MARTIRI ED EROI, SEMPRE PIÙ RARI MA VERI
La recente beatificazione del magistrato siciliano Rosario
Livatino,
una strada sempre aperta il cui percorso richiede, però, notevoli
sacrifici e rinunce, ma anche un monito alle aberrazioni dell’umanità
di Ernesto Bodini
Divulgare
problemi sociali è sempre un grande impegno ma anche una grande responsabilità,
soprattutto per cronisti e biografi i
cui riferimenti nei loro articoli (o libri) sono essenzialmente le persone e
quindi le loro vicissitudini. Le vicende
che riguardano il mondo del peccato, dell’ingiustizia e di chi vi ruota attorno
includendo tutti coloro che lo debbono affrontare per mettere un po’ di
“ordine” a tutela della collettività, sono infinite in quanto quotidiane e
purtroppo, a mio avviso, poco spazio si dedica a quei pochi che con il loro
lavoro riescono o tentano di “risanare” un Paese dai mille rivoli criminosi. E
se tra questi pochi coraggiosi qualcuno perde la vita sul campo, ecco che puntualmente
e doverosamente sono ricordati e portati sull’altare dei benefattori non dello
Stato (come impropriamente si tende a dire) ma della collettività… la quale
comprende lo Stato. E a distanza di anni, secondo il necessario periodo
canonico ecclesiale, tra questi meritatamente sono elevati all’altare dei Beati.
È il caso recente, ad esempio, del magistrato siciliano Rosario Livatino (1952-1990), ucciso dalla criminalità organizzata
che combatteva, non solo con Codici alla mano ma anche con il Vangelo. Pur non
entrando in merito all’intera vicenda, della quale le cronache hanno dato ampio
spazio più volte, ritengo doveroso evidenziare il fatto che il 9 maggio scorso
la Chiesa lo ha proclamato Beato, un riconoscimento che avviene dopo 31 anni
dalla sua morte, una morte a cui andò incontro in qualche modo consapevole
perché, rifiutando la scorta, ebbe a dire: «Non
voglio lasciare vedove e orfani». Un atto assai coraggioso che a mio parere
lo annovera anche tra gli “eroi” in quanto rinunciò e si sacrificò. Perdere la
vita nel compimento del proprio dovere, ancorché consapevoli del relativo
rischio, riguarda anche altre persone (lavoratori e non) ma non per questo sono
tutti eroi e non tutti saranno Beati, in quanto sono eventi che richiedono una particolare
analisi e profonde riflessioni e, il solo fatto che un tutore dell’Ordine od
altre persone rinuncino alla scorta per non mettere a repentaglio altre vite,
credo che sia uno dei massimi esempi di altruismo e bontà cristiana. Con questa
mia considerazione, che forse non sarà totalmente condivisa, non intendo
sottovalutare ulteriori esempi di altrettanti meritevoli considerazioni, ma
mettere in luce quanto sia imponente la scelta di “rinunciare” (direttamente o
indirettamente) alla propria vita per una giusta causa. E a questo proposito
rammento il sacrificio del presbitero
polacco padre Massimiliano M. Kolbe (1894-1941), che si offrì di prendere il
posto di un padre di famiglia, destinato ai bunker della fame nel campo di
concentramento di Auschwitz, il quale è stato beatificato nel 1971 da Papa
Paolo VI che lo chiamò “martire dell’amore”, e quindi proclamato santo nel 1982
da Papa Giovanni Paolo II. Più recentemente è salito sull’altare dei Beati Don Dino Puglisi (1937-1993), ucciso
dalla mafia per la sua fede il 15 settembre 1993, e beatificato il 25 maggio
2013 da Papa Francesco; un sacerdote nel pieno esercizio delle sue funzioni, e
anch’egli consapevole di essere a rischio della propria incolumità. Ma quanti
altri esempi si possono fare? Io credo non molti, ma indipendentemente dal
numero quello che conta è non essere
privi di quella Fede (anche poca ma sincera) che ci può supportare in
questa effimera esistenza, perché come sosteneva Livatino: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere
quanto siamo stati credenti, ma credibili».
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