SBAGLIARE E PECCARE. QUALI I LIMITI?
Scarsa è l’onestà intellettuale per ammetterli, anche
se spesso non compresa e tanto meno accettata
di Ernesto Bodini
Da
sempre, si sa, l’uomo è peccatore e sempre lo sarà. Ma a parte l’aspetto
cristiano-evangelico, cosa si intende per peccare? Io credo che comunemente si
intenda sbagliare nei confronti del prossimo e di noi stessi, in quanto siamo
tutti vulnerabili, non privi di difetti e quindi soggetti a sbagliare continuamente,
in modo più o meno importante. Perciò, poiché nessuno è immune vale sempre il
noto: «Chi non ha peccato scagli la prima
pietra». Su questo aspetto dello sbagliare vi è chi non lo ammette, ossia non
vuole o non osa ammetterlo; atteggiamento assai disdicevole ma non del tutto
perché in taluni casi anche ammettere un torto, privatamente o pubblicamente,
non si è creduti tanto da doversi “pentire” di aver fatto ammenda. Ammettere di
sbagliare e peccare è una questione di onestà intellettuale, ma purtroppo anche
quando si è e si vuole essere onesti nei confronti dei nostri simili da parte
loro vi è diffidenza, se non addirittura risentimento tanto da non essere
ritenuti degni della loro considerazione. A volte peccare e/o sbagliare nei
confronti di chicchessia, implica lo scusarsi ma spesso è una “escamotage” di
comodo, come dire: ho peccato, chiedo scusa confidando nel perdono di Dio e degli
uomini. Ma è proprio così? Se prendiamo ad esempio la classe politica al suo
interno vi sono individui che spesso peccano (in diversi modi, come ad esempio
di presunzione), ma spesso non lo ammettono, anzi sono recidivi e, se colti sul
fatto, sono pronti a scusasi ma…; e questo vale per tutte le classi sociali, di
ieri e di oggi. A questo punto va richiamata l’attenzione sulle nostre
debolezza e precarietà, sui nostri limiti e sulla nostra pochezza, tanto da
renderci sempre più indifesi e quindi potenzialmente più aggressivi verso il
prossimo. Fin qui può sembrare che abbia fatto della psicologia “spicciola”
(della quale non ho alcun talento), ma in realtà l’intento è quello di una
analisi comportamentale al di fuori degli schemi meramente psico-patologici;
insomma una sorta di oggettivazione nel rilevare questo o quell’atteggiamento.
Ma proseguendo sul concetto di sbagliare e/o peccare bisogna anche dire che certe
nostre azioni "offensive" possono essere involontarie, e va da sé che anche in questi casi
lo scusarsi è sempre (o quasi) ben accolto. Un altro aspetto, per la verità più
subdolo, riguarda il fraintendimento, ossia quando prendiamo delle decisioni
che riguardano i rapporti nei confronti del prossimo, si è a volte fraintesi,
anche per frasi “innocenti”, magari additati come una sorta di “peccatori
erranti” e, di conseguenza, giudicati severamente o meno… ma in modo non
meritato. Qualche tempo fa, essendomi dimesso da un un incarico associativo
(non profit) dopo parecchi anni di collaborazione, mi sono congedato
ufficialmente con la seguente motivazione: «Nel
corso della nostra esistenza possiamo incontrare ostacoli o presunti tali, che
talvolta non si riesce a superare…, e quando giunge il momento di andar via si
dice che è saggezza, essere in grado di farlo è coraggio, andare a testa alta è
dignità». I
destinatari sono certo che non hanno compreso la mia onestà intellettuale, non
tanto per il distacco quanto invece per la forma espressiva di commiato. Questo
episodio può riguardare chiunque, ma se tale incomprensione avviene all’interno
di un rapporto volontaristico, credo che anche i filosofi più saggi della
storia non sarebbero compresi, anche se l’onestà intellettuale di molti li ha
resi celebri… post mortem. E forse è per questo che li citiamo a “nostro
comodo”, ma spesso non ne prendiamo concreto esempio. In buona sostanza, come
ripeto, nella vita nessuno è immune da sbagli e peccati, ma è avere l’umiltà di
riconoscerli e di scusarsi che fa la differenza e a renderci migliori.
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