QUANDO IL “CATTIVO ESEMPIO” VIENE DALL’ALTO
Cultura, fiducia e umiltà sono le carenze in alcuni politici
anche
in tema di Sanità pubblica. L’evento pandemia e relativi vaccini
avrebbero dovuto, e dovrebbero, unire le forze per il bene
comune
di
Ernesto Bodini
Il continuo
dissentire sulla utilità dei vaccino anticovid sta diventando ormai un “disco
rotto”, e nonostante l’aver raggiunto una buona copertura (circa il 90%),
almeno nel nostro Paese, incertezze e ferme opposizioni ancora si sprecano. Ma
ciò che fanno maggiormente discutere sono i “cattivi esempi”, in particolare di
alcuni esponenti più in vista della politica, quali Matteo Salvini e Giorgia
Meloni (per citarne due tra i più noti) che hanno dichiarato ai mass media di
non voler far vaccinare la propria figlia. Al di là del ritenere la
vaccinazione una sorta di “imposizione” (che per certi versi tale non è),
questi due “signori” e parte di loro colleghi che dovrebbero dare il buon
esempio, non tengono conto del fatto che tra la popolazione vaccinata rientra
quasi tutta la classe medica, e ciò a conforto dell’utilità e della raggiunta
sicurezza dei vaccini tuttora in corso. Inoltre, le cronache ci informano che
negli ultimi tempi non poche persone sono decedute perché non si erano fatte
vaccinare e, nonostante le statistiche, la caparbietà supportata da una
qualsivoglia ideologia politica e scarsa cultura, pare non desistere
contribuendo indirettamente a rallentare eventuali processi di revisione delle
relazioni sociali. Ma il fatto, come sostengo da sempre, che la gestione
politica e di informazione ha presentato lacune sin dall’inizio, non è una
ragione sufficiente per non dare credibilità ai risultati medico-scientifici
sinora ottenuti. Questi oppositori, qualunque siano le rispettive ragioni, non
tengono conto del passato storico in tema di epidemie, pandemie e relativi
progressi della terapia vaccinica a scopo di profilassi, come non tengono conto
di quante persone non sono state vaccinate, ad esempio, contro la poliomielite,
in particolare nei primi anni ’60 in cui il vaccino Sabin era già disponibile
su tutto il territorio nazionale, seppur non obbligatorio sino al febbraio
1966. Cito sempre questo esempio sia perché rispecchia un’epoca recente e sia
perché l’evento ha fatto storia, ricordandoci che il ritardo nella adozione del
vaccino antipoliomielitico causò in Italia circa 10 mila casi di paralisi e
mille decessi per insufficienza respiratoria: il polmone d’acciaio all’epoca
era pressoché una novità e scarsamente disponibile. Sarebbe quindi utile, oltre
che saggio, che gli incalliti antivaccinisti (Salvini, Meloni e parecchi altri
parlamentari in coda ad essi) prendano coscienza della realtà storica e, seppur
con le dovute cautele, in quanto non addetti ai lavori, avvicinarsi di più alla
scienza medica e, se vogliono saperne di più, le fonti non mancano… tranne
quelle che dicono tutto e il contrario di tutto. Mentre potrebbe essere assai utile leggere (o rileggere) “Nemesi”
di Philip Roth (1933-2018), lo scrittore statunitense che con questo romanzo ha
descritto l’epidemia della poliomielite che nel 1944 ha colpito New Jersey, la
sua città. L’esperienza
attuale ci dice che il progresso in fatto di comunicazione ci sta allontanando
anziché avvicinarci ed essere più solidali e ciò, a mio modesto avviso, anche
per una frammentarietà culturale e mancanza di umiltà nell’ammettere di non
sapere (ignoranza passiva), o di non voler sapere (ignoranza attiva). E va
anche detto che esercitare un ruolo politico, specie se di potere o comunque ai
vertici, è una grande responsabilità che talvolta può determinare (in bene o in
male) il destino dei propri concittadini. Mi si perdoni se ho dato parvenza di
dispensatore di giudizi, ma proprio perché sempre attento agli eventi sociali
che minano la nostra salute e la nostra vita, ho ritenuto opportuno essere
“incisivo”, basandomi sul mio raziocinio e sulla mia cultura in storia della
Medicina e, ovviamente, va da sè che sostengo da sempre l’importanza delle
vaccinazioni…
Peccato che
quando contrassi la poliomielite il vaccino Sabin (e anche Salk) era ancora
oggetto di studio e sperimentazione; ma ciò nonostante ricordo con particolare
affetto il mio incontro nel 1986 a Torino con il prof. Albert B. Sabin, al quale
espressi un sincero grazie idealmente a nome della collettività. Forse per
questo sarei etichettato come un nostalgico e sentimentale, ma ciò non toglie
il fatto che ho potuto apprezzare la sua scoperta grazie alla quale da allora
ad oggi oltre 2,5 miliardi bambini sono stati preservati dal rischio paralisi
infantile. Ma un grazie, seppur ideale e più lontano nel tempo, lo dovremmo anche
ad altri scienziati che hanno realizzato un vaccino per far fronte ad altre
epidemie. Per tutte queste ragioni sarebbe utile in alcune Facoltà
universitarie poter inserire come materia Storia
della Medicina e i suoi progressi,
forse così avremmo meno lacune e prese di posizione a discapito della salute
della collettività. E in ultima analisi va detto che, per quanto riguarda la
comunicazione, molte le voci di esperti: tuttologi, opinionisti, giornalisti, e
voci fuori dal coro che si sono espresse sulla pandemia; rasentando alcuni
paradossi come quello che un tempo non esisteva la pluralità dei mezzi di
comunicazione e la popolazione era generalmente informata (e più osservante); oggi,
proprio perché sono troppi (come troppe le correnti di appartenenza), ciascuno
si impone all’altro e, quel che è peggio, è che alcuni valenti clinici e
ricercatori si sono ammalati di presenzialismo, televisivo in particolare, con
“ripetute” affermazioni spesso contradditorie procurando più danni che benefici
e, per questa loro narcisistica malattia da palcoscenico, purtroppo non esiste
alcun vaccino se non quello di limitarne gli inviti. A tal riguardo esiste un
detto: «Chi è dappertutto, solitamente
non è da nessuna parte».
Commenti
Posta un commento