NON È IL
DENARO CHE DEVE “VALORIZZARE” IL SAPERE DI OGNUNO
I lauti e
ingiustificati compensi a noti personaggi pubblici
per il
loro “sapere”… al di là della loro professione
di Ernesto Bodini
Da molti anni mi occupo non solo di giornalismo
scientifico e culturale in senso lato, ma anche di incontri partecipando a
convegni e conferenze come relatore e/o moderatore. Per queste ultime
iniziative, che potrei elencare senza interrompermi, non ho mai percepito alcun
compenso (anzi in qualche rarissimo caso ho deliberatamente rifiutato uno o due "tentativi" di riconoscimento economico, sia pur modesto) a differenza di tanti autori più o meno noti a cui veniva (e viene) riconosciuto
un certo cachet. Quando non invitato, in più occasioni mi sono proposto
spontaneamente (ovviamente a titolo non profit) come relatore su alcuni argomenti
di mia competenza, e qualche volta mi è stato detto più o meno “velatamente”
che chi non pretende un compenso vale poco o nulla, mentre che applica una
certa tariffa è “uno che vale e che sa il fatto suo”. Questo modo di
considerare l’importanza di un relatore in base alle sue pretese economiche,
ritengo sia un mito da sfatare; come quello relativo ad un relatore indiscutibile
padrone di una certa materia ma non laureato in questa o quella Disciplina. A
questo riguardo, nell’ambito delle Pubbliche Istituzioni, ma anche al di fuori,
vige ancora il concetto che se si scrive bene e se si parla con una certa
dovizia espositiva inevitabilmente si viene etichettati con convinzione come
laureati in una certa Disciplina piuttosto che in un’altra. Ma a parte quest’ultimo
aspetto, che lascia il tempo che trova, a patto che gli interessati non
facciano millantato e non si autoriferinzino, quello che mi indigna è l’essere
maggiormente considerati dal punto di vista professionale in funzione di una
ben precisa pretesa economica, anche per tenere una “semplice” relazione
culturale in pubblico. Ora mi chiedo: è mai possibile che rivestire un ruolo
socio-culturale, sia pur con una qualifica, implichi necessariamente del
denaro? È pur vero che negli Stati Uniti, e in qualche altro Paese, ad
autorevoli personaggi della cosiddetta “alta società” viene riconosciuto un
notevole cachet per tenere una conferenza di una o due ore: si prenda ad
esempio qualche ex presidente USA, ed altri al seguito (anche qualche ex
ministro nostrano), il cui ammontare consisteva, e consiste, in svariate centinaia
di migliaia di dollari o euro. L’essere detentori di una certa materia, a parte
se espressa nella veste di un preciso dovere professionale, personalmente
ritengo che non debba quantificarsi in denaro anche perché se così fosse, anch’io
avrei accumulato un certo gruzzolo. Inoltre, in questo contesto non è detto che
chi non è retribuito valga di meno di quello che pretende un compenso per
parlare in pubblico; quindi ritengo questo modo di mercanteggiare il proprio
sapere un insulto verso chi ha buona volontà nell’offrire gratuitamente alla
collettività qualche nozione storica, culturale, scientifica, etc. Ma ben si
sa, che da sempre l’uomo è per sua natura avido e, a parte poche eccezioni,
agisce sempre in funzione di un compenso anche se non ne avrebbe bisogno per
vivere, e questo non significa che il suo plateale sapere valga di più; senza
contare il fatto che resta da stabilire con quale criterio si quantifica
l’ammontare di quel compenso: recitare poesie, rievocare episodi storici,
commentare un libro o un’opera d’arte da parte di un “qualunque” relatore, a
mio avviso non dovrebbe in nessun caso essere quantificabile in denaro o altri
beni in natura, ma semplicemente e più doverosamente da parte dell’uditore esprimere
interesse ed apprezzamento con spontanea partecipazione e coinvolgimento, veri
e propri “compensi” che dovrebbero appagare sufficientemente il relatore per il
suo sapere e la sua dedizione.
Ma vi sono però delle autorevoli eccezioni, una
per tutte: il premio Nobel per la Pace Albert Schweitzer (1875-1965, nella foto),
filosofo, teologo, musicista, musicologo e medico filantropo in Gabon, al quale
vennero riconosciuti compensi per le sue dotte conferenze e le sue esibizioni di
organista (soprattutto in Europa), non solo perché molto richiesto ma anche
perché tali introiti (compresi i 33.480 dollari del premio Nobel nel 1952) li
ha devoluti al mantenimento del suo ospedale africano e al completamento del
lebbrosario. È pur vero che il dottor Schweitzer fu persona autorevole in
diverse Discipline, ma è anche vero che la sua totale dedizione al prossimo
rientrava in quel suo famoso e saggio aforisma: «Non esiste l’eroe dell’azione, ma
della rinuncia e del sacrificio». E questo, di gran lunga superava i
riconoscimenti economici che utilizzò con molta parsimonia per la popolazione
africana. Per il vero pochi altri lo hanno imitato, ma anche questi nulla hanno
a che vedere con gli attuali “protagonisti” del loro sapere sempre più oggetto
di vil pecunia fine a se stesso.
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