QUANTO COSTA LA CARENZA CULTURALE
IN MATERIA DI SANITÀ
Rievocare le opere dei pionieri nell’ambito della Medicina non può che giovare per meglio comprendere il loro contributo e apprezzare il valore della vita umana di tutti. Antivaccinisti compresi
di Ernesto Bodini
Forse non è sufficiente una
pandemia, oppure nemmeno un ulteriore conflitto per rinsavire menti “contorte”
che sono disposte a rischiare la propria vita e, come se non bastasse, mettendo a sicuro
repentaglio quella altrui. Trattasi, a mio parere, non di stoicismo ma di una
assurda ottusità mista ad egoismo, trincerandosi dietro ad un discutibile
ideologismo-convinzione per negare sia l’esistenza della Sars-CoV-2 che i
realizzati vaccini… ormai quasi totalmente sicuri (va però detto che nessun
farmaco o prodotto terapeutico da introdurre nell’organismo umano è privo di
effetti collaterali o eventi avversi e/o indesiderati). Eppure, sono milioni i
decessi per aver contratto il virus (prima della terapia profilattica), ed
altri che lo hanno contratto per non essersi sottoposti alle vaccinazioni, due
terzi dei quali (in parte “pentiti”) sono attualmente ricoverati nei reparti di
terapia intensiva; e a conforto, non sono pochi quelli che sono guariti in
seguito a ricovero e terapie. Ma quel che è peggio è che tra i negazionisti-detrattori
vi sono anche addetti ai lavori, ossia medici, infermieri e qualche uomo di
scienza, che hanno studiato come tanti altri loro colleghi, ma dissociandosi
chissà per quali ragioni ideologiche o scientifiche… che peraltro sono tutte da
dimostrare in modo inconfutabile. Tuttavia, ben venga la predisposizione per
gli approfondimenti, come pure ben vengano (di diritto) le opinioni sulla
liceità o meno dei politici, delle Case farmaceutiche e quindi dei ricercatori,
ma nello stesso tempo sarebbe etico individuare ed esibire quanto si vuole
contestare con estrema razionalità. Per quanto concerne la realtà attuale in
più occasioni si è fatto riferimento alle epidemie e pandemie che si sono
verificate nei secoli scorsi, limitandosi però a brevi cenni storici ma non
agli opportuni approfondimenti, ed è risaputo che fare i necessari
confronti-parallelo, non solo è saggio ma risulterebbe assai utile perché dalle
esperienze del passato si ha sempre da imparare (non c’é peggior ignorante di
chi non vuol sapere, sic!). Come pure non si sta valutando che un tempo le
popolazioni erano assai carenti culturalmente e di mezzi, mentre oggi si
potrebbe sapere meglio e di più ma paradossalmente per certi versi si sa peggio
e di meno… Si dice e si sostiene ad oltranza che il progresso è necessario,
soprattutto in campo scientifico, ancor più medico-sanitario e sociale, ma il
non seguirne l’evoluzione (peraltro fin troppo veloce) è un grave errore che, alla luce
dei fatti quotidiani, stiamo pagando a caro prezzo! È pur vero che l’Umanità
non sarà mai priva di ostacoli e sofferenze, ma questo non significa che non si
possano attuare tutte quelle accortezze volte a limitare imprevisti e
negatività. Ma tornando ai protagonisti delle avversioni, c’é da imputare loro
determinate responsabilità perché ogni ritardo nel raggiungere il beneficio
comune, comporta l’aggravamento della situazione, dei costi e di tutto quello
che ne consegue. Da costoro nelle pubbliche piazze non si è mai sentito fare
riferimento a quei scienziati che hanno dedicato la loro vita alla ricerca per
la tutela della salute della collettività, e taluni hanno perso la vita o ci
hanno rimesso in salute. Si prenda ad esempio i pionieri che hanno scoperto
l’anestesia, a far data 1846, e proprio grazie a loro il dolore è spesso meglio
controllato, se non annullato favorendo notevoli progressi in chirurgia.
Per chi non avesse conoscenza di questo particolare passo della storia, suggerirei la lettura di Storia della Medicina – Dagli antichi greci ai trapianti (Ed. Oscar Mondadori, 2004, del chirurgo statunitense e scrittore Sherwin B. Nuland (1930-2014), in particolare il capitolo “Chirurgia senza dolore – Le origini dell’anestesia generale” (pagg. 250-287). Ai protagonisti in questione, gli inglesi Humphry Davy (1778-1829) e Henry Hill Williams, gli americani Crawford Williamson Long (1815-1878), Oliver Wendell Holmes (1809-1894), Horace Wells (1815-1848) e William Thomas Green Morton (1819-1868) spetta il merito, a prezzo di sacrifici e delusioni, di aver combattuto e vinto l’immane battaglia contro il dolore, di essere riusciti a portare l’anestesia nella pratica clinica e sostenere la chirurgia nei suoi progressi. Ma non solo, all’anestesista austriaco Peter Safar (1924-2003) viene attribuita la pionieristica rianimazione cardiopolmonare, tant’é che nel 1952, a Lima, fondò il primo Dipartimento Universitario di Rianimazione, e nel 1958 negli Stati Uniti istituì la prima Unità di Terapia Intensiva. E sono proprio questi specialisti che, da oltre due anni, dedicano le proprie competenze ed energie in totale dedizione per curare i malati, di covid in particolare, il cui nemico da combattere non è solo il virus in questione ma anche tutti coloro che si oppongono disconoscendo di conseguenza il loro lavoro. Questa ostentazione crea altre difficoltà come l’incremento delle liste di attesa per il trattamento di altre patologie, sia negli ospedali che sul territorio, la “grave” sospensione di terapie mediche e interventi chirurgici anche di una certa importanza ad eccezione, ovviamente, dei casi ritenuti di particolare urgenza. Inoltre le contestazioni di piazza non sono meno lesive, sia perché non portano alcun risultato, sia perché creano ostacoli e dissidi di varia natura. Infine, per avere un’idea di quanti nostri antenati hanno contribuito nei secoli ad individuare patologie e cure, è molto esaustivo il Dizionario delle malattie eponimiche, di Camillo Bonessa (Raffaello Cortina Editore, 1999, pagg. 571). Nella prefazione è precisato che «le malattie eponimiche rappresentano molto spesso la situazione estrema di un certo tipo di patologia e sono quindi di grande interesse dottrinale di stimolo alla ricerca; inoltre, attraverso la malattie eponimiche si può intravedere la storia, oppure, l’evoluzione della medicina». In sintesi, molte di queste malattie prendono il nome di chi le ha individuate ed eventualmente anche descritte, tant’è che fanno parte delle cosiddette, appunto, malattie eponimiche (dal greco eponymos, ovvero colui che dà il nome).
Nella prima immagine il dott. Morton nel 1846
pratica la prima anestesia con l’etere
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