SULLE ORME DELL’ANAGRAMMA DI
GALENO
La figura del medico di
fronte ai casi dall’apparentemente impossibile diagnosi, la necessità di una
maggiore dedizione per giungere ad essa
di di Ernesto Bodini
Da tempo, ormai, mi occupo di divulgazione
sanitaria e medico-scientifica avendo acquisito negli anni una discreta
esperienza da quel sapere di clinici, autorevoli cattedratici, ricercatori,
psicologi-psicoterapeuti, etc. Un corpus che nel loro insieme mi ha trasmesso
nozioni ed “elementi-base” utili a comprendere sia le potenzialità della
Medicina che i limiti della stessa. Ma nel contempo, se non soprattutto, il mio
acquisire si è esteso e si estende ancora ai problemi della Persona sofferente,
in alcuni casi affetta da una serie di sintomi che per quanto più o meno ben
definibili, non sono sufficienti per giungere ad una concreta (e definitiva
diagnosi). Sono ben cosciente che le malattie che si possono manifestare nel
corpo umano pare siano alcune di decine di migliaia, delle quali circa 6-8 mila
sono identificate come rare e in gran parte di difficile e/o assenza di certa diagnosi,
ed ancor meno di una possibile cura. Premesso che non si cura la malattia ma il
malato, quindi la Persona, io credo che l’orientamento del medico comprenda non
solo la cosiddetta semeiotica clinica, ossia la ricerca dei sintomi, ma anche
(se non soprattutto) la relazione medico-paziente come entità primaria
d’indagine, ossia il dialogo diretto ed approfondito tra le parti che, bene
inteso, non deve “esaurirsi” alle prime difficoltà interpretative… Il facile
ricorso alla tecnologia strumentale, peraltro estremamente utile in molti casi,
non deve però disattendere la necessità di un approfondimento obiettivo dei
sintomi descritti dal paziente, cosa che (mi risulta da alcune confidenze) in
alcuni casi non avviene proprio in ragione del fatto che il quadro clinico in
questione si presenta particolarmente complesso, in quanto necessita o
necessiterebbe proprio di particolari ed estese indagini… a dispetto dei tempi
imposti dal sistema (sic!). Insomma, in simili casi, io credo che il medico
debba vestire i panni dell’investigatore privato sull’esempio (ovviamente
metaforico) del Sherloch Holmes, i cui strumenti di indagine vanno ben oltre la
classica lente… Detto ciò, non è certo mia intenzione “intromettermi” nel ruolo
del medico che decisamente non mi compete, ma nel contempo mi permetto di
sollecitarlo nel prendersi “più a cuore” i casi particolarmente umani, attraverso
il suo sapere, la sua esperienza e anche la cosiddetta santa pazienza; requisito,
quest’ultimo, che di questi tempi molti fanno fatica ad avere, sia per le note incombenze
in cui molti di essi si trovano a dover affrontare, e sia per le scarse
aspettative per il loro futuro. Tutto ciò è comprensibile, ma al tempo stesso
la mia obiettività di osservatore degli eventi sociali in genere, e quelli
relativi alla sanità in particolare, non mi esimono dall’evidenziare quanto
sinora esposto. Contestualmente vorrei approfondire l’aspetto della comunicazione
in tema di salute da parte dei mass media, i quali in gran parte si limitano
(doverosamente) ad informare ogni fatto di cronaca, con qualche approfondimento
per gli aspetti sanitari e socio-assistenziali, ma non mi pare di rilevare la
loro dedizione per i casi che soffrono in particolare in quanto sono pazienti
che non riescono a fruire quella necessaria attivazione di un consulto “più
allargato”, quindi tra più specialisti sia pur appartenenti a diverse Strutture
sanitarie e magari anche di altre città. La loro dedizione è per lo più indirizzata
alle cosiddette malattie rare, giustamente meritevoli di ogni ricerca ed
approfondiment0 possibili, ma non vanno elusi quei pazienti che, ripeto,
necessitano di altrettanti approfondimenti diagnostici…, peraltro in presenza
di dolenzia costante, costi quel che costi! Si parla molto, e da tempo, della
relazione medico-paziente, dalla quale emergono sì anche i parametri vitali
(che non devono essere solo un “conforto statistico”), ma la rilevazione di una
malattia che alberga in quel corpo sempre più sofferente tale da comprometterne
la serena esistenza. Io credo che il vissuto di malattia di questi pazienti
privi di una certa e definitiva diagnosi, rappresenti il culmine dell’impegno
massimo per un medico (meglio se in équipe) tale da aprire l’orizzonte per
giungere alla meta: la fine o la riduzione della sofferenza per una vita più
accettabile. Sarebbe dunque utile esporre nelle platee questo aspetto della
Medicina e della Sanità pubblica e, nel frattempo, ossia in attesa di poter
intravedere una possibile diagnosi di questi “stanchi” pazienti, io credo che
spetti al medico mettere in atto il massimo della sua comprensione verso di
essi, ovviamente senza lasciarli soli per un momento. Un richiamo a Galeno (nell’immagine) il famoso medico
dell’antichità che, anagrammando il suo nome, diventa Angelo, che è esattamente quello che ogni medico dovrebbe
sforzarsi di essere! Esattamente quello che ogni medico dovrebbe sforzarsi
di essere!
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