Una voce fuori dal coro...

                               Una voce fuori dal coro… ma 

                  non tanto distante dalla realtà

 di Ernesto Bodini


È certamente immaginabile che nel corso dei secoli non saranno stati certo pochi coloro che hanno tentato di “analizzare” il comportamento dei loro simili, quindi della loro personalità (ma anche della propria), e ciò indipendentemente dall’avere o meno una qualifica. In effetti è umano e spontaneo che ciascuno di noi si trovi di fronte a questo agire per effetto delle mutevoli relazioni sociali: amicali, parentali, professionali, etc.); quindi, siamo tutti in qualche modo potenzialmente improvvisati “psicologi e giudici” ma spesso decisamente impropri, oltre che non competenti. Da qui ne consegue una interminabile serie di reazioni tra esseri umani, molte razionali ma spesso anche inconsulte sino a sconfinare in azioni che di umano hanno poco o nulla… Tralasciando epoche che non abbiamo vissuto, proviamo ad “analizzare” quelle attuali ossia di noi contemporanei. In questi ultimi decenni, mi riferisco soprattutto dagli anni ’70 in poi, sono succeduti molti eventi come ad esempio il riconoscimento di certi diritti (un tempo considerati improponibili), e molto più prepotentemente la nascita di molte tecnologie che per la verità hanno migliorato e velocizzato diverse attività e ridotto molte distanze…, ma al tempo stesso in non pochi casi complicato la vita delle persone, il tutto aggravato da vissuti di carattere politico e, come se non bastasse, anche dalle conseguenze causate dalla Natura. Eppure, rispetto ad un tempo conoscenze e nozioni sul come affrontare la vita e i rapporti umani non mancherebbero, ma come ben sappiamo i paradossi e le irrazionalità hanno sempre condizionato il prosieguo di una vita sociale serena. Ecco che, come sempre, spuntano figure come psicologi e simili con il ruolo di entrare nella psiche umana, comprenderla e magari intervenire con metodiche “psico-relazionali” di sostegno per “correggere” il comportamento di questa o quella persona. Non posso certo negare che in taluni casi questi “lettori” del profondo abisso umano siano riusciti (e riescono) a controllare e sanare una situazione, magari per certi versi anche drammatica, ma non è certo da escludere che determinate e non poche situazioni si siano dimostrate incontrollabili, nonostante i molti lavori editoriali disponibili di una certa validità scientifica e con il supporto di altre consulenze mediche, ed eventuali farmaci. Significativo è questo ultimo triennio di vissuto pandemico a causa del Coronavirus, durante il quale non poche persone (soprattutto anziani e adolescenti) hanno invocato la consulenza psicologica a causa di quella che si potrebbe sinteticamente definire “instabilità interiore e comportamentale”. Personalmente la mia adolescenza, per ragioni di salute, mi ha portato a staccarmi per alcuni anni dagli affetti famigliari, un dramma nel dramma ma ciò non ha comportato il dover ricorrere ad uno/a psicologo/a; soltanto la pazienza e l’amore dei miei genitori sono serviti (sia pur lentamente) a lenire il mio stato d’animo. Questo episodio, per la mia giovanissima età (7-15 anni) non mi ha fatto comprendere che in realtà la sofferenza maggiore era dei miei genitori, di mia madre in particolare, ed era inimmaginabile pensare di ricorrere ad uno specialista della “quiete dell’animo”. È evidente che la nostra reciproca psiche ne ha sofferto non poco, ma con il tempo ce ne siamo fatti una ragione, tanto che giorno dopo giorno (erano anni modesti dal punto di vista esistenziale, e quindi anche economico, ma umanamente vivibili) la situazione si è andata normalizzando…, sia pur non dimentichi del passato, e quindi senza alcun bisogno di rivolgerci a qualche psicologo (sic!). Ora se un tempo, anche di ristrettezze, certi drammi umani erano in qualche modo gestibili, non comprendo come oggi per un evento anche di poco conto sia inevitabile ricorrere al supporto psicologico; e ciò a mio avviso sta a significare che nel tempo la mente umana (dell’adolescente e dell’adulto) ha subito una certa “metamorfosi” (più vulnerabile?), nonostante le molteplici distrazioni e opportunità di vario genere in fatto di convivenza e di relazioni sociali. Una attenzione a parte è forse quella che riguarda il supporto psicologico in casi di malattia grave o un lutto difficile da superare; circostanze queste, che richiedono una particolare “dedizione” fatta di sensibilità e comprensione per lenire quello stato di sofferenza, indipendentemente dal titolo accademico di riferimento di questo o quel specialista che si intende consultare.

Ma il punto cruciale, che non richiederebbe alcun intervento esterno, riguarda la forte emancipazione come pure la seguente libertà di pensiero, usi e costumi, che a mio avviso ha subìto uno sbalzo enorme non rispettando le necessarie tappe; ma tant’é, il progresso l’ha fatta da padrone e intanto i rapporti umani sono sempre più deteriorati (anche tra gli stessi psicologi): diffidenze, insopportabilità, pseudo e deleterie amicizie, sconfinato materialismo, ma soprattutto incomprensioni anche perché oggi più che mai si usano linguaggi non solo inappropriati, ma anche sempre meno consoni al rispetto della persona, come ad esempio il turpiloquio che paradossalmente sembra essere il miglior “lessico avvicina popoli”, peraltro sempre più in auge. Per contro, il dono della diplomazia (anche la più semplice e spontanea), scritta e verbale, è ormai quasi inesistente e comunque non sortisce più alcun effetto. Questo sintetico quadro sociale, che sin qui mi sono permesso di esporre, vuole essere un modesto invito all’autoriflessione per comprendere quanto valore dare all’esistenza umana e, a questo riguardo, mi sovviene la saggezza del poeta e drammaturgo irlandese William Butler Yeats (1865-1939 – nella foto), uno dei più grandi poeti del XX secolo, il quale per adottare una forma di amore nella nostra vita, suggeriva: «Quando parlate alle persone che amate dei vostri sentimenti, ponente l’accento sul fatto che le amate veramente per quel che sono, e non per come casualmente appaiono. Parlate alla loro anima eterna e non alla confezione che ospita». Un invito davvero umile, semplice e saggio dettato da un animo nobile, ma che purtroppo credo rientri nell’Io di pochissime persone! In ogni caso, come suggeriva il filosofo e saggista statunitense Ralph Waldo Emerson (1803-1882), essere se stessi in un mondo che cerca continuamente di cambiarci, resta la più grande delle conquiste (anticonformismo a parte). Diversamente, a mio avviso, assistiamo alla continua ascesa della disgregazione sociale.

IN CONCRETO COS’È LA PSICOLOGIA? DA VALORIZZARE MA CON TUTTE LE ECCEZIONI DEL CASO

Il termine moderno di Psicologia risale al XVI secolo con l’umanista e teologo tedesco Philippus Melanchthon (italianizzato Filippo Melantone, 1497-1560) che la definiva l’insieme di conoscenze filosofiche, letterarie e religiose dell’animo umano. Ma ad onor del vero questa disciplina ha dei progenitori che furono Platone (428 a.C. – 347 a.C.) e Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.), filosofi e pensatori greci che avevano il desiderio di comprendere chi siamo… e magari da dove veniamo. Interrogativi in gran parte mai risolti (tutto è riconducibile ai misteri della vita, sic!) nonostante fossero prese in esame molte delle questioni di cui gli psicologi continuano ad occuparsi ancora oggi. Uno degli approfondimenti riguarda proprio la comprensione delle capacità cognitive che, secondo Platone, ad esempio, certi aspetti della conoscenza sono innati o connaturati; mentre Aristotele riteneva che la mente del bambino fosse una sorta di “lavagna vuota” sulla quale venivano scritte le esperienze, e che tutta la conoscenza la si acquisisce mediante l’esperienza. Da qui il concetto di empirismo filosofico. Con il trascorre dei secoli e delle infinite vicissitudini che hanno coinvolto (e coinvolgono) gli esseri umani, tale disciplina si è evoluta sino ad “acquisire” la connotazione (quindi la specialità) di psicologia scientifica. Nel 1690 il filosofo e medico inglese John Locke (1632-1704) pubblicò un saggio sull’intelletto umano, teso a ricostruire il funzionamento della mente e dando una base solida ai ragionamenti. Ma la psicologia come vera e propria materia scientifica trova la sua luce in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, in quanto alcuni scienziati (soprattutto fisici e medici) iniziarono ad occuparsi dello studio della psiche analizzando le sensazioni, le emozioni e le attività intellettive. Con il passare degli anni lo sviluppo della Psicologia ha assunto particolari specificità come quella cognitivistica ad opera dello statunitense di origine tedesca Ulric Neisser (1928-2012); comportamentale nel nome dello statunitense psicologo e scrittore Burrhus Skinner (1904-1990); eclettica della contemporanea psicologa statunitense Francine Shapiro (1937); espressivo corporea dello psichiatra e psicoterapeuta tedesco Fritz Peris (1893-1970), che ha coniato tra l’altro il termine di psicoterapia della Gestaltpsicodinamica a cura dell’austriaco Sigmund Freud (1856-1939) e del francese Jacques Lacan (1901-1981), rispettivamente “capostipite” e “rivoluzionario” della Psicanalisi. La cosiddetta terapia familiare strategica è riferita all’esponente psichiatra e psicologo statunitense Milton H. Erickson (1901-1980); mentre caposcuola della cosiddetta Milan Approach è la psichiatra italiana Mara Selvini Palazzoli (1916-1999); e di quella dal punto di vista umanistico-esistenziale ne è il padre lo psichiatra e psicologo svizzero Ludwig Binswanger (1881-1966). Uno excurus storico ineccepibile, ma rapportandolo ad oggi è bene attuare le dovute proporzioni

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