SOPRUSI NEI CONFRONTI DEI DETENUTI
NEL CARCERE DEL CASERTANO
Alcune considerazioni in attesa di ulteriori approfondimenti
sulle eventuali responsabilità degli agenti di polizia penitenziaria
di Ernesto Bodini
Se dovessimo idealmente fare un giro dantesco con Dante Alighieri forse sarebbe meno orribile di quello che si potrebbe constatare nelle carceri italiane. E non credo che sia necessario vivere all’interno delle stesse per immaginare orrori e nefandezze, soprattutto quando vengono alla luce fatti di inaudita violenza da parte di alcuni agenti di polizia penitenziaria nei confronti di un certo numero di detenuti. Gli ultimi episodi, come risulta dalle cronache dell’Ansa del 28 giugno scorso e nei giorni seguenti di altri mass media, si riferiscono a casi di violenze in carcere nel Casertano con oltre un centinaio di indagati e 52 misure cautelari nei confronti di appartenenti al corpo della polizia penitenziaria. Ma al di là e in attesa degli sviluppi delle indagini in merito, volendo ipotizzare (verosimilmente) che tali episodi siano realmente accaduti, tale scenario umano rasenta un grado di inciviltà che rispecchierebbe una realtà d’altri tempi, in cui la lesa dignità umana (oltre che fisica e psicologica) colloca determinati uomini sul podio dell’Inquisizione, gettando fango e discredito nei confronti dei loro colleghi corretti e professionali, delle Istituzioni e della intera collettività. Anche questi episodi di cruda disumanità, peraltro preceduti da altri anni addietro e in altre sedi, identificano l’Uomo come essere spregevole che, pur avendo un intelletto per ragionare, si dimostra essere inferiore rispetto agli appartenenti del Regno Animale. Questo modo di agire sfruttando e infierendo in modo abominevole sulla vita altrui, ci dimostra che non abbiamo raggiunto quel grado di civiltà necessario per la comune e serena convivenza di cui abbiamo bisogno e, in merito a ciò, viene da chiederci quale sarà il destino dell’umanità nei prossimi decenni e magari anche secoli. Se esprimiamo profonda tristezza per tutte le nefandezze che molti esseri umani hanno subito, stanno subendo e ancora subiranno in futuro altre generazioni da parte dei loro simili, sicuramente rasentiamo la retorica ma al tempo stesso è lecito ricordare che la stirpe umana ha avuto un esordio felice (peccato originale a parte… per chi ci crede), con la massima libertà di “gestire” la propria vita e, per assurdo, con l’arbitrio di disporre a proprio piacimento di quella degli altri. Tornando alla vicenda di cronaca in apertura dell’articolo, e supponendo che al termine delle indagini risulti anche un solo responsabile di quella che è stata definita dagli inquirenti una “orribile mattanza” (non oso entrare nei dettagli della cronaca), c’é da chiedersi ancora una volta con quale criterio la Pubblica Amministrazione valuta i candidati da assumere per questo ruolo, come appunto quello della polizia penitenziaria. Anni addietro, che io ricordi, per ricoprire una carica pubblica specie indossando una divisa, sui candidati venivano fatte delle ricerche in merito alla “moralità” dei loro antenati sino alla terza o quarta generazione; oggi, invece, pare che questo criterio di riferimento morale abbia perso molto della sua validità. Del resto bisogna ammettere che non è la moralità di un antenato che può garantire quella delle successive generazioni; ma tant’é, così va il mondo della gestione dell’apparato statale che non è stato, non è tuttora e non sarà mai una garanzia per nessuno. In buona sostanza, il vecchio detto “non è l’abito che fa il monaco” è tanto ancestrale quanto veritiero, ed è per questa precisa ragione, a mio modesto avviso, che chi ricopre una carica pubblica deve dimostrare di possedere etica ed integrità morale, e necessariamente essere sottoposto periodicamente ad una minuziosa valutazione di carattere psicologico-comportamentale (senza nepotismi e clientelismi), con la possibilità di rimuoverlo dall’incarico irreversibilmente.
A
riprova di ciò, in non poche occasioni si è potuto constatare che insegnanti,
educatori, addetti alla P.R. ed altri operatori della P.A. a contatto con il
pubblico, nonostante la selezione ai concorsi non avevano le qualità necessarie
per ricoprire tale ruolo; per contro, nel settore privato, a parte nepotismi e
clientelismi, la situazione è nettamente inversa. Alla stregua di questo
sistema che tende a non mutare siamo destinati a subire, in un settore o in un
altro, gli abusi da parte di quelli che vengono definiti impropriamente
“servitori dello Stato”, mentre più razionalmente devono essere definiti
operatori al servizio della collettività. In buona sintesi, mi viene da dire
ancora una volta che siamo legati ad un triste destino e, per assurdo, per mano
dei nostri stessi simili… con o senza divisa. Ciò che si potrebbe fare, mi si
perdoni l’idealismo e l’anticonformismo (che nel mio caso vanno di pari passo),
è che ognuno dovrebbe dedicarsi ogni giorno all’acquisizione di tutte quelle
nozioni che sono relative al diritto e, chi si sente maggiormente in grado e
più generoso, si protenda verso i più deboli e sprovveduti che sono alla mercé
dei sistemi vessatori. Ed è comunque importante incominciare dalle minori
vicende esperienziali (burocrazia in genere), per poi essere in grado di
affrontare quelle di maggiore consistenza e gravità vessatoria. Pena, il continuare
a soccombere. Come dire che il Medioevo e l’Inquisizione, per certi versi
stanno proporzionalmente riemergendo…
sia pur in chiave moderna!
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