle Scuole di Specializzazione? Anche in questo caso le
autrici fanno il punto su quell’interminabile e “patetico” numero chiuso in
quanto falso problema, uno schiaffo alla volontà di chi ancora sente di potersi
dedicare alla professione medica e infermieristica. E delle interminabili liste
di attesa? A questo proposito c’é da notare che per una serie di opportunità
comportamentali, gli italiani da ottobre a dicembre sembrerebbe ammalarsi di
meno come evidenza il Registro Agenas: nell’ultimo trimestre del 2023 si sono
registrati 8 milioni di esami a carico del SSN in meno rispetto ai mesi di
gennaio, febbraio e marzo. Sebbene il
64% degli esami di laboratorio richiesti dai cittadini italiani sia svolto
negli ospedali e negli ambulatori pubblici, il crollo autunnale delle analisi
si concentra soprattutto nelle strutture
private convenzionate. «Verso fine anno
– fanno notare le giornaliste – risulta
assai in calo anche il numero degli accertamenti diagnostici: radiografie, Tac,
risonanze magnetiche, gastroscopie, colonscopie, ecografie. Il pubblico, che ne
effettua il 58%, registra di nuovo una flessione del 2%; gli ospedali e gli
ambulatori accreditati, che coprono il 42% rimanente, a ottobre, novembre e
dicembre segnano un calo superiore al 4%. E anche i fisioterapisti e i
logopedisti a fine anno sembra abbiano meno lavoro da fare». Tale andamento
implica quindi anche una situazione contabile in particolare in fatto di
rimborsi. È sempre più ricorrente il fatto che il cittadino-paziente quando va
a prenotare una prestazione si sente dire: «La
lista d’attesa è molto lunga, per una prenotazione si va all’anno prossimo. Se
ha fretta, le offriamo un pacchetto di prestazioni a pagamento». Dal punto
di vista pratico la realtà è alquanto perversa in quanto entra in ballo la
questione dei budget e degli obiettivi da raggiungere, due concetti che il
cittadino comune non sa di cosa si tratti, e soffermarsi qui si innescherebbe
un dibattito che parte della collettività non sarebbe in grado di comprendere, o
comunque non ne avrebbe la dovuta pazienza. Come non tutti sanno, ad esempio,
che in caso del non rispetto delle classi di priorità, il cittadino ha diritto
ad ottenere la prestazione in intramoenia in forma privata all’interno della
struttura pubblica ma con diritto al rimborso e, non avvalersi di questa
“opportunità”, il cittadino si troverà di fronte alle liste di attesa sempre
più snervanti, una vera e propria “via crucis” tale da farlo desistere, o
rivolgersi a pagamento presso il privato, o addirittura rinunciare a curarsi.
Tale disfunzione si manifesta ormai da troppo tempo, nonostante nel 2019 sia
stato attuato il Piano nazionale di governo delle liste di attesa (PNGLA),
pensato proprio per assicurare, nel triennio successivo, tempistiche certe per
l’ottenimento delle prestazioni sanitarie in base alle cosiddette “classi di
priorità”, stabilite dal medico di famiglia o specialista al momento della prescrizione
su ricetta, a seconda della gravità e urgenza manifestata dal paziente. A tal
riguardo va ricordato che sospendere le attività di prenotazione (fenomeno,
appunto, delle liste di attesa bloccate, agende chiuse) è una pratica vietata
dalla Legge del 23/12/2005, n. 266, art.1, comma 282 (Finanziaria 2006); ciò ad
eccezione per tutte le prestazioni non urgenti durante il periodo della
pandemia di Covid-19.
Abbiamo così assunto la certezza che effettuare un esame o una visita medica in tempi rapidi, o comunque nel rispetto dei codici di priorità segnati dal medico, è “prerogativa” di chi può permettersi di pagare. «La stima degli esperti – rammentano Gabanelli e Ravizza (nella foto) – è che ormai il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali è pagato privatamente, così come il 33% degli accertamenti diagnostici. Questi numeri sono in crescita costante. E sembra superfluo ricordarlo, ma chi paga ottiene esami e visite mediche in meno di dieci giorni, mentre gli altri, salvo rare eccezioni, aspettano. A meno che non siano disposti a recarsi nelle strutture meno gettonate, solitamente fuori dalla propria residenza e dove il servizio di assistenza e cura non viene percepito come un granché». Altro problema da considerare è che nonostante il calo delle nascite e quindi della popolazione, il nostro sistema sanitario non è più in grado di rispondere alla domanda, ossia ai bisogni dei cittadini peraltro sempre più tendenti all’anzianità e alle patologie croniche invalidanti; ma ciò pare non essere ragioni sufficienti a giustificare l’inefficienza del SSN, in quanto bisogna considerare l’eccessivo (e per certi versi incontrollato) consumo sanitario, legato alla prevenzione (vedasi i programmi di screening), sia indotti dai medici di famiglia che dalle politiche sanitarie regionali; inoltre si aggiunga per l’assistenza il continuo flusso di immigrati e, a coronamento di tutto ciò, non è fatto seguito una adeguata prevenzione della sanità pubblica. Un po’ meglio l’attenzione per l’oncologia perché, ad esempio, nel 2022 i privati hanno aiutato gli ospedali pubblici a recuperare i ricoveri persi durante la pandemia. Va comunque ricordato che il nostro SSN prevede che il malato oncologico, sia che si rivolga a un ospedale pubblico, sia a uno in convenzione, non paghi nulla, nemmeno il ticket: dalla diagnosi all’intervento, fino alle cure e ai successivi controlli. Tralascio il capitolo dell’illusione delle assicurazioni sanitarie per chiamare in causa quello relativo alle competenze del personale qualificato per gestire le risorse. «Dopo una lunga serie di ricerche e indagini – spiegano le autrici – si scopre che a muovere le fila della politica sanitaria italiana sono i big della consulenza globale… i loro contratti sono infatti costantemente reiterati e, in definitiva, i consulenti finiscono per sostituirsi non solo ai manager interni all’istituzione, ma all’istituzione stessa». Tra efficienza e non, degli ospedali, quella dei Pronto Soccorso (P.S.) rappresenta la versione più estrema della nostra sanità, spesso in crisi per una serie di ragioni come i numerosi accessi quotidiani, in parte anche non appropriati (codice bianco), quindi evitabili, e ciò rappresenta un intasamento dei percorsi assistenziali, con il conseguente rallentamento di tutta l’attività in emergenza, a discapito della presa in carico dei pazienti. Ma queste conseguenze sono dovute anche alla carenza di personale e in parte della loro inefficienza. «Quando nei reparti – fanno notare le scrittrici – i posti letto sono insufficienti, e il personale sanitario manca, il P.S. si trasforma in un girone infernale: i malati che dovrebbero essere ricoverati vengono parcheggiati per giorni sulle barelle nei corridoi, insieme al via vai di umanità dolente. E i medici che accettano di lavorare qui sono ormai davvero pochi». Nel maggio 2024, la Commissione Affari sociali della Camera ha stimato che nei reparti di Emergenza-Urgenza sarebbero necessari oltre 4.500 medici e circa 10.000 infermieri in più. E ciò è il motivo per cui i P.S. sono diventati la frontiera più avanzata del fenomeno dei “medici a gettone”. Allo stesso tempo, sono il segnale preoccupante della disaffezione dei laureati in Medicina verso specialità più impegnative, con turni massacranti, mal pagate, e in più gravata da un alto rischio di denunce. Un dato è emblematico: nel 2023 è andato deserto il 74% delle borse di specializzazione disponibili. Un altro capitolo affrontato dalle autrici è quello della vetustà delle grandi apparecchiature quali Tac, risonanze magnetiche, mammografi, angiografi, etc., nonostante le prestazioni con questi macchinari nel 2023 siano 65,5 milioni (58% negli ospedali pubblici e il 42% nelle strutture private convenzionate con il SSN), lo stato di salute degli stessi pare non essere in parte confortante… e questo a discapito sia dei pazienti che, per certi versi, anche degli operatori. Il riferimento ad esempio è alle radiazioni… Tuttavia, in totale le grandi apparecchiature oggi presenti negli ospedali pubblici, privati accreditati e privati puri sono 8.225; di questi il pubblico nel possiede 4.196 di cui il 40% supera il decennio. Il privato accreditato ne conta 3.576, di cui il 38% sopra i dieci anni, mentre nel privato puro, su 453 macchinari, la percentuale troppo vecchia scende al 21%. In buona sostanza, complessivamente i dati dimostrano che un’apparecchiatura su tre è obsoleta, che gli ospedali e gli ambulatori, sia pubblici sia privati accreditati, di norma hanno percentuali praticamente identiche di macchinari oltre i limiti di età. A fronte di questi ed altri dati va detto che un miglioramento è in corso, e il rinnovo delle apparecchiature è iniziato con la disponibilità dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con l’obiettivo (si spera) di sostituire complessivamente 3.100 grandi apparecchiature entro il 2026. Gli ultimi capitoli le autrici li hanno dedicati alla popolazione anziana identificandola in “vecchi e abbandonati”; una triste parentesi che non vuole essere conclusiva ma degna di maggiore attenzione, i cui componenti sono sempre più in aumento e manco a dirlo con problemi di cronicità e sempre più bisognosi di assistenza, da parte degli 8 milioni dei loro familiari (caregiver) che si prendono cura, soprattutto se non autosufficienti. Nel frattempo si attende che la politica faccia il suo corso tra promesse, emendamenti, leggi e, forse, anche con qualche delusione…
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