Nel 60° della morte del Prof. Pietro Giani
Fu pioniere in Italia degli innesti di cornee di cane e cavallo
in pazienti umani affetti da cheratite herpetica
di Ernesto Bodini
A sessant’anni dalla morte
Pietro Giani, clinico e umanista, pioniere
dell’innesto di cornee animali nell’uomo, ricordando i suoi primi “esperimenti” eseguiti a Torino negli anni ‘60. Fra i molti personaggi che hanno lasciato alla cinofilia una
preziosa eredità tecnica e morale, va annoverata la figura
del torinese Pietro Giani. Passione che lo ha portato al ruolo
di giudice dell’Ente Nazionale Cinofilia Italiana (Enci) e ad
essere il primo a riproporre in Italia l’Epagneul Breton,
importando dalla Francia Celta la campionessa di bellezza, e
il Distac de Cornovaille, gran cane da lavoro. Ma Pietro Giani
è da ricordare soprattutto per un’altra importante ragione. Fu
apprezzato oculista per oltre sei lustri, dopo essersi laureato
in Medicina e Chirurgia a Torino (dove era nato nel 1904), con la tesi dichiarata e dignità di
stampa. Si dedicò agli studi di Batteriologia e Immunologia, in particolare sulla
immunizzazione dell’occhio con antivirus ed alcune ricerche microbiologiche sul tracoma
(malattia contagiosa a decorso cronico, provocata da un microrganismo che si localizza
all’interno delle cellule dell’occhio).
Affascinato dai problemi della cheratoplastica, iniziò una serie di autorevoli studi sui
trapianti corneali; una dedizione che gli ha permesso di dare un impulso alla disciplina
oftalmologica e “aprire” la strada ai trapianti. È stato il primo chirurgo nella storia
dell’Oftalmologia italiana che abbia tentato innesti parziali di cornee fresche dagli animali
all’uomo. Nel 1961 l’illustre clinico, dopo oltre 150 studi sulla cornea (con la collaborazione
dell’aiuto Tommaso Pansini, che aveva il compito di procurare al suo primario da 30 a 40
bulbi oculari ogni settimana, enucleandoli da animali destinati al mattatoio) aveva ripreso
in esame la possibilità di praticare etero innesti, rimettendo in discussione un vecchio
dogma, ossia l’impossibilità di usare cornee animali per trapianti corneali sull’uomo.
Confidando nei risultati ottenuti dal professor Paul
Payrau (insigne clinico all’ospedale Val de Grace di
Parigi) in seguito ad etero innesti, ma servendosi di
cornee trattate con la silicodissecazione, il prof. Giani
eseguì i primi due interventi il 15 aprile 1961, seguiti
da altri sei prima di giugno: innesti di cornea fresca di
cane perfettamente riusciti su sette pazienti, tanto da
essere presentati dal prof. Payrau e pubblicati in una
comunicazione sugli “Annales d’Oculistique”. Nessuno,
prima del clinico torinese, lo aveva mai fatto. Dopo
aver accertato che il paziente era cieco per scomparsa
della trasparenza corneale (la causa della cecità era la cheratite erpetica, una malattia che
colpisce l’uomo e alcuni animali a causa del virus herpes simplex), l’intervento del
“pioniere” torinese consisteva nella asportazione parziale della cornea opaca e alla
sostituzione con una cornea trasparente di vitello, cane o cavallo, effettuando così
l’innesto: unico rimedio, perché allora, non esistevano ancora appropriati farmaci antivirali.
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Con questa metodica il prof. Giani (aiutato dai colleghi
Amerigo Ligorio e Tommaso Pansini, oggi scomparsi)
ha ridato la vista a decine di persone affette da esiti
cicatriziali causati da leucoma corneale, «sia perché –
ha spiegato il dottor Pansini in una intervista rilasciata
a chi scrive qualche anno fa – il problema del rigetto
era ben “controllato”, grazie a un procedimento di
disidratazione iniziale del tessuto da innestare,
successivamente reidratato con soluzione fisiologica,
che ne riduceva il potere allergenico,; sia perché alcuni
animali, come il cavallo e il cane, sono immuni dalla forma virale erpetica che colpisce
l’uomo». Confortato da questi risultati Giani si convinse che la cheratoplastica poteva
tentare altre strade, sostenendo che il tessuto corneale animale, soprattutto del cavallo,
può essere trapiantato in sede solo extracorneale ma anche extraoculare per plastiche
mucose e cutanee. Un primo trapianto in una mucosa buccale fu fatto nel settembre 1962,
con ottimi risultati.
Nel corso della sua carriera Giani compì alcuni lavori sull’intolleranza agli arsenobenzoli,
sulla filtrabilità del batterio del tifo, sulla immunizzazione dell’occhio con antivirus ed
alcune ricerche microbiologiche sul tracoma. Frequentò la Clinica oculistica dell’ateneo
torinese, e in seguito fu assistente all’ospedale Oftalmico dove produsse lavori
sull’oftalmia dei neonati, sulla tubercolosi della congiuntiva, sugli aspetti anatomopatologici
delle neo formazioni congiuntivali. Nel 1934 conseguì la libera docenza in Clinica
oculistica ed Oftalmologia, e nel 1938 divenne primario all’ospedale Maria Vittoria di
Torino. Di animo generoso ed entusiasta e quindi di ampie vedute (credeva
nell’importanza della formazione di nuovi allievi), e schivo agli incarichi ed far parlare di sé,
fu anche un profondo umanista per la sua spiccata sensibilità artistica con la passione per
la pittura e il collezionismo. Si interessò inoltre delle religioni e storia dei Papi. Dopo la sua
morte (l’8 marzo 1963) l’indicazione di innesto di cornee animali per il trattamento della
cheratite erpetica non ebbe seguito, probabilmente per lo “scarso interesse” scientifico, ma
soprattutto perché alcuni anni dopo sono stati realizzati nuovi farmaci antivirali in grado di
curare tale affezione.
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