Diritti umani e dignità

 

L’INALIENABILE VALORE DELLA DIGNITÀ E DEI DIRITTI UMANI

Ben poco servono le manifestazioni di piazza per “intenerire” coloro che intendono privare i loro simili della libertà e della vita. Far sentire la propria voce non basta: servirebbero ulteriori e concrete “azioni diplomatiche di forza” a costo di alcuni compromessi… purché leciti e razionali

di Ernesto Bodini

Da sempre un po’ ovunque le ingiustizie popolari vengono contestate con manifestazioni di piazza: cortei e slogan a furor di popolo invocando soprattutto libertà e abolizione della pena di morte, laddove permane un Stato oppressivo e dispotico. Ma in molti casi, purtroppo, specie se si tratta di Paesi di religione musulmana ed altre analoghe, queste invocazioni (per quanto plateali) non scalfiscono minimamente il cuore e la coscienza dei dittatori, che si reputano padroni assoluti della libertà e della vita altrui, connazionali e non. Purtroppo anche in Paesi più “civili” come gli Stati Uniti, di cui un terzo degli stessi mantiene in vigore la pena di morte, per non parlare dei molteplici casi in cui si perpetua l’abuso di potere da parte delle Forze dell’Ordine. Ora, se nel mondo sono ancora 55 i Paesi in cui è in vigore la pena di morte, significa che l’uomo in gran parte non ha fatto alcun progresso disconoscendo tutto ciò che rientra nei concetti di civiltà, libertà e uguaglianza. Ho detto cose scontate? Certo, ma di sicuro vale la pena ribadirle con l’obiettivo di sollecitare i politici dei Paesi più evoluti affinché si impongano per far rispettare i Diritti Umani nel resto del mondo. Anche se per una serie di ragioni certi Paesi orientali non possono essere “invasi” e non osteggiare il loro regime ancestralmente precostituito, specie se a dominarlo è la loro religione e, per certi versi, anche la cultura, non è detto che non ci si possa mettere a tavolino e studiare ogni possibile strategia… magari anche a condizioni di compromessi. Personalmente, oltre a non avere nozioni di politica internazionale, e come fin qui mi sono espresso, posso essere giudicato un ingenuo se non anche un illuso perché se conflitti di una certa gravità non si sono mai risolti, anzi tendono a peggiorare, si deve dedurre che perseguire fini umanitari deve superare ogni forma di utopia. Ma ciò nonostante mi si lasci dire perché vorrei richiamare tutto ciò che riguarda i diritti umani universali, quindi includendo in particolare quei Paesi (che non sono estranei al Pianeta) in cui il tanto invocato Allahu Akbar (secondo gli arabi è il Dio più grande, e magari unico). Ma per quanto può sembrare retorico, è bene farsi questa domanda: cosa sono i diritti umani? Prima di procedere ad una risposta, è bene richiamare il concetto di dignità sul quale si sono espressi alcuni filosofi dei secoli scorsi, tra i quali Arthur Schopenhauer (1788-1860) che ci ricorda quanto è diventata sempre più importante la parola dignità nel dibattito etico e politico contemporaneo. E non è certamente un caso se tale termine compare spesso nel dibattito morale in ambito religioso, come è preminente nella religione cattolica; mentre non mi sembra sia considerato in quella di fede islamica, un’assenza aggravata da una contorta cultura che non intende alcun confronto. Ripetiamo pure la parola dignità in quanto oggi sempre più centrale quando coinvolge i diritti umani, ed è ciò che più si avvicina a un fondamento universalmente accettato per la regolamentazione della vita civile, oltre ad essere considerato in numerose costituzioni, convenzioni e dichiarazioni internazionali. A tal riguardo l’art. 1 della Dichiarazione universale evidenzia “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”, e a me sembra calzante quanto sostiene il teologo tedesco Jurgen Moltmann (1926): «La dignità di ogni essere umano è radicata nel suo essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio». Volendo approfondire, sia pur sinteticamente questo concetto, ancora più incisive sono le osservazioni del filosofo e politico giuridico americano Joel Feinberg (1926-2004) quando scriveva che «ciò che chiamiamo “rispetto per le persone”, a ben vedere, potrebbe essere semplicemente il rispetto dei loro diritti, in modo tale che non possa esserci l’uno senza l’altro; e ciò che chiamiamo “dignità umana” potrebbe essere semplicemente la capacità riconoscibile di pretenderne il rispetto. Ne consegue che rispettare una persona, o considerarla dotata di dignità, vuol dire semplicemente concepirla come potenzialmente in grado di avanzare delle pretese legittime». Riprendendo con maggior forza il concetto dei diritti umani rammento che il 6 gennaio 1941 Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) pronunciò un famoso messaggio al congresso degli Stati Uniti, in cui proclamò che in tutto il mondo e a tutti gli uomini dovevano essere riconosciute quattro fondamentali libertà: libertà di coscienza, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura. Radici di un immenso albero, quello dei riconoscimenti dei diritti umani, cui seguì la Dichiarazione Universale nel dicembre 1948. Ma già esistevano il Bill of Rights inglese del 1689, la dichiarazione americana del 1776 e quella francese del 1789; ma mancava un testo che valesse per tutti e che realizzasse l’idea kantiana che la violazione di un diritto in un Paese desta scandalo nel resto del mondo, come scriveva il giurista Antonio Cassese (1937-2011) in “Voci contro la barbarie”, che narra la battaglia per i diritti con le voci di chi l’ha combattuta. È pur vero che di diritti umani oggi se ne parla anche troppo, come è altrettanto vero che sono ancora troppo timidi i tentativi per far giungere il senso di giustizia e uguaglianza a quei capi di Stato che si credono eterni ed assolutoi padroni della vita altrui, paradossalmente loro stessi connazionali, e se è la religione il primo “leit motiv” per giustificare tale assurdo dispotismo con diritto di vita e di morte, evidentemente essi concepiscono le origini dell’esistenza umana che non fa capo ad un Dio unico, universale, ma a quello che credono essere l’unico esistente: il loro! Mi si conceda il beneficio della tolleranza in quanto non esperto di questioni filosofiche e soprattutto politico-religiose, ma allo stesso tempo la considerazione di voler mettere in particolare evidenza che la vita umana è una sola… ed è fin troppo misteriosa ed effimera per volerla sopprimere (ci pensa fin troppo “generosamente” la Natura con gli eventi e le malattie).


Ma purtroppo tale realtà, che ha coinvolto epoche e civiltà diverse, non è mai stata illuminata da un minimo senso di razionalità… forse perché certi esseri umani non sanno che cosa significa umanità. Una ignoranza invalicabile che deve essere affrontata con più concrete “azioni diplomatiche di forza” delle quali, ovviamente, non ho alcuna competenza ma non per questo non debbano essere ulteriormente valutate ma, se fosse possibile, sarebbe l’unico caso “ammissibile” il compromesso… purché lecito e razionale. La stesura di questo articolo, quale osservatore e opinionista dei fenomeni sociali e quindi divulgatore degli stessi, vuole essere un modesto contributo rivolto ai cosiddetti uomini di potere più saggi (ed umani), affinché si attivino se non si vuole assistere quotidianamente alla alineazione di molti esseri umani, il cui rispetto della propria dignità equivale alla condanna di se stessi. Ora se da un po’ di tempo stiamo assistendo (inermi) alla soppressione dei diritti e della vita di molte persone e delle donne in particolare, credo che siano da considerare ulteriori motivazioni che ciascuno può ipotizzare, ma con l’accortezza di non individuarle direttamente o indirettamente responsabili, poiché il genere umano va inteso indipendetemente dal sesso e dall’etnia (si noti che non ho usato la parola “razza”) di appartenenza. E vorrei concludere con un passo della preziosa opera Storia dei diritti umani (Ed. Il Mulino, 2008, pagg. 371) dello storico e docente Marcello Flores: “I diritti umani, nel corso della storia, sono sorti per limitare il potere ma, così facendo, lo hanno spesso legittimato attribuendogli nuove responsabilità. È in questa dialettica tra diritto e potere, che trova nel campo della politica il momento di sintesi, che la società civile può avere la maggiore opportunità – come è successo nei secoli passati – per riuscire a imporre delle trasformazioni radicali nel nome della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia».

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