SE LA GIUSTIZIA INCONTRASSE LA FILOSOFIA DI SOCRATE FORSE…
Paradossalmente
meno amicizie ma sicuramente una miglior vita con filosofia
di Ernesto Bodini
Per una serie di ragioni, e anche di
ipocrisia, talvolta amici, conoscenti, il vicino di casa e persino parenti
vorrebbero accusarci (oltre ad immeritate critiche) per un fatto o per l’altro,
magari anche per semplice antipatia, ma giunto il momento l’accusa “non scatta”
o tarda ad arrivare... Ecco che mi torna alla mente la realtà vissuta da
Socrate, non per darmi un tono di dotto (che non sono) e per certi versi
“socratico”, ma perché in taluni casi, specie se la volontà di accusarci parte
dagli amici (o reputati tali) o da quanti altri trova una qualche analogia con le
accuse che Socrate ha ricevuto dai suoi concittadini. Tra questi, dice la
storia, erano Meleto, Anito e Licone che lo accusarono di corrompere la
gioventù insegnando credenze contrarie alla religione dello Stato. L’accusa
aveva scarsa consistenza e si sarebbe risolta nel nulla, se Socrate avesse
fatto qualche concessione ai suoi giudici. Invece non volle farne. La sua
difesa, sempre secondo la storia, fu un’esaltazione del compito educativo che
si era addossato nei confronti degli ateniesi, e a riguardo dichiarò che in
nessun caso avrebbe tralasciato questo compito, al quale era chiamato da un
ordine divino. E allora cosa fece? Poteva esiliare con la complicità di amici,
o proporre alla giuria una pena che fosse “più adeguata”, e pur dicendosi
disposto a pagare una multa di tremila dracme (la moneta della Grecia antica),
dichiarò con orgoglio che si sentiva meritevole di essere “mantenuto” a spese
dello Stato. Ne seguì invece la condanna a morte che era stata chiesta dagli
accusatori. Questo episodio ho inteso citarlo non solo perché ogni giorno siamo
potenzialmente soggetti a qualche accusa, anche da estranei (si pensi ad
esempio che diverse migliaia di detenuti nelle carceri italiane sono stati
condannati a causa di delatori, finti pentiti e simili, e quindi ingiustamente…).
Recente è il caso di cronaca che riguarda un ex allevatore di Burcei (CA) di 58
anni di cui 32 passati dietro le sbarre, ma proclamandosi sempre innocente: la
classica voce inascoltata del deserto... Un clamoroso errore giudiziario (solo
nel 2022 i casi di ingiusta detenzione sono stati ben 547, coinvolgendo 30 mila
persone in Italia, e con la conseguente crescita delle spese per indennizzi e
risarcimenti), e ora in seguito ai ricorsi e a corpose manifestazioni pubbliche
di solidarietà, l’ex condannato è tornato libero. Non intendo fare del
pessimismo gratuito ma un invito a riflettere su quanto nel nostro Paese sia
troppo facile subire una ingiusta condanna… anche per il “solo” fatto di essere
“gratuitamente” accusati da qualcuno. E ora mi si dirà, che cosa c’entra
Socrate? Facendo le debite proporzioni storico-analogiche è pur vero che da noi
la pena di morte è stata abolita da un bel pezzo, ma è altrettanto vero che una
detenzione (specie se prolungata nel tempo… e da innocenti) equivale ad una condanna
a morte. Ma credo sia criterio e indice di riflessione rievocare la filosofia
di Socrate affrontando con determinazione i nostri nemici (o presunti tali)
rigettando quelle pseudo amicizie per gratuita antipatia, che potenzialmente ci
porterebbero nell’arena della Corte, e quindi nei meandri di fredde celle
detentive… immaginarie o reali. Egli volle dare con la sua morte una
testimonianza decisiva al suo insegnamento. Aveva vissuto sino ad allora
insegnando la giustizia e il rispetto della legge, e non poteva con la sua fuga
essere ingiusto verso le leggi della sua città e smentire così, tutta la sua
opera di maestro. Oltre al fatto che non temeva la morte, e ciò io credo che
nulla avesse a che vedere con lo stoicismo. Ci è dato a sapere, inoltre, che egli
nutriva la speranza di una vita dopo la morte che fosse per gli uomini giusti
migliore che per i malvagi. Sappiamo che a quell’epoca aveva compiuto 70 anni
in gran parte dedicati all’insegnamento, fedele a questo ruolo sino alla fine e
magari di dover ancora dare alla collettività, e la morte è stata l’ultima
prova di fedeltà. Ora, poiché a mio avviso il nostro sistema giudiziario è
sempre più nell’occhio del ciclone, e per certi versi assai poco garantista, e
chi è deputato a giudicare, sentenziare e condannare solitamente rincasa senza
particolari problemi (di coscienza?), ritengo che potenzialmente essendo tutti
oggetto di critiche, invidie, calunnie, giudizi, accuse e quant’altro, vorrei
sottolineare che in qualunque circostanza dobbiamo impegnarci a lottare onestamente
contro le ingiustizie perpetrate da chicchessia (persone comuni o uomini di
legge), perché anche se la cicuta non sarà il mezzo ultimo per porre fine alla
nostra esistenza, abbiamo il diritto e il dovere di “imporci” nei confronti di chi punta
il dito contro la nostra virtù di Persona, retta ed osservante come forma di
vita propriamente umana. Se ciò avviene in modo univoco e indifferibile, forse
avremo meno amicizie, ma sicuramente un posto garantito accanto al Sommo della
più bella filosofia di vita. Un’ultima osservazione: chissà se le penultime ed
ultime generazioni di magistrati, ma anche gli attuali candidati per entrare in
Magistratura, hanno letto e approfondito l’Apologia di Socrate, un testo
scritto in giovane età da Platone (tra il 399 e il 388 a.C.), dal quale trarre
qualche spunto perché la storia di Socrate prende il cuore non solo la mente…,
forse avremmo più amici sinceri e, dal punto di vista giuridico, meno condanne
ingiuste!
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