UN TRICOLORE FATTO DI SPERANZA, DI PACE E DI LIBERTÀ
Rispetto
ed onore che purtroppo si dissolvono a discapito del nostro futuro
sempre più incerto. A poco sono serviti il sacrificio e la rinuncia di ieri
di Ernesto Bodini
Non c’é dubbio, al nostro
Paese, tanto patriottico quanto infarcito di pseudo eroismi di oggi (ma non di
ieri), piace inebriarsi di ricorrenze come se le stesse servissero a tenere
alto il morale e soprattutto l’onore e l’orgoglio di appartenenza. Domenica 25
aprile è una di queste date, ovvero il 76° anniversario della Liberazione
d’Italia, quindi festa nazionale nel corso della quale i ricordi ci portano
indietro nel tempo: un Paese divenuto libero, all’insegna del tricolore e
soprattutto della conquistata Repubblica. Ma in questo contesto, che ben
rispetto, vorrei interpretare (secondo il mio modo di intendere) i tre colori
della bandiera: il verde della speranza, il bianco della purezza e della pace,
e il rosso del sacrificio di tutti quelli che hanno concorso lottando per la
liberazione. Forse pecco di puerilità ma nulla toglie che la mia
interpretazione rispecchi un trittico cromatico la cui intensità, con il
passare degli anni, è andata attenuandosi sempre più nella sua sostanza originaria
quale messaggio di un’Italia libera e democratica. Due termini degnamente
conquistati, ad onor del vero, ma se di libertà si può ancora parlare di democratico
è rimasto ben poco, a cominciare dalla Costituzione sì dai nobili principi
ispiratori identificati dai 131 articoli, ma non nella pratica che in gran
parte lasciano molto a desiderare. Per onorare una bandiera non basta
inchinarsi ad essa, è indispensabile dimostrare con i fatti di far nostri i
sacrifici e l’ingegno di tutti coloro che hanno ideato, suggerito e stilato
quei principi ispiratori. Purtroppo, da qualche decennio a questa parte,
l’Italia è uno “stivale” che non è più
in grado di guadare un fiume in piena: troppa libertà di delinquere, non
certezza della pena, continuo aumento dei poveri assoluti, disabili e caregiver
spesso senza i necessari supporti, servizi sanitari in parte allo sbando (il
riferimento è alla carenza territoriale e all’orientamento verso la sanità
privata, burocrazia all’inverosimile, etc. A fronte di queste realtà come si fa
ad alzare gli occhi con serenità e puntare lo sguardo verso quel nobile
vessillo che si chiama Tricolore? È a dir poco desolante fare queste
constatazioni che, a mio avviso, sono il frutto di una politica estremamente
“allargata” ed altri aggettivi al seguito, all’interno della quale si muovono
minuscoli (nel valore) Esseri che ben poco ci rappresentano e tanto meno
garantiscono un futuro positivo al Paese. Or bene, facciamo pure sventolare
questa bandiera, e rispettiamola sempre; ma nello stesso tempo in suo nome
invochiamo più giustizia, più uguaglianza (che il Federalismo ha in parte
alienato) perché per certi versi il divario tra Nord e Sud esiste ancora. Con
nostalgia ricordiamo gli anni del boom economico e di serena vita sociale, e
non solo, periodo che ci ha visti Cittadini e Fratelli anche se in certe
circostanze esistevano i distinguo tra meridionali e settentrionali. Ma il
tallone d’achille era ed è ancor più oggi la burocrazia ad “onta” del Tricolore
che, ripeto, va comunque sempre rispettato! Ben vengano anche le iniziative
private come quella dei quotidiani: venerdì 23 aprile, ad esempio, con il
Corriere della Sera, al prezzo di 2 euro oltre a quello del quotidiano, il
lettore potrà avere la bandiera italiana; un gesto accompagnato dallo slogan; «La bandiera italiana, la nostra storia, la
fiducia per ripartire». Un messaggio che per la verità abbiamo letto troppe
volte, ovunque, quando nasceva un nuovo partito o si doveva formare un nuovo
Governo. Dunque, innalziamo il vessillo anche quest’anno? Io credo che sia
doveroso ma solo per rispetto della memoria di chi tanto l’ha voluto e difeso
al prezzo della propria vita. Un sacrifico e una rinuncia la loro, che ci rende
moralmente debitori perché loro sono stati i “veri” eroi della Patria, i cui
ideali non si dovranno mai scordare.
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