QUANDO
È IL CASO DI NON ESTERNARE
ECCESSIVAMENTE
IL PROPRIO DRAMMA
Un
invito pur nel rispetto della proprie emozioni e personalità
di Ernesto Bodini
Il fenomeno dell’esternare in
pubblico e rispondere agli “inviti-sollecitazioni” dei mass media per
raccontare i propri drammi per cause altrui, può apparire un desiderio normale
in quanto il far sapere a tutti delle proprie disgrazie ha come funzione umana
lo sfogo liberatorio…, e in taluni casi anche il desiderio di non perdonare gli
autori di tali drammi. Ma quando si presta il fianco ai mass media rilasciando
interviste in modo insistente e continuativo nel tempo al fine di ottenere una
tale notorietà, credo che non rientri in una accettabile razionalità per meglio
contenere e vivere il proprio dolore. È il caso, ad esempio, di tutte (o quasi)
quelle persone che hanno perso una persona cara per mano violenta altrui (vedasi
i casi dei femminicidi) i cui familiari delle vittime con i loro ripetuti
racconti, un giorno si e l’altro pure, occupano le pagine delle cronache in
versione cartacea e online; una ridondanza che in qualche modo “impietosisce” e
disturba la serenità del prossimo, e che in ogni caso non porta da nessuna
parte. Inoltre, non paghi di questa ostentata visibilità gli stessi annunciano
l’intenzione di pubblicare un libro sul loro dramma (scrittori improvvisati), e
magari fondare anche una associazione non profit con la motivazione (retorica):
«Affinché non si dimentichi e che non
accada più a nessun altro». Ed è evidente che ne consegue una sorta di
strascico pubblicitario che, per assurdo, non porta praticamente a nessun
risultato in quanto gli eventi di cui sopra continuano a ripetersi, come se gli
autori dei misfatti si sentissero sfidati… In questo caso a mio modesto avviso
si tratta di una sorta di pseudo altruismo perché, pur nel rispetto della loro
vicenda, queste persone se non avessero subìto una simile esperienza, mai si
sarebbero sognate tale intraprendenza. Come da tempo sostengo, l’eccessivo
presenzialismo in tutti gli ambiti e in ogni dove, specie in queste circostanze
di lutto improvviso, non sposta il problema e tanto meno è utile alla prevenzione di tali
misfatti. Un tempo chi veniva colpito da una disgrazia era solito soffrire con
umiltà, con riservatezza e in raccoglimento intimo poiché più utile per elaborare
il lutto: in realtà la vera e unica anima consolatrice è la propria Fede. Inoltre,
va detto che trasmettere al prossimo con insistenza le proprie pene è una sorta
di violazione della psiche e dell’animo umano altrui. A prova di ciò, ci sono
state persone che hanno subito una perdita affettiva anche in modo cruento, ma
che non hanno esternalizzato, mantenendo quella compostezza che rende più ricco
il proprio animo. Stessa considerazione va fatta per il tanto lustro che si dà
a qualche persona sopravvissuta all’Olocausto, una ridondanza che non produce
(purtroppo) alcun effetto di sensibilizzazione, ma al contrario crea ulteriori
avversioni da parte dei negazionisti. Quindi ricordare ma senza ostentare! Queste
considerazioni psico-sociali dovrebbero essere soppesate per non diventare
oggetti da copertina che fanno vendere e impietosire: nessuno al mondo può sostenere
di sapersi immedesimare nel dolore altrui ad eccezione, forse, di una madre
verso il proprio figlio… e poi ancora!
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