REPETITA JUVANT NO PROGRESS

 

RINCORRERE LE RICORRENZE NON È MAI UN TOCCASANA 

La civiltà di un popolo la si misura dalle

sue concretezze per risollevarsi e crescere

di Ernesto Bodini

Forse è il destino dell’umanità, ma io credo più precisamente è nella cultura di determinati popoli fare pubblicamente “onore” a ricorrenze di questo o di quell’evento. Giovedì 18 marzo, ad esempio, il presidente delle Repubblica ha promulgato il 18 marzo scorso la legge approvata dal Parlamento che istituisce la “Giornata nazionale in memoria di tutte le vittime dell’epidemia del coronavirus”, che verrà celebrata lo stesso giorno di ogni anno. Il premier Mario Draghi recandosi a Bergamo (la città più colpita dalla prima ondata) ha postato una corona d’alloro sulla stele dedicata alle vittime del Covid al cimitero monumentale. È questa l’ultima iniziativa nel nostro Paese di valenza commemorativo-sentimentale e, se vogliamo, anche un po’ patriottica, davvero doverosa si direbbe tanto da scuotere anche gli animi più “aridi” affinché ogni vittima rimanga scolpita nei nostri ricordi e nel nostro animo, con buona pace e ristoro dei loro famigliari… e di quanti li hanno curati con professionalità ed abnegazione. Ma questa attenzione, volente o nolente, nello stesso tempo “distrae” l’attenzione delle Istituzioni verso chi sta soffrendo le conseguenze della pandemia, non tanto degli attuali malati che sono ben seguiti e curati, quanto invece di tutte quelle fasce deboli (disabili, anziani caregiver, poveri e disoccupati) che hanno problemi di sussistenza, in non pochi casi sino all’estremo; compresi ovviamente, tutti i commercianti e liberi professionisti e relativo indotto che in gran parte sono giunti al fallimento (sic!). Quando il premier dice: «Non possiamo abbracciarci ma questo è il giorno in cui dobbiamo sentirci tutti più uniti», e il presidente della Repubblica esordisce con il messaggio: «Nella pandemia Italia unita e capace di risollevarsi», credo che seppur tali frasi sono di circostanza nella pratica si disattende non poco nel colmare le esigenze delle fasce deboli su citate. La politica italiana, se intende essere presente con il suo ruolo attraverso i suoi rappresentanti, deve dedicare non solo tutte le risorse possibili e immaginabili ma soprattutto la volontà e l’impegno di metterle in pratica, affinché i malati non si sommino ad altri ammalati, i morti non si sommino ad altri morti perché, se così non avviene (e in gran parte sta succedendo), è come dire: chi muore giace, chi vive si dà pace, mentre pace non se ne dà proprio! Una sentenza davvero egoistica ed irresponsabile che nessuna commemorazione può “lenire” in alcun modo, ed è altresì inutile sostituire figure di comando ai vertici e cambiare governo; come pure continuare a pontificare da un pulpito o da uno scranno rincorrendo applausi e notorietà, peraltro coreografati da ambìti selfie, ora qui ora là. Da qualche social ho letto una preghiera per la Giornata Nazionale delle vittime del Covid, una serie di strofe di cristiana bontà e dedizione che toccano l’animo, che ritengo essere a “supporto” della commemorazione ma che nella pratica, come ripeto, non lasciano intravedere migliori soluzioni pratiche a conforto della popolazione messa in ginocchio dal virus, e stesa supina dai nostri governanti. Con questa analisi non intendo ergermi a giudice ma come opinionista (ed ex paziente Covid) mettere in viva evidenza quei bisogni perennemente insoddisfatti, anche perché a mio avviso ci sarebbero le necessarie risorse (anche in extremis), mentre assai carenti sono la completa volontà politica e in taluni casi anche le opportune competenze. Insomma, quando un popolo cade in disgrazia la solidarietà deve comprendere condivisione e quell’amor proprio che io mi ostino a definire “filantropia” (che per antonomasia mai intacca il politico) se vuole onorare il senso civico di appartenenza. Un popolo che si fregia dei 160 anni di italianità di cui quest’anno ricorre il relativo anniversario e, guarda caso, che il primo Cittadino italiano ha voluto commemorare. Bastasse questo avremmo una popolazione meno affamata e meno sofferente.

L’immagine è tratta da il Fatto Nisseno

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