Chi vuole intendere intenda

 

PER L’ENNESSIMA VOLTA SULLE “FAMIGERATE” LISTE DI ATTESA

Il non rispetto di queste procedure sta diventando un’ossessione che ha dell’inverosimile, tanto che ci perseguita da molto prima dell’era pandemica, con infinite lamentele pubbliche. Inoltre, nonostante la crisi permane il diritto di avere un medico di fiducia e la libera scelta dello stesso

di Ernesto Bodini


In più occasioni ho sollevato, con diversi articoli, il problema delle liste di attesa per ottenere una visita specialistica od un esame strumentale in tempi consoni rispetto alle prescrizioni dei medici (codici di priorità). Dall’epoca della pandemia a causa del Coronavirus tali liste di attesa si sono accentuate ulteriormente, e ciò con notevoli conseguenze per il cittadino-paziente o potenzialmente tale; ma in realtà il problema risale a tempi assai antecedenti. Prima di entrare nel merito delle giustificate lamentele, ritengo utile rammentare qualche passo dal punto di vista giuridico, aspetto questo che il cittadino non considera praticamente mai. La Costituzione, come è noto, riconosce la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo, e la Corte Costituzionale ha qualificato l’infermo come legittimo cittadino-utente di pubblico servizio chi ha pieno e incondizionato diritto, comprendente tra l’altro la libera scelta del medico e del luogo di cura, e tale, gli viene reso in adempimento di un inderogabile dovere di solidarietà umana e sociale. In realtà questo principio non sembra tener conto del fatto che è dalla legge assicurato “nei limiti oggettivi” dell’organizzazione dei Servizi sanitari. Ne consegue che la scelta medesima debba intendersi come “diritto soggettivo” che, come tale, non tollera condizionamenti e/o menomazioni, bensì quale interesse legittimo, soprattutto nel “diritto affievolito” che si ha quando la Legge ne consente la comprensione, concretamente attuata con atto autoritativo (obbligo). La libertà di scelta è quindi “piena” per quanto riguarda l’assistenza medico-generica e pediatrica sul presupposto che, il rapporto con il medico di famiglia e il pediatra di libera scelta, si instauri essenzialmente sulla fiducia del paziente e sulla peculiare conoscenza di questo da parte del medico, ed è invece “limitata” quando si tratta di assistenza specialistica territoriale e ospedaliera, sull’altrettanto presupposto che emergano prevalentemente esigenze obiettive di competenza ed efficienza. La Corte Costituzionale ha riconosciuto piena legittimità, con sentenza n. 173 del 1987, alla Legge n. 12/1982, che subordina (art. 3) il ricorso ai professionisti e ai presìdi convenzionati per prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio al rilascio da parte delle Asl di una autorizzazione preventiva che viene accordata soltanto qualora la richiesta di prestazione non possa essere soddisfatta dalle Strutture pubbliche entro 3 giorni. Oggi, però, detta autorizzazione non è più necessaria: è sufficiente rivolgersi a qualunque Centro privato convenzionato (le Asl debbono fornirne l’elenco) per ottenere le prestazioni in tempi ragionevoli... Una disciplina, questa, che in ogni caso non può essere finalizzata ad una situazione di monopolio delle Strutture pubbliche, atteso che, secondo quanto precisato dal Minstero della Sanità (oggi denominato della Salute) l’autorizzazione al convenzionamento esterno resta per le Asl atto dovuto, privo di margini di discrezionalità: “… una volta che sia accertata la verifica dell’urgenza della prestazione e della inadeguatezza o carenza delle Strutture pubbliche a garantirla nel limite di tre giorni” (elevato a quattro, come da sentenza della Corte Costituzionale n. 506 del 1990, VI Sezione). È ovvio che per i malati oncologici, ad esempio, sussiste il carattere di urgenza, sia per approfondire una sospetta diagnosi, sia per iniziare o continuare la terapia in seguito a diagnosi conclamata. Purtroppo tale disposizione è sconosciuta ai più, ma ancor peggio è in parte disattesa (se non ignorata) dagli operatori amministrativi della Sanità, senza contare i casi della cosiddetta “corsia preferenziale” vietata dal buon senso e dalla Carta dei Servizi Pubblici (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19/5/1995). Oggi, ritengo siano ancora molti i cittadini che ogni giorno si presentano agli sportelli degli ospedali e delle Asl territoriali per prenotare esami e visite specialistiche, che sovente ottengono dopo mesi di attesa, oltre ai casi che addirittura rinunciano a farsi curare. E ciò,  nonostante l’entrata in vigore dell’ormai noto Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa (PNGLA), con l'obiettivo di incrementare l'efficienza e l'appropriatezza clinica, organizzativa e prescrittiva nell'utilizzo delle risorse disponibili nell'ottica di garantire la tutela della sanità pubblica dei cittadini, che peraltro prevede il rispetto dei cosiddetti codici di priorità che ricordo essere: Classe U (Urgente), prestazioni da eseguire entro 3 giorni; Classe B (Breve), prestazioni da eseguire entro 10 giorni; Classe D (Differibile), prestazioni da eseguire entro 30 giorni per le visite ed entro 60 giorni per gli accertamenti diagnostici; Classe P (Programmata), prestazioni da eseguire entro 120 giorni. Ma oltre alla sovente non disponibilità di ottenere le prestazioni mediche nell’osservanza dei criteri di priorità, il più delle volte si riesce ad ottenere una prenotazione distanti dalla propria sede residenza, se non addirittura in altre Province, un ulteriore disagio che penalizza una volta di più il cittadino-paziente; ecco che allora molti di essi si scoraggiano di fronte a tre alternative: accettare la prenotazione fuori residenza e in tempi biblici, rivolgersi ad una struttura privata con tanto di parcella, oppure rinunciare alla prestazione stessa. A questo riguardo vorrei rammentare che se il cittadino-paziente dovesse “aggravarsi” a causa della prestazione non ottenuta nei tempi prestabiliti, può chiedere il risarcimento dei danni sulla base dell’art. 185 del Codice Penale, in riferimento al danno non patrimoniale che include tutti i pregiudizi non immediatamente quantificabili economicamente, quali la sofferenza interiore, l’invalidità fisica e psichica, il peggioramento della qualità della vita di una persona. È pure utile sapere che in caso di inadempienze e “poca visibilità” degli Atti amministrativi, il cittadino-utente può avvalersi del Dpr n. 352 del 27/6/1992: “Regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dellart. 24, comma 2, della Legge 7/8/1990 n 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” (popolarmente nota come “legge della trasparenza”). Inoltre, è utile ricordare che ai sensi della legge 412/91 e della Circolare regionale (Piemonte) n. 821/77750 del 4/2/1992, i cittadini che non abbiano ritirato i referti entro 30 giorni dall’effettuazione delle prestazioni (esami di laboratorio, esami radiologici, esami strumentali, etc.), sono tenuti al pagamento per intero della prestazione fruita. È tuttavia corretto e doveroso tener presente situazioni di particolare difficoltà operative da parte dei pubblici Servizi sanitari come, ad esempio, la cronica carenza di medici e soprattutto di infermieri, la logistica e la impellente necessità di ristrutturazione delle strutture, etc. Situazioni per le quali, a mio avviso, gli operatori non devono “giustificare” il ritardo dell’erogazione delle prestazioni, ma valutare di volta in volta i casi che richiedono interventi urgenti adottando il criterio della inderogabile priorità.

L’inutile “sfogo” del cittadino-paziente attraverso i mass media

In questi ultimi anni si sono sommati sfoghi e segnalazioni di molti cittadini scrivendo ai giornali, o contattando giornalisti della televisione, per lamentare pubblicamente l’inefficienza del SSN e in particolare il non riuscire ad ottenere le prestazioni sanitarie in tempo utile e in vicinanza alla propria sede di residenza. Ciò è ovviamente legittimo, ma a quanto è servito e a quanto serve? I politici-gestori della Sanità pubblica sanno benissimo di queste difficoltà, ma leggendo tali lamentele sui giornali “non si impressionano” e raramente intervengono in modo adeguato per risolvere quella tal situazione, seppur grave ed urgente. Tra queste “lettere-sfogo” cito alcuni titoli: “Dopo quel ricovero mia figia ha perso fiducia verso ogni camice bianco” (Torino 22.4.1990), Attesa massima di un mese” (Torino 12.4.1999); “Trenta giorni d’attesa non sono eccessivamente lunghi” (Torino 18.4.1999), “Visite senza attese se si paga all’ospedale di Chivasso” (Torino 1/9/1999), “Ancora un amaro record: per la visita alla tiroide aspetti 18 mesi” (Torino 28/7/2000), “Chi non ha soldi può morire?” (Torino (29/7/2023). Questi esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito, anche perché molti “sfoghi-lamentele” provengono da tutte le Regioni, ma in concreto (tranne rare eccezioni) nulla si modifica e nulla si migliora in modo accettabile… E allora, quali considerazioni fare? Personalmente potrei dire di tutto e di più, pur salvaguardando l’innegabile dedizione e gli sforzi di molti operatori sanitari; ma ciò non toglie che il problema gestione sanità vada risolto a monte. E a monte chi c’è? Il politico-gestore di turno, un “faccendiere” che, seppur in buona fede, antepone i risultati economico-finanziari per far quadrare il bilancio..., penalizzando non di rado la salute dei suoi concittadini; e ciò per onorare la cosiddetta spending review e gli obiettivi da raggiungere. In sintesi, potrei richiamare alla memoria la famosa frase di Pirandello: «Così è, se vi pare», una affermazione che ci fa capire quanto la conoscenza della realtà sia intesa nel senso che ognuno di noi ha una propria visione della stessa, per cui la conoscenza di una realtà certa è impossibile… ma certamente innegabile come quella di una Sanità pubblica (italiana) sempre più alla deriva, alla faccia della Riforma 833/1978, e a seguire gli effetti deleteri del Federalismo.

 

 

 

 



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