Diagnosi clinica ad un Sovrano

 

(Ospito volentieri un articolo del dott. Bruno Bertagna, valente clinico geriatra e già medico di famiglia in Torino. È inoltre appassionato di Storia di Medicina  e buon comunicatore sociale) – E.B. 

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Re Carlo III e la diagnosi 

di tumore: una riflessione

di Bruno Bertagna (medico geriatra)


L' annuncio di Buckingham Palace che a Re Carlo III è stato diagnosticato un tumore ha colto di sorpresa la popolazione del Regno Unito e ha avuto un'ampia risonanza mondiale. La notizia è giunta a pochi giorni di distanza dalle dimissioni, avvenute il 29 gennaio, dalla London Clinic dove il Sovrano era stato ricoverato per un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica. Ad oggi non si conoscono i particolari sulla malattia, si sa solamente che questa è stata diagnosticata in seguito agli accertamenti effettuati durante il ricovero. È stata giudicata trattabile ed è stato escluso che si tratti di cancro della prostata. Non è dato di sapere, inoltre, se il riscontro sia stato incidentale oppure conseguente ad ulteriori accertamenti per il permanere dei sintomi precedenti il ricovero o per la comparsa di sintomi nuovi. Nell'incertezza sulla natura della neoplasia, un indizio potrebbe essere rappresentato dal consiglio dato dai medici di evitare impegni pubblici durante il trattamento, iniziato ambulatorialmente il 5 febbraio, mentre sarebbe consentita la gestione ordinaria degli affari di Stato. Le domande che si pone la comunità scientifica, e anche l'opinione pubblica,  sono fondamentalmente quattro: da quale tumore può essere affetto un uomo di 75 anni? Qual è la gravità di malattia? Avrebbe potuto essere diagnosticato più precocemente? Le differenze nei servizi sanitari dei vari paesi europei in quale modo influenzano le probabilità di pervenire ad una diagnosi precoce dei tumori?
Alla prima domanda la risposta è che le neoplasie dell'apparato genito-urinario, del polmone, dell'apparato gastro-enterico e quelle ematologiche sono particolarmente rappresentate nell'uomo anziano. È possibile che i medici della London Clinic abbiano esteso l'indagine alla vescica e agli ureteri come doveroso approfondimento delle condizioni dell'illustre Paziente riscontrando una lesione uroteliale. La chemio e l'immunoterapia indicata in questi casi potrebbero giustificare il consiglio dei medici di limitare gli incontri pubblici. Se così fosse sarebbe lecito domandarsi perché non sia stata effettuata una valutazione globale approfondita dell'apparato urinario prima del ricovero. Meno probabile in considerazione degli indizi, ma non escludibile a priori, una neoplasia del rene, che comporta generalmente un trattamento chirurgico. Anche le neoplasie del polmone (dalla quale fu affetto Re Giorgio VI nonno di Re Carlo III) e dell'apparato gastro-enterico, (la regina madre, nonna di Re Carlo III, fu affetta da neoplasia del colon oltre che da un tumore al seno),  sono altrettanto improbabili, sia per il noto stile di vita salutare del Sovrano, sia per la facilità di riscontro in seguito ad una indagine preventiva ben condotta alla quale si presume che un personaggio che riveste un ruolo di così alta responsabilità debba essersi sottoposto, eventualmente anche in deroga alle comuni linee guida: ancora si ricorda e si discute in ambito cardiologico della coronarografia effettuata al Presidente Bush. Un'altra possibilità è che gli esami ematochimici abbiano evidenziato valori anomali suggestivi per una neoplasia ematologica. La Regina Elisabetta II madre di Re Carlo III sembrerebbe essere stata affetta da mieloma. Qualunque sia la diagnosi, qualche interrogativo è lecito porsi sull'appropriatezza  e la tempestività delle  procedure preventive e diagnostiche alle quali si è sottoposto il Sovrano. In Italia o in un altro Paese europeo sarebbe stato diverso? Al di là dei casi aneddotici, ancora ricordo con amarezza il decesso di un paziente per neoplasia prostatica alcuni mesi dopo un intervento per ipertrofia della prostata, ritengo che la  mancanza di flessibilità di un sistema sanitario, l'osservanza troppo rigida  e fine a se stessa delle linee guida, la clinica centrata sulla malattia anziché sulla persona non favoriscano la diagnosi precoce e tempestiva delle malattie che si traduce in un danno per l’ammalato e, in ultimo, anche per la collettività. 

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