Il dovere e diritto di sapere

 

SANITÀ E DIRITTI SEMPRE PIÙ VERSO IL PRIVATO 

Finché un popolo non sa o non vuole avvalersi anche dei più elementari diritti sanciti

dalla Costituzione e Leggi a seguire, sarà sempre più povero e solo con sé stesso

di Ernesto Bodini

 

Da molto tempo, ormai, il nostro Paese presenta lacune un po’ su tutti i fronti, e fare un commento su ognuno richiederebbe tempo e spazio. Mi limiterò, tuttavia, a prendere in considerazione quello relativo alla Sanità in quanto di comune e totale interesse. La prima cosa che intendo evidenziare sono le costanti lamentele del cittadino comune perché in molti casi non risce ad ottenere una determinata prestazione sanitaria e/o assistenziale nei tempi e nei modi dovuti, dovendo quindi “sottostare” alle fatidiche lunghe attese o al dover ricorrere alla sanità pubblica che peraltro, va ricordato, per quanto convenzionata e accreditata con il SSN, non prevede l’erogazione di tutte le prestazioni contemplate nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Ad esempio, la colonscopia la si ottiene dalla sanità pubblica (con i soli tempi canonici di attesa), oppure anche in sanità privata previo pagamento (mediamente 400,00-600,00 euro compreso eventuale esame istologico). Questo andamento che tende a non ridimensionarsi con varie giustificazioni che, a mio parere-convinzione, stanno assumendo una sorta di alibi “giustificato”, non solo getta nello sconforto i cittadini-fruitori, parte dei quali tendono a rinunciare a farsi curare, ma denota il fallimento di quella che per molto tempo è stata ritenuta una conquista, ossia il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), il cui ulteriore aggravamento è da imputarsi al cosiddetto Federalismo ottenuto con la Riforma del Titolo V della Costituzione. Così che rendendo autonoma ogni Regione, una delle conseguenze soprattuttuo in ambito sanitario,  è data dal fatto che le prestazioni sanitarie e assistenziali non sono omogenee; quindi, fortunato (si fa per dire) chi risiede in una Regione più virtuosa… Ora, di fronte a queste discrepanze e disuguaglianze quali causa dell’inosservanza di determinati diritti, peraltro sanciti dalla Costituzione, chi deve risponderne? A mio avviso, e per ovvia deduzione, è la Pubblica Amministrazione (che fa sempre capo alla realtà politica del momento); quindi non tanto da parte degli operatori ma dei politici-amministratori ai veritici e periferici. Ad esempio, si provi spiegare al cittadino le esigenze della cosiddetta spending review, come pure alla altrettanta esigenza di dover raggiungere determinati obiettivi, per l’osservanza dei quali, alcuni amministratori sanitari (anche medici-burocrati) tergiversano ad esempio nell’autorizzare la fornitura di un ausilio protesico, ancorché costoso nonostante sia inserito nei LEA regionali e nazionali. In merito a ciò parlo particolarmente a ragion veduta! Inoltre, si provi ad immaginare se una figura apicale della P.A. necessiti di una prestazione sanitaria e/o assistenziale dalla sanità pubblica, faccio fatica a credere che debba attenersi alle liste di attesa; e questo vale anche per certi altri “soloni” in tale ambito. Se la salute e la vita sono un bene prezioso comune devono essere rispettate e garantite in modo univoco, e quindi senza distinzione alcuna, nel rispetto ulteriore (per entrambi) dei codici di priorità. Tutto ciò è un fatto di coscienza e di legalità che il cittadino in caso di inosservanza può contrastare, come ripeto da sempre, con l’arma della diffida cautelativa (a mezzo raccomandata a/r) con richiesta esplicita di riscontro; a patto, però, che l’interessato abbia tutti i requisiti in regola dimostrabili e non opinabili. Ma purtroppo ciò non accade, se non in rarissime eccezioni (di cui io faccio parte), con il risultato che di questo passo la situazione non cambierà mai.

Dunque, chi deve provvedere per rimediare o ridimensionare questo malcostume se non chi è deputato a governare? Se chi sta al potere che volutamente si è candidato e fatto eleggere (da chi è da stabilire ogni volta) non è in grado di gestire, compresa la sua coalizione (per usare un termine corrente), è bene che dia spazio a quel poco che è rimasto della sua “onestà intellettuale”, rimettendo il suo mandato e il suo incarico! Ecco che allora, forse, sul campo resterebbero pochi “eletti” sperando che siano migliori, o comunque meno lesivi del sistema. Ma purtroppo, si sa, il potere affascina un po’ tutti, come il godimento di una certa visibilità e conseguente vitalizio a scadenza mandato. E non mi si venga a dire che ambire ad una carica pubblica locale, o ai massini vertici, è un dettato di puro dovere morale e sociale, che personalmente non credo…, proprio perché gli uonini che hanno dentro di sè la grandezza non entrano in politica e, per i più cocciuti, vale quanto sosteneva Platone: «L’accesso al potere dev’essere limitato agli uomini che non ne nutrono la passione». Ma come ben sappiamo, o dovremmo sapere, ogni sistema per governare un Paese è lecito… fino a prova contraria. E quanto sinora esposto ha nulla a che vedere con anarchia o simili congetture, bensi ad un ipotetico accostamento alla filosofia socratica che, rapportandola ai tempi nostri, potrebbe avere un senso se tutti fossimo maggiormente coalizzati nel saper rivendicare i propri diritti in modo intelligente, avvalendosi delle armi della conoscenza e della legalità espresse sempre nero su bianco: verba volant, scripta manent! Ancora una volta, provare per credere.

 

 


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