CAUSE ED EFFETTI DELLA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA
Una relazione per spiegare quanto siano coinvolti la genetica e l’ambiente
di Ernesto Bodini
L’appuntamento al Molecular Biotecnology Center (MBC)
con i Lunedì dedicati alla prevenzione del 29 maggio scorso, ha ospitato la
relazione “La Sclerosi Laterale Amiotrofica: una congiura tra genetica e ambiente”, tenuta dal prof. Adriano Chiò (nella
foto), Ordinario di Neurologia e coordinatore del Centro Regionale Esperto per la Sclerosi Laterale
Amiotrofica (C.R.E.S.L.A.), con sede alla A.O.U. Città della Salute e della Scienza
(Ospedale Molinette di Torino). Anche se per questa malattia come di tutte le
altre neurodegenerative è assai difficile parlare di prevenzione, viene allora
da chiederci che cosa sta succedendo nell’ambito delle attuali conoscenze in
merito ai meccanismi della malattia SLA in particolare, anche per capire dove
forse si potrà arrivare per considerare gli aspetti della prevenzione e di
concerto con quelli della terapia. «La
Sla – ha esordito il relatore – è la
cosiddetta malattia del primo e secondo motoneurone, in quanto nella stessa si
interrompe il movimento dei muscoli, funzionanti ma che non ricevono più i comandi.
In relazione a questo “sistema motorio”, peraltro molto semplice se lo si
paragona a quello che causa, ad esempio, la malattia di Parkinson, risulta
interessante sapere che è anche il più recente nello sviluppo delle specie, in
quanto è presente in questa forma sostanzialmente negli esseri umani e nei
primati». Infatti, esiste in modo più “rudimentale” negli altri mammiferi, e
rappresenta un sistema che permette un controllo molto preciso delle funzioni
delle mani, che è una delle caratteristiche motorie fondamentali nell’essere
umano, come ad esempio la posizione del pollice che ci permette di fare una
presa. «Il paziente – ha spiegato il
relatore – si presenta con un’atrofia
degli arti superiori e delle spalle, oltre alla lingua ipotrofica. Nella
malattia si determina il fatto che oltre agli arti il paziente non riesce più a
muovere la bocca, a deglutire e a parlare, e soprattutto dal punto di vista della sopravvivenza sono
anche compromessi i muscoli respiratori, in particolare il diaframma con la
conseguenza della insufficienza respiratoria. Questi sono i segni di danno del secondo
motoneurone». La malattia è però molto più complessa ed è stata scoperta dal
neurologo francese Jean-Martin
Charcot (1825-1893) a Parigi nel 1869; ma oggi si sa che in questa patologia vi
è un’altra componente che è quella cognitivo-comportamentale: i pazienti hanno
disturbi definiti demenza fronto-temporale (nulla a che vedere con la malattia
di Alzheimer); e di recente sono state individuate delle alterazioni del
metabolismo (squilibri dei valori relativi ai lipidi, glicidi, etc.), fattore
questo su cui si sta lavorando proprio per capire i relativi meccanismi. In
merito al disturbo cognitivo il dato fondamentale evidenzia che da una parte vi
è la perdita della flessibilità mentale, ossia la capacità di risolvere i
problemi comportamentali (problem solving), e dall’altra in relazione al linguaggio,
alla cognitività sociale e quindi di riconoscere negli altri le emozioni o di
produrle; infine, i disturbi comportamentali che sono costituiti prevalentemente
da apatia. Sono sintomi talvolta “sfuggenti” ma che provocano problemi
importanti nella vita di relazione sociale di questi pazienti, oltre alla
famiglia che ne è fortemente coinvolta. «Benché
scoperta oltre un secolo e mezzo fa – ha spiegato il clinico – per circa 130 anni si è capito poco o nulla:
rispetto al suo autore Charcot le conoscenze non sono andate oltre. Tuttavia,
tra il 1991 e il 1992 è stato individuato il primo gene della malattia stessa,
e ciò ha permesso di capire alcuni dei meccanismi e quindi di produrre un
modello animale indicato per studiare la malattia, che può essere geneticamente
determinata, e per anni si è ritenuto che fosse causata da fattori ambientali.
Oggi, in realtà, si tratta di una presenza genetica oltre all’ambiente come
causa. Noi abbiamo una genetica più o meno stabile, come stabili sono i nostri
neuroni che non si replicano, mentre l’ambiente cambia continuamente». Ma
quali i fattori di rischio genetico? La genetica è l’aspetto meglio noto della
malattia e questo grazie al Progetto Human Genome Project, iniziato tra il 1998
e 1999 in relazione all’intero sequenziamento del genoma, ossia per conoscere
il genoma di una persona umana, peraltro dai costi esorbitanti.
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