IL PROBLEMA DEL SUICIDIO ASSISTITO
Un aspetto della nostra società ancora poco discusso, e che non trova unanimi pareri delle parti interessate. Intanto, i pazienti in questione continuano a soffrire e attendono…
di Ernesto Bodini
Di tanto in tanto veniamo a conoscenza di
pazienti affetti da patologie molto gravi, non solo oncologiche ma anche neurodegenerative come la Sla, la Sclerosi
multipla, la Corea di Huntington, il morbo di Parkinson, il morbo
di Alzheimer, le demenze senili, etc. Alcuni di questi pazienti, la cui malattia
è notevolmente in stato avanzato con
una serie di conseguenze psicofisiche ed assistenziali, invocano (è il caso di
dirlo) il diritto di porre fine alla propria esistenza. Una richiesta per certi
versi legittima e che nel nostro Paese è ancora molto dibattuta, ma per una
serie di ragioni giuridiche, etiche, religiose e culturali si tende per lo più
a tergiversare nonostante le “sollecitazioni” non solo dei pazienti interessati
ma anche di alcune associazioni e movimenti votati a sostenere questo diritto
che, detto per inciso, va inteso sotto l’aspetto umano in particolare. In buona
sostanza queste Persone, che mi permetto di usare l’iniziale maiusola, chiedono
di non soffrire e nello stesso tempo di non “essere di peso” a chi li assiste
(famigliari, caregiver, volontari, etc.) sia pur con particolare dedizione e
sacrificio. Questa realtà sta mettendo a dura prova la coscienza di molti, in
particolare i politici e il sistema sanitario, non solo perché sono in aumento
le stesse patologie oncologiche e neurodegenerative, ma anche per la notevole
gravità delle stesse e per tale ragione questi pazienti desiderano in piena
coscienza affidare la propria anima a Dio… Solitamente si tratta di Persone in
gran parte ancora giovani colpite dalla
patologia da diversi anni e, definire questo periodo essere un calvario, è mero
eufemismo. Per quanto si possa immaginare non si tratta di pazienti né stoici e
né “precocemente” arrendevoli, e l’idea di incontrare la morte prima della data
stabilita dal destino, sicuramente è stata valutata e maturata nel tempo…
sofferenza dopo sofferenza. Certamente taluni si saranno affidati alla proria
fede, e magari cercato ulteriore conforto in persone di culto, o forse anche in
medici, psicologici, etc. e, per quanto abbiano potuto avere una sorta di iniziale
sostegno morale, quest’ultimo nulla può di fronte al dolore in quanto tale. Ma
un aspetto per certi versi negativo di questa realtà sociale ed umana, è dato
dalla quasi totale indifferenza da parte della collettività: di premorienza
coscientemente desiderata (se non invocata) se ne parla ancora troppo poco,
tant’è che i mass media dedicano un certo spazio soprattutto quando subentra
un’azione che implica il coinvolgimento etico e legale, oltre a quello di cronaca
in quanto tale. È di questi ultimi giorni, ad esempio, il caso della 48enne
Laura Santi di Perugia che da 400 giorni attende una risposta dalla propria Ausl
1. Il suo caso è riportato da La Stampa del 28 maggio scorso, in cui si
evidenzia che la paziente, affetta da sclerosi multipla, il 20 aprile scorso ha
presentato una “richiesta” di verifica delle condizioni per poter accedere
all’aiuto medico alla “morte volontaria”, anche se di fatto l’interessata non
intende morire… non ora. Ma intanto il dilemma dell’attesa continua ad
esistere, ed è una sorta di ulteriore stillicidio il non sapere quando sarà
possibile acconsentire alla umana richiesta. Pur senza entrare ulteriormente in
merito alla vicenda di questa nostra connazionale, più intimamente sarebbe già
buona cosa se ciascuno di noi provasse ad immedesimarsi in situazioni come
questa, non solo per un piccolo gesto di solidarietà (seppur non percepito dai
pazienti interessati a questa esperienza), ma anche per il fatto che dobbiamo considerare
che potenzialmente potremmo trovarci a vivere una esperienza simile. Dire che
la vita è un dono prezioso è quanto meno retorico, ma personalmente ritengo
utile aprire e mantenere un dialogo su questo tema, al fine di poter sciogliere
qualche dubbio sui concetti di sofferenza e morte in simbiosi, pur sapendo che
la Scienza medica (in particolare clinici e ricercatori) dedica quotidianamente
ogni sforzo per combattere queste malattie. Personalmente ritengo che,
purtroppo, non si sia ancora raggiunto un sufficiente grado di maturità soprattutto
per comprendere e sostenere questi pazienti, che definirei di grande esempio
etico e morale.
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