LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Egregio Prof. Mattarella,
mi
permetta di rivolgerLe questa missiva aperta e quindi pubblicamente in quanto
cittadino italiano, ma oggi un po’ meno come tale… Da molti anni mi occupo di
problemi sociali al centro dei quali vi è sempre il tarlo della burocrazia che,
in un modo o nell’altro, da sempre complica ogni iter a discapito del
cittadino-contribuente. I doveri e i diritti di noi cittadini (spesso “sudditi
del sistema”) hanno sempre trovato ostacolo nonostante l’onestà di molti. Ora,
ripercorrendo la storia della nostra Repubblica, la memoria ci riporta ad
analizzare l’evoluzione presidenziale e della politica dei Suoi predecessori e,
soprattutto i primi (per quello che mi consta), hanno onorato al meglio il loro
mandato, grazie anche al fatto che il loro impegno ha riguardato il periodo
della ripresa post-bellica, sino a garantire quel lasso di tempo di benessere
economico, sociale e culturale che va dal 1946 al 1971, rappresentato dalle
nobili figure quali Enrico De Nicola (1877-1959), Luigi Einaudi (1874-1961),
Giovanni Gronchi (1877-1962), Antonio Segni (1891-1972). Ma i successivi credo
abbiano cercato di fare del loro meglio e, come Lei ricorderà, quel benessere
iniziale è andato via via depauperandosi dalla metà degli ’70 in poi, ed è pur
vero che il mandato presidenziale implica determinate incombenze, ovviamente in
un contesto (tanto per semplificare) rappresentato dall’implicito lavoro
politico di Senatori e Deputati… sino ad oggi 945 persone (un vero e proprio
esercito appartenente ad un continuo susseguirsi di correnti: sigle e
movimenti). Ed è altrettanto vero che la nostra realtà poggia le basi sulla
democrazia, termine con il tempo, a mio avviso, diventato forse più ideologico
che pratico e razionale e, a questo riguardo, non tutti sanno che l’origine
risale al 1215 quando Giovanni Senzaterra, sovrano d’Inghilterra, fu costretto
a firmare la Magna Charta Libertatum
(Grande Carta della Libertà), che limitava il suo potere. Un destino che non
si è dissolto nel tempo in quanto la suddetta Charta è diventata la pietra
miliare sulla quale si sono fondate le moderne democrazie, come credo anche la
nostra. Sorvolando sulla semantica della democrazia, nella pratica il nostro
regime democratico trova “conforto” nella Costituzione di cui il Presidente
della Repubblica ne è il garante, ma purtroppo in questi ultimi decenni abbiamo
potuto constatare che molti articoli della stessa sono rimasti “pura teoria”, e
allora mi chiedo: in cosa consiste essere garante di una Costituzione se poi
non viene messa in pratica? La gente comune crede che un Presidente della
Repubblica sia un “figura” prevalentemente rappresentativa, mentre i suoi compiti
sono anche esecutivi come ad esempio firmare un Decreto, sciogliere le Camere,
concedere una Grazia, etc. Inoltre, suo dovere è anche quello di onorare
avvenimenti ed anniversari e trasmettere ai cittadini quei valori umani ed
umanitari che dovremmo tutti godere… Ma sappiamo bene che ciò è spesso utopia
perché l’esempio vien dall’alto e, in questi decenni, molti parlamentari hanno
deluso... e non poco. Citando questi ultimi mi permetta di rammentare che tutti
i Parlamentari non dovrebbero continuare ad appropriarsi del titolo di
“Onorevole”, ormai desueto dal 1939 quando Achille Storace (1889-1945),
segretario del Partito Nazionale Fascista, decise di abolirlo con quello che
veniva definito Foglio d’Ordine n. 1277 del 4 marzo 1939 e sostituirlo con
quello di Consigliere nazionale. Ma
purtroppo, dopo la caduta del Fascismo, e la nascita della Repubblica, i
deputati “democratici” hanno ripreso a fregiarsi di questo “inappropriato”
titolo. Ma vogliamo passare in rassegna alcuni articoli della Costituzione non
proprio applicati? Ad esempio, l’art. 2 che sancisce: “La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, non v’é dubbio che li
riconosca, mentre è assai discutibile che li garantisca a fronte di un sistema
giudiziario gravemente inefficiente ed esso stesso è causa di tale violazione.
L’art. 3 che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge”, e che “È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la
libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”, mi pare assai superfluo
osservare come in questi ultimi decenni sia incrementata la diseguaglianza tra
poveri e ricchi, malati gravi e non (disabili in particolare), tant’é che lo
Stato non ha rimosso gran parte degli ostacoli, sia di carattere
sociale-economico che politico. Eclatante è l’esempio di molti malati del sud
che non ottengono le stesse prestazioni dei malati che risiedono al nord. E che
dire della tutela dei lavoratori? Uno Stato che non riesce a prevenire
infortuni e decessi sul posto di lavoro e che ad ogni aggiornamento statistico
ci si sente dire: «È ora di porre fine a
questa ecatombe…, bisogna provvedere con una più intensa e sistematica attività
di prevenzione»; ma intanto ogni giorno
si contano due-tre infortuni e uno-due decessi al giorno. Ma molte altre sono
le differenze e le ingiustizie che si vanno perpetuando, più banalmente (si fa
per dire) gli stipendi inadeguati di alcune categorie statali particolarmente a
rischio vita ogni giorno come i Vigili del Fuoco e le Forze dell’Ordine; mentre
parlamentari, politici vari ed alti funzionari dello Stato godono di stipendi e
privilegi vari senza patire alcun rischio… È questa, dunque, l’Italia dai sani
principi democratici e di uguaglianza? Non direi proprio, egregio Presidente, e
anche se sembra facile lanciare dardi al di qua del pulpito, ciò non toglie che
si debba constatare il decesso della “vera” Democrazia, le cui spoglie non
trovano un cimitero che le possa ospitare… Signor Presidente, a breve terminerà
il Suo mandato, concludendosi un “iter” parlamentare e di rappresentanza per
certi versi degnamente svolto; ma nello stesso tempo mi permetta di affermare
anche con qualche lacuna. Non ho mai “invidiato” la Sua posizione e il Suo
ruolo, pur apprezzando le Sue signorilità e compostezza; tuttavia, penso che
accettare una carica come quella di Presidente della Repubblica, non
costituisce mai un obbligo e, la libera scelta in questi casi, può essere motivata da diversi fattori, la
cui menzione interpretativa lascio ai lettori della presente. Desidero
congedarmi da Lei con un’ultima osservazione: una mia precedente raccomandata (a/r) a Lei indirizzata in data 14/6/2016,
non ha sortito alcun effetto, anche se ebbi una laconica risposta (il 1/7/2016)
dalla Sua Segreteria, in quanto ponevo alcuni precisi quesiti proprio in merito
alla applicazione dei principi costituzionali. Quesiti totalmente elusi, con
buona pace della mia modesta etica che, tuttavia, non mi ha precluso di stilare
la presente pubblicamente. Un augurio di
prosperità in itinere e cordiali saluti.
Ernesto
Bodini
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