Gestire la patologie croniche invalidanti

 

LA DIFFICILE GESTIONE DELLE PATOLOGIE CRONICHE E INVALIDANTI

Il desiderio-necessità di porre fine alla propria sofferenza.

Quando la Medicina non può più, deve prevalere la razionalità.

Più cultura e senso civico con incontri pubblici ma non plateali…

di Ernesto Bodini

In epoche di conflitti la vita umana è sempre stata a rischio e molto spesso oggetto di oppressione e distruzione… Questo aspetto ha certamente origini ancestrali in quanto nessuno o pochissimi ne sono stati esclusi, come pure il soccombere a causa di molte malattie. Ma il paradosso che vorrei evidenziare è che vi sono state, e vi sono persone che, avendo contratto una patologia invalidante aggravata dalla costante e insopportabile sofferenza, non hanno più la forza di continuare a ”vivere” tanto da invocare la cosiddetta (nel nostro Paese) “morte assistita”. È un dilemma, questo, che da tempo coinvolge giuristi, clinici, politici e movimenti associativi vari (scarsamente l’opinione pubblica in genere); ma purtroppo non se ne viene a capo in modo “razionale” e senza ostacoli, con il rischio che questi pazienti continuino a soffrire. Ultimo caso citato in questi giorni dalla cronaca riguarda la signora Martina Oppelli (49 anni – nella foto prodotta da alcuni mass media) di Trieste, da anni affetta da sclerosi multipla progressiva… senza possibilità di guarigione. Questa nostra connazionale lotta per morire e, non riuscendovi, pare abbia denunciato la propria Asl di residenza, affermando di essere “vittima di tortura” e contestando agli interessati sanitari anche il rifiuto di atti d’ufficio. Come si può immaginare, pazienti come la signora Oppelli sono totalmente e costantemente dipendenti da macchinari e farmaci, oltre che dai servizi socio-sanitari-assistenziali e se non anche dai caregiver. Ma a parte gli evidenti costi, si prenda in particolare considerazione che soffrire di una patologia che rende totalmente immobili e non scevra da sofferenza (spesso indicibile), e quindi dipendenti da altri (persone e mezzi), richiede l’osservanza del rispetto della dignità. (A tal riguardo si vedano la Sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale, e la recente Sentenza 135 della stessa).

Pur non entrando nel merito degli aspetti giuridici, e dei medici che negano la richiesta della paziente triestina, dei quali non conosco la loro posizione in essere e né le motivazioni, e senza schierarmi per alcuno, ritengo di invitare tutti gli interessati, quindi la popolazione in genere, a considerare queste vicende immedesimandosi nell’altrui sofferenza che, nei casi particolarmente gravi e in continua evoluzione, si potrebbero paragonare a “torture medioevali”. Pur essendo un sostenitore della vita, si provi a chiedere a chiunque se sarebbero disposti a sopportare atroci sofferenze per diverso tempo e senza alcuna possibilità di miglioria; io credo che la stragrande maggioranza chiederebbe di porvi fine: nemmeno uno stoico o un masochista accetterebbe simili sofferenze equiparate a tortura. Ma per mantenere il concetto del diritto-dovere di esistere, mi sovviene la concreta filosofia del medico filantropo Albert Schweitzer (1875-1965), il quale sosteneva il proverbiale concetto: «Rispetto per la vita», intendendolo in seno universale, senza particolari riferimenti alla sofferenza fisica anche se, è implicito includerla. Ma tornando alla paziente nostra connazionale Martina Oppelli, poiché non è l’unico caso in Italia, a mio modesto parere sarebbe opportuno continuare ad approfondire il problema con incontri pubblici in platea e non in piazza: (l’agorà è molto dispersiva…) affinché, a parte gli aspetti giuridici prettamente tali, si individuino alternative o soluzioni salomoniche anche se detto così il concetto può sembrare astratto; ma in ogni caso si tratterebbe (mi si rispetti il condizionale) di mettere in stretto e costante confronto il desiderio-diritto di vivere in stato di sofferenza acuta e irreversibile. Una questione di lana caprina? Utopia? Forse, ma se non si raccolgono pensieri e parole di tutti, ogni persona che si troverà a dover affrontare una simile esperienza, sarà sempre sola con sé stessa, e soprattutto con la sua insanabile sofferenza fisica e psicologica… invocando la morte come liberazione! 

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