DAL VOLONTARIATO DI SQUADRA
ALLA SCELTA DI AGIRE
IN AUTONOMIA
Diverse le ragioni che inducono ad “aggregarsi” a una o più associazioni non profit, ma non è sempre facile comprendersi ed essere in sintonia per le stesse finalità, soprattutto quando si tratta di aiutare i nostri concittadini a superare gli ostacoli della burocrazia
di Ernesto Bodini
Gravito nell’abito del volontariato, e quindi nel non profit,
ormai da molti anni, nel corso dei quali ho avuto contatti e a volte
collaborazioni con più associazioni. Inizialmente gli approcci e le intese sono
state più o meno condivise, ma con il passare del tempo le stesse sono sempre
venute meno, anche perché quando si è anticonformisti (che non è un difetto),
non si è condivisi e tanto ben visti. Ma va precisato che in tutte le realtà
associative, anche quelle riguardanti le disabilità e tutto l’apparato sanitario
e socio-assistenziale, c’è sempre stata (ed è costante) la burocrazia, un
ostacolo inevitabile ma che nessuno (a parte chi scrive) ha mai inteso
affrontare, neppure quando si è trattato di “difendere" un nostro concittadino
disturbato da tale evento. Una delle ragioni di questa “non dedizione”, secondo
la mia esperienza, consiste nel fatto che nessun volontario (tranne rarissime
eccezioni) si è mai imposto nei confronti dei rappresentanti della P.A. e
quindi dei burocrati, a tutela dell’assistito-fruitore rappresentato. Personalmente
ho sempre contestato questa sorta di “codardia” e, quando le circostanze lo
hanno richiesto, sono sempre intervenuto in difesa dell’assistito (associato o
meno), ovviamente con il suo consenso. È evidente che il mio “solitario” agire
non è stato quasi mai ben visto, ma nonostante ciò non mi sono mai fatto condizionare
e tanto meno sono sceso a compromessi. Per cercare di essere di aiuto, parecchio
tempo fa (correva l’anno 1996) collaborando con il mensile Vento Sociale gestito da
redattori con disabilità, ed in quel momento essendone il direttore
responsabile, mi inventai una rubrica intitolata “Il rompiscatole” (firmandomi con uno pseudonimo per ragioni di
opportunità), il cui titolo di esordio ai lettori annunciava: Arriva il vostro “angelo custode”, e il
cui testo ripropongo integralmente qui di seguito.
«Inizia da questo numero una
rubrica davvero “speciale”, perché ha lo scopo di affrontare l’eterno (e
purtroppo) inalienabile problema della burocrazia, un termine che non ha sinonimi
letterari e che si presta a mille interpretazioni, soprattutto quando si tratta
di “rivendicare” diritti e prestazioni nell’ambito delle Pubbliche
Amministrazioni di qualunque ordine e grado. Molti dizionari ed enciclopedie
spiegano che è un termine composto dalla parola francese “bureau”, ufficio, e
dalla greca “krazia”, potere, con cui si indicano, per lo più in senso di poco
apprezzamento, gli uffici pubblici. L’autore di questa rubrica non ha certo la
pretesa di proporre soluzioni, tanto meno cercare di risolvere alcun problema
di questo o quel cittadino (lettore); tuttavia, si impegna ad analizzare alcuni
aspetti pratici di azioni burocratiche, a spiegare a chiunque come affrontare
determinate difficoltà, magari consigliando il modo migliore per superarle… Un
impegno per certi versi “delicato”, poiché chi scrive si rende responsabile di
eventuali affermazioni e considerazioni riferite a una determinata struttura
pubblica, sapendo a priori che il lettore più sprovveduto (o meno accorto)
potrebbe mettere in pratica quanto leggerà su questa pagina. Ma chi meglio di
un disabile che ha conosciuto sin dall’età dell’adolescenza il pianeta
burocrazia, soprattutto nell’ambito della sanità e dell’assistenza, può
proporsi quale estensore di una rubrica che, diciamola tutta, vuole indossare
il velo azzurro dell’angelo custode che sa ascoltare, veder lontano e ben
suggerire? Leggeteci, abbonatevi e una risposta il “rompiscatole” proverà a
darvela».
Anche se la rivista è vissuta qualche anno, a quella rubrica
non mi è mai giunta una richiesta di “aiuto”, e nemmeno un commento di
circostanza e, come ho potuto dedurre, già allora il fenomeno burocrazia “targato
Italy” sembrava rappresentare una sorta di maledizione… Ora, la mia esperienza
che si sta sommando negli anni, mi
porterebbe a fare alcune deduzioni (che tralascio per non incorrere in
polemiche) ma al tempo stesso anche una scelta, ossia quella di operare con
solidarietà non a livello collettivo ma a livello individuale, ossia
intervenendo (anti-burocraticamente) a favore del singolo interessato… senza
intermediari, ritenendo essere più utile, concreto e meno dispersivo. La burocrazia
non mi ha mai fatto paura, in quanto esisterebbe l’antidoto: la determinazione
nel contrastarla. Infine, tengo a precisare che in base alle suddette iniziali
esperienze in collettività, bisogna considerare che nel corso della nostra
esistenza possiamo incontrare ostacoli o presunti tali, che talvolta non si
riesce a superare…, e quando giunge il momento di andar via si dice che è
saggezza, essere in grado di farlo è coraggio, andare a testa alta è dignità.
Un’ultima osservazione: dopo molto tempo ho constatato che quando ci si
autopropone per una qualunque iniziativa sociale, seppur non profit, quasi
sempre si è visti con “sospetto”, diversa è la considerazione se si è invitati ad
esporre soprattutto se la fonte che invita e propone è influente!
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