QUANDO L’EROISMO SI CONFONDE CON LA
SEMPLICE BUONA AZIONE DI SOLIDARIETÀ
Sarebbe utile ridimensionare la
concezione di una azione eroica che spesso tale non è
di Ernesto Bodini
Chiarisco subito che
non ho mai avuto e non ho alcuna velleità per raggiungere onori, gratificazioni
e riconoscimenti solenni per il mio operato verso la collettività; ma
l’indignazione mi assale quando leggo spesso da più parti che per aver compiuto
una certa “buona azione” verso il prossimo si usa etichettare il protagonista
con il titolo di “eroe”. Anche se tale attributo è una forma di riconoscimento
pubblico, resta sempre da stabilire se l’azione compiuta può qualificarsi come
atto di eroismo. Rilevo dalla cronaca cittadina del quotidiano La Stampa del 28
giugno scorso il titolo a caratteri cubitali “Eroi di Torino” (la prima parola addirittura in rosso), con il
quale si annunciava che il sindaco e la presidente del Consiglio avrebbero
consegnato undici civiche Benemerenze a cittadini che a vario titolo si sono
distinti nel corso degli anni. Pur non entrando nel merito delle specifiche
azioni dei singoli casi, intendo evidenziare che ciascuna di esse a mio avviso
non rientrava in una azione di eroismo in quanto tale, immaginando tuttavia che
il titolo sia stato ideato dal titolista dell’articolo. Anche se ogni azione di
spontanea solidarietà deve mirare al benessere altrui, e in taluni casi anche
in sinergia con corpi associativi e non solo individualmente, non significa che il
profondersi sia da contemplare in un'azione di eroismo, in quanto tutti noi
potenzialmente ogni giorno possiamo compiere una buona azione verso il
prossimo, ma non per questo siamo eroi. Per essere più precisi rammento per
piena condivisione l’obiettività e la saggezza del medico-filantropo e premio
Nobel per la Pace Albert Schweitzer (1875-1965), il quale sosteneva: «Non
esiste l’eroe dell’azione ma della rinuncia e del sacrificio»; concetto
intriso di razionalità e non certo privo di umiltà. Ed anche se è pur vero che
i buoni esempi vanno fatti conoscere, sia pur accompagnati da qualche elogio, è
altrettanto vero che l’enfatizzazione degli stessi con attributi “fuori luogo”,
oltre ad essere impropri paradossalmente a mio avviso suscitano indignazione…
Un tempo si soleva apprezzare maggiormente chi agiva nel bene e per il bene in
silenzio (esattamente come fa la gran parte dei missionari), e scarne erano le
notizie nel diffondere questa o quell’azione compiuta. Oggi, con l’imponente
presenza dei vari social si tende a dare largo censo ad ogni tipo di
informazione (positiva e negativa), tanto da creare falsi miti andando a
confondere il reale significato di ogni azione di volontariato. Infatti, non a
caso di tanto in tanto i mass media (televisione in primis) ci fanno conoscere
emeriti estranei provenienti dal nulla e che, all’improvviso, diventano noti
pur non avendo avuto alcun ruolo di utilità sociale ma addirittura procurando
emulazioni che sconfinano in nulla di fatto… se non dagli effetti meramente
materialistici. E va anche detto che, purtroppo, la società si sta disgregando
perdendo ogni giorno un pezzo di veri valori della vita, e che talvolta anche
le buone azioni non riescono a contrastare…, anzi, suscitano in molte persone
(spesso giovani) reazioni di avversione contro i propri simili e i beni comuni
del patrimonio nazionale. A riguardo non credo di poter suggerire come arginare
questo fenomeno di "disgregazione" sociale, anche se si continua a dire da più
parti che l’educazione e il buon esempio devono provenire soprattutto dalla
famiglia e dalla scuola. Ma ciò è sufficiente? Non credo, perché imporre ad una
persona un metodo educativo e questa non intende essere educata ed instradata
sulla retta via, per assurdo si ottiene l’effetto contrario. Personalmente sono
dell’idea che, per quanto riguarda la nostra cultura, si è perso del tempo
prezioso e mi riferisco (a parte le meritate conquiste) agli effetti “post
‘68”, tant’è che oggi assistiamo ad una costante recrudescenza. Ed ecco la società
del XXI secolo che da tempo ho così definito: «Quelli che appartengono ad ogni
genere di benessere e ricchezza
materiale, quelli che già conoscono la miseria e sono predestinati alla perenne
povertà, quelli che fanno parte del potere decisionale, quelli che sanno e
possono tutto ma che non hanno alcun interesse a dire o fare nulla». Ma
tornando al caso di cronaca su citato non ho nulla di personale con i
protagonisti (che peraltro non conosco), così come anche di tutti quelli che li
hanno preceduti, tuttavia mi avvalgo non solo della ratio ma anche della saggezza dei
nostri avi come il poeta e saggista tedesco Bertolt Brecht (1898-1956 nella
foto), il quale ammoniva: «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi».
Insomma, vanno bene medaglie e strette di mano a chi si prodiga per il
prossimo, ma non chiamiamoli eroi… quando tali non sono!
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