UN CASO DI SINONIMIA POCO CONOSCIUTO

 

I “DELICATI” CONCETTI DI EVERGETISMO E FILANTROPIA

Quando le buone azioni sono espresse dal pragmatismo

e dalla loro corretta definizione etimologica

 

di Ernesto Bodini

Di tanto in tanto alcuni giornali ci portano a conoscenza che nel mondo esistono alcuni filantropi, ossia persone che dotate di una certa ricchezza (denaro e possedimenti di varia natura) decidono di devolverla in gran parte al prossimo. Oltre a stabilire il concetto di filantropia, viene da chiederci con quale criterio vengono individuati i beneficiari della loro generosità, ma questo è forse irrilevante in quanto nessuno ha il diritto di sondare le ragioni più intimistiche di una benevola azione. Cominciamo allora ad analizzare l’etimologia. Per filantropia si intende amore puramente operoso degli uomini, spinto a soccorrersi gli uni con gli altri per il solo fatto che appartengono alla medesima specie. Un impegno, questo, che induce ad orientarci in una direzione e non in ogni direzione, ovvero il rispetto della dignità umana. L’evergetismo, per certi versi sinonimo, è un termine coniato dallo storico e letterato francese Andrè Boulanger (1886-1958), e più recentemente dall’archeologo e storico francese Paul Veyne (1930) e deriva dall’espressione greca “fare buone azioni”; indica la pratica diffusa nel mondo classico, di elargire benevolmente doni alla collettività apparentemente in modo disinteressato. Ma pratiche ed azioni evergetiche sono testimoniate già nell’antica Grecia, e prima ancora in altre culture come quella egiziana. Azioni che, nei vari periodi e magari anche in vari modi, hanno avuto un importante ruolo nelle rispettive società nell’interazione tra la sfera del privato con quella pubblica, assumendo via via la connotazione di un fenomeno che si colloca tra l’economico e il sociale, tra i cittadini e i dirigenti; come pure tra le politiche culturali e il welfare. Nel mondo moderno, e quindi quello attuale, è possibile ravvisare un segno di continuità con la ripresa di queste pratiche, a partire da alcune società i cui processi di sostegno alla Cultura e al Welfare ad opera di privati e delle imprese, sono stati facilitati anzitempo per merito di politiche fiscali. Ed anche in Europa, a cominciare dalla Francia e dalla Germania, così pure anche in Italia, è possibile per il privato cittadino sostenere la Cultura potendo attivarsi in modo evergetico, assumendo una dimensione civica che si distingue però dalle altre forme di generosità giustificate dalla pietà religiosa, dalla carità o dal semplice mecenatismo, così come dai benefici legati alle relazioni personali. Approfondendo non si può sottacere che talvolta il concetto di filantropia implica anche quello di compassione, in quanto Arthur Schopenhauer (1788-1860) considera la filantropia simile al concetto menandreo che nasce dalla compassione intesa nel significato originario come l’atto del patire insieme, ossia del provare il dolore condiviso originato dalla comune miseria umana, per cui chi cercherà di alleviare quella sofferenza renderà più attenuata anche la sua divenendo giusto filantropo. E a questo proposito ben si inserisce, a mio avviso, quanto sosteneva Mark Twain (1835-1910): «Il dolore possiamo sopportarlo da soli, ma per apprezzare in pieno la gioia dobbiamo avere qualcuno con cui condividerla».

L’argomento filantropico, dunque, si estende se si vuole concepirlo anche dal punto di vista della cristianità, poiché proprio nella morale cristiana la filantropia, come strumento per alleviare le sofferenze umane ispirato dalla razionale compassione delle comuni miserie umane, viene distinta dalla carità che rappresenta la completa realizzazione delle spirito dell’uomo che, attraverso essa, realizza il comandamento dell’amore lasciato da Gesù Cristo ai suoi discepoli: «Amatevi come io vi ho amato». Una esortazione tanto semplice quanto accorata che, se osservata da tutti, non avrebbe bisogno di vocaboli quali filantropia ed evergetismo. Ma agire nel bene e per il bene manifestato con sentimenti ed opere di solidarietà rievoca quanto sosteneva Albert Schweitzer (1875-1965 – nella foto): «Noi non siamo per nulla liberi di volere o non voler del bene ai popoli d’oltremare, noi siamo tenuti a fare del bene. Questo bene non lo dobbiamo considerare come una generosità da parte nostra, ma piuttosto come un’espiazione o una ricompensa per tutto il male che noi abbiamo fatto a loro. E' tempo che qualcuno venga per aiutarli».

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