PER NON DIMENTICARE MAI

 

NELLA GIORNATA DELLA MEMORIA QUALI ESEMPI

DA APPRENDERE DALLA STORIA 

Le infinite pagine ci fanno conoscere i molteplici risvolti del comportamento umano: dalle più assurde nefandezze ai più illuminati esempi di bontà. Sta a noi tutti una scelta più responsabile

di Ernesto Bodini

Da sempre i mass media, e non solo, ci rammentano vicende di vita quotidiana corredate di nomi e date che, ben analizzando, mettono in luce le debolezze umane. Relativamente al passato mi riferisco ad esempio ai grandi conflitti che hanno coinvolto molte popolazioni, e in particolare alle due guerre mondiali che tanto scempio hanno procurato sopprimendo la vita di milioni di persone, e di altrettante ferite in parte con conseguenze invalidanti e irreversibili. Certamente molto si è studiato cercando di entrare nel labirinto della mente umana, con l’intento di scoprire e capire cosa avviene all’interno di essa; ma nonostante numerosi studi e sforzi in realtà quel labirinto è tuttora avvolto nel mistero, anche se in parte certi comportamenti sono segni premonitori… A questo riguardo i cronisti sbagliano continuamente quando, nel descrivere un delitto, nell’ipotizzare una causa citano il classico “raptus di follia”, una definizione che in psichiatria è ritenuta impropria. Ma perché questo preambolo? In realtà la mia attenzione è volta a rammentare la Shoah (dall’ebraico “tempesta devastante”), ovvero lo sterminio del popolo ebraico ad opera dei nazisti durante il secondo conflitto mondiale, con la precisazione che tale termine è preferito a Olocausto in quanto quest’ultimo non richiama l’idea di un sacrificio inevitabile. In questi ultimi tempi si è dato notevole risalto a testimonianze di chi ha vissuto in corpore vili in quell’epoca e che, oltre a fotografie, documentari filmici e reperti vari, ci hanno fatto conoscere quanto di più atroce (e incomprensibile) l’uomo possa fare nei confronti dei suoi simili e delle Natura. Leggendo o rileggendo tra le righe alcuni passi storici di quel periodo non si può che inorridire, e mi risulta a dir poco inconcepibile come si possa odiare un popolo come gli ebrei, e chissà per quali ragioni, se non il fatto essere un popolo retto, intraprendente, solidale e ricco di storia. Ma anche se non si conosce nei particolari la storia di un popolo non è certo una buona ragione per detestarlo a priori sino a considerarlo inferiore: ma non siamo tutti figli di un unico Dio, sia pur con un nome diverso? Evidentemente, per esempio, non per Hitler, Stalin, Pinochet, Ivan il Terribile, Tito, Ceausescu, e più indietro nel tempo la congrega della Santa Inquisizione ossia l’istituzione fondata dalla Chiesa cattolica per indagare, mediante apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica (le eresie), per non parlare poi delle assurdità compiute e che compiono gli islamici il cui credo si esprime da molto tempo infierendo su quelli che ritengono nemici del loro “Dio”. Ma tornando alla Shoah, noi delle ultime generazioni siamo fortunati nel non aver vissuto in quell’epoca, e ciò nonostante ci lamentiamo della nostra realtà in cui viviamo. È giusto questo? Di primo acchito verrebbe da dire che ci lamentiamo a “torto”, ma nel contempo è umano voler vivere in pace e in democraticità, senza però dimenticarci di chi ci ha preceduti nella sofferenza, magari con una breve preghiera e se non anche comportandoci con altruismo verso il prossimo a noi vicino. Infatti, se pensiamo alle innumerevoli privazioni e divieti imposti dalle leggi razziali, oggi più che mai dovremmo essere più comprensivi e più tolleranti gli uni verso gli altri; ma questo spesso non si verifica perché, nonostante tutto, l’ingordigia, l’orgoglio, la presunzione, l’arroganza, l’irrazionalità e la sete di potere sono caratteristiche che continuano ad accompagnare l’uomo e, quel che è peggio, è che nonostante si continui a diffondere ciò che è stato, sono ancora molti quelli che non vogliono sapere compresa la schiera dei negazionisti. Ma io credo che anche il ruolo della politica “più moderna”, un po’ in tutti i Paesi, spesso determina (in bene o in male) il destino degli esseri umani con il risultato che si dice esseri tutti uguali, ma in realtà siamo tutti diversi, perlomeno sul piano individuale. Approfondire questo argomento, oltre ad essere inesauribile, non spetta a me che non ho ulteriori e specifiche competenze storico-didattiche, ma con il presente articolo ho voluto citare come primo esempio la Shoah “stimolato” dalla ricca documentazione che è ormai accessibile a tutti, attraverso la quale sollecitare un dibattito anche tra opinionisti (esperti e non) e cercare di comprendere al meglio il valore della vita umana, ribadendo il concetto cristiano che nessuno è padrone della vita altrui e nemmeno della propria. Forse popolazioni di altre religioni impostate sull’estremismo comportamentale dissentiranno, ma va da sé che il Giudizio finale riguarda egualmente tutti, che si creda o meno! In buona sostanza le occasioni e i mezzi per sapere e approfondire non mancano ma è bene che tutti i mass media continuino a diffondere non solo quello che è stato e perché, ma anche invitando a dare il buon esempio. A volte per molti di noi è sufficiente un piccolo gesto per dire: «Anche tu sei mio fratello!». Qualche esempio illuminato? Biografie e autobiografie ce ne sono e per citarne alcune ricordo Albert Schweitzer (1875-1965), medico filantropo in Gabon; Don Carlo Gnocchi (1902- 1956), papà dei mutilatini e dei poliomielitici; Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), famosa in tutto il mondo per il suo lavoro tra le vittime della povertà; Martin Luther King (1929-1968), leader per i diritti civili degli afroamericani; Maria Montessori (1870-1952), grande educatrice e pedagogista il cui metodo è riconosciuto in tutto il mondo. Ma anche la giovane Annelies Marie Frank (1929-1945) che, nonostante la giovane età, con il suo esempio di non rassegnazione ci ha dimostrato l’importanza di credere ancora nell’uomo, come testimonia un passo del suo Diario (che più volte ho letto con un certo sentimento di immedesimazione): «È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze, perché esse sembrano assurde e ineluttabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Vi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione… Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure; partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità».

Se ne potrebbero citare altre di figure illuminate, ma credo che la conoscenza di questi primi esempi, sia sufficiente per capire di quanto bene ha bisogno l’umanità, a patto che il progresso (e la politica) non sia di ostacolo incentivando tutto quel benessere di cui a volte possiamo fare a meno. La mente umana farà il resto, ivi compresi meno lustri e più sobrietà. Tra le recenti pubblicazioni per la Giornata della Memoria particolarmente coinvolgente sul piano umano, oltre che per lo stile narrativo, “Le Donne nella Shoah” (Ed. Susalibri, 2022, pagg. 160) della giornalista e scrittrice torinese Bruna Bertolo. Una ricca raccolta di testimonianze sulla deportazione femminile, in quanto oltre alle innumerevoli privazioni subirono ogni atto di violenza, tanto da ledere la loro femminilità nel fisico e nell’animo. Nomi e cognomi, luoghi e date si sommano a vicende di estrema esasperazione e indicibili sofferenze, il tutto ad opera di quelle menti contorte che hanno fatto dell’antisemitismo, odio e razzismo la massima espressione che si può sintetizzare nella parola “indifferenza”. Il volume, che comprende una discreta serie di immagini (in bianco e nero e a colori) dal toccante realismo, e scelte con cura dall’autrice, è un ulteriore “invito” ad entrare in quella realtà che non può non restare impressa in chi le osserva e, con un minimo di “solidale fantasia”, partecipare idealmente al dolore delle vittime ed essere noi tutti eredi per tramandare, affinché la storia e il vissuto di ognuno di loro possano insegnare ad essere più umani gli uni verso gli altri.

Commenti