L’AMORE E LA FELICITÀ
SECONDO SCHOPENHAUER
Un filosofo d’altri tempi
che ci ha tramandato l’essenza di una sensazione e di
un sentimento che,
soprattutto gli uomini d’oggi, farebbero bene a considerare…
pur non essendo filosofi
della vita, rispettando l’animo e la vita della controparte
di Ernesto Bodini
Anni fa mi furono regalati diversi libri che
andarono ad incrementare la mia libreria che ho arricchito acquistandone in
continuazione anno dopo anno. Per passione e per professione molti gli
argomenti che la compongono, e fra questi un certo spazio lo occupano i
maggiori filosofi dei secoli scorsi, quasi a voler testimoniare il loro
“impero” nei confronti di tutti gli altri autori, sia pur non meno importanti.
Ma da quali tra questi filosofi ne ho tratto e continuo a trarre spunti di riflessione
se non anche di qualche piccolo insegnamento per meglio concepire i problemi
esistenziali? In particolare da Söeren Kierkegaard (Copenaghen 1813-1855) e
Arthur Schopenhauer (Francoforte 1788-1860, nella foto); due autori
contemporanei di diversa estrazione ma accomunati per certi versi da una certa
dose di pessimismo che, a mio parere, non solo rispecchiava la propria indole ma
soprattutto l’epoca in cui sono vissuti. Mentre di Kierkegaard ho già scritto diversi
articoli commentando alcuni aspetti della sua “forma mentis”, di Schopenhauer
vorrei evidenziare una delle sue teorie, che poi sono convinzioni, riguardo
all’amore e alla felicità; e questo non perché mi interessi particolarmente, ma
perché l’argomento è oggetto di attualità in riferimento al comportamento
dell’uomo verso la donna (e più raramente viceversa), quest’ultima sempre più
vittima di un rapporto conflittuale e di un sentimento sbagliato… più o meno
inconscio. Mi rendo conto che sviluppare questo aspetto è cosa assai delicata,
ma ciò non toglie che sia giusto provare a fare una “timida” analisi (per
meglio comprendere) estrapolando le serie e consolidate considerazioni del
filosofo tedesco. Solitamente si dà per scontato che tutti, più o meno, ci siamo
fatti un’idea della felicità che l’amore può dare e, che questo sentimento,
rappresenti quasi sempre la priorità nelle relazioni umane in grado il più
delle volte di cambiare il corso della nostra vita, e forse è per questo che i
filosofi (di un tempo) abbiano dedicato all’amore una grande attenzione. Ma
sono proprio questi i deputati ad analizzare il concetto dell’amore, oppure
dovrebbero occuparsene poeti, commentatori, psicologi, sociologi o altre
figure? Ma se vogliamo lasciare ai filosofi questo “merito-prerogativa”, a
pieno titolo lo merita Schopenhauer che addirittura considerava tale sentimento
la sua preoccupazione principale. Dal punto di vista pseudo romantico egli fu
l’unico filosofo che pare aver compreso
l’intensità di ciò che sentiamo quando siamo innamorati; ma evidenziava essere
un errore pensare che l’amore avesse attinenza con la felicità. Lui era solo,
si è innamorato un paio di volte ma non si è mai sposato e, ciò nonostante, era
amaramente misogino. Di primo acchito sembra una contraddizione ma
paradossalmente non lo è, proprio perché io credo che considerasse anzitutto la
Persona e poi il sentimento dell’amore. È una constatazione che a mio avviso ha
del profondo proprio perché filosofo della vita e delle relazioni umane.
Sbirciando alcuni aspetti biografici sappiano che nel 1821, a 33 anni, incontrò
una donna, alla quale piaceva; era una cantante lirica e attrice teatrale di
nome Caroline Madon (1802-1882) che avrebbe voluto sposarlo, ma lui rifiutò
sostenendo che «sposarsi significava fare
tutto il possibile per rendersi reciprocamente oggetto di disgusto!».
Infatti, e forse era destino, dopo alcuni anni di tormentata e coinvolgente
relazione la stessa si interruppe e il saggio continuò a cercare l’amore… ma sempre
con minore successo, anche se nel 1831 si innamorò di Flora Weiss, una bella ed
avvenente 17enne, ma oltre al fatto di aver tentato di conquistarla, non si
hanno particolari notizie in merito. Ma è negli ultimi anni della sua vita che
la fortuna gli si fece amica conoscendo Elisabeth Ney (1833-1907), una
attraente scultrice tedesca che ammirava la sua filosofia tant’è che gli dedicò
addirittura un busto. Anche se molto graziosa e riconoscente per quella
scultura a lui dedicata, questa “amabile” conoscenza non rappresentava per lui il
culmine della vita felice e romantica. Ma come può un uomo, un filosofo
insegnarci come considerare l’amore? Le sue apparenti “contraddizioni”
interiori ci potrebbero fuorviare, ma in realtà non è così perché resta il
fatto che l’amore è un’emozione spesso intensa in grado di impossessarsi della
nostra vita, colmandola ogni istante. Schopenhauer ci invita ad essere più
“tolleranti” con noi stessi a fronte della ossessività e della disperazione
(delusione), cui andiamo incontro quando l’amore non risponde alle nostre
aspettative…; e nello stesso non sorprenderci troppo quanto dolore possa
provocare un rifiuto, in caso contrario significherebbe ignorare cosa avrebbe
comportato un successo amoroso. Ed è umano che più o meno tutti ci lasciamo
trasportare dai racconti delle storie d’amore, vissute o immaginate e mai realizzate
sperando che qualcuno possa renderci felici. Non era così per Schopenhauer che
non condivideva smancerie amorose, men che meno quelle che ai suoi tempi erano
le cene a lume di candela, in quanto tali effusioni corrispondevano ad una sola
esigenza biologica, ossia la perpetuazione della specie che egli definiva
“volontà di vita”, un’astuzia della biologia che ci induce a generare figli;
quindi non romanticismo ma schiavi della cosiddetta, appunto, “volontà di
vita”. Secondo Schopenhauer le persone sono indotte in modo inconscio nel
relazionarsi: «Il momento stesso in cui
due persone sono attratte l’una dall’altra – affermava –, coincide con la nascita di un “nuovo
individuo», ovvero, prosecuzione della specie. Ma perché ci si innamora
(lui di lei, e lei di lui)? E perché di una persona piuttosto di un’altra? Egli
sosteneva che tendiamo ad innamorarci delle persone che possono annullare le
nostre imperfezioni, e con le quali possiamo generare figli fisicamente ben
proporzionati e mentalmente stabili; in sostanza una ricerca di equilibrio ma
sono comunque le ragioni biologiche che portano ad innamorarci, e forse proprio
per queste mi sembra di poter dedurre che senza produrre prole nella maggior
parte dei casi l’innamoramento è fine a se stesso. Naturalmente le eccezioni
non sono mancate, non mancano e non mancheranno e anche senza amore non è detto
che non si possa inseguire la felicità sia pur non facilmente, in quanto, sosteneva lo scrittore e aforista francese Sébastien-Roch Nicolas, meglio come Chamfort
(1741-1794): «la felicità è molto
difficile trovarla in noi, e impossibile trovarla altrove». Ora, volendo
considerare l’amara parentesi dell’improprio possesso dell’uomo verso la donna
io credo che, tolti i casi di scarsa cultura e gretta ignoranza, non si può non
tener conto dell’ordine ancestrale che la vita altrui, come la nostra, non
appartiene ad alcuno… disturbarla o sopprimerla sono azioni che non si possono
concepire, anche se l’ordine “naturale” delle cose comprende ambedue i verbi.
Per concludere richiamerei il concetto sulla
“inferiorità delle donne”, al quale Schopenhauer dedicò un saggio che testualmente,
in parte, cito: «… le donne sono direttamente adatte ad agire come infermiere e
insegnanti della nostra prima infanzia per il fatto che sono esse stesse
infantili, frivole e miopi"; le donne sono carenti di facoltà artistiche e
senso di giustizia… Inoltre, la donna è per natura destinata a obbedire». In effetti, come è noto, Schopenhauer è stato
etichettato come un misogino senza rivali nella filosofia occidentale e,
sebbene il filosofo offra alcune valutazioni positive della donna, è facile
immaginare i commenti e le reazioni che tali idee scatenerebbero oggi. Mi rendo
conto che, approcciare un tema come questo rievocando le convinzioni di un
saggio come Schopenhauer, è anacronistico soprattutto se in me, estensore, vi è
un timido tentativo di considerazione di una filosofia che varrebbe la pena non
diseredare e al tempo stesso rivalutare, nel vero senso del termine, la figura
della donna in quanto Essere che a prezzo di notevoli sacrifici, si è conquistata
il diritto di parità e uguaglianza rispetto all’uomo, talvolta suo avversario…
A conforto del genere femminile saggio è il suggerimento della pittrice
messicana Frida Kahlo (1907-1954 – nella foto) : «Innamorati di te, della vita e dopo di chi vuoi». E soprattutto
oggi, sarebbe da aggiungere, con tutte le precauzioni del caso!
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