TESTIMONIANZE DALLA TRINCEA DELLA
SOFFERENZA
Le voci di chi ha vissuto e vive
tutt’oggi l’esperienza di una lotta impari
al centro di una pandemia in cui vita e morte si scontrano senza tregua
di
Ernesto Bodini
Era da immaginare che, come
tutti gli eventi storico-sociali compreso quello della attuale pandemia, si
producesse una mole di informazioni tra articoli, libri e reportage televisivi
non solo per la descrizione scientifica dell’evento, ma anche per raccontare il
vissuto dei pazienti colpiti dal Covid-19, come pure di molti operatori
sanitari in prima linea tutti i giorni e per 24 ore, ormai da quasi un anno. La
recente pubblicazione Emozioni virali – Le voci dei medici dalla
pandemia (Il Pensiero Scientifico Editore, 2020, pagg. 179, € 18,00),
curata da Luisa Sodano, da un’idea nata dal gruppo Facebook dei 100 mila medici,
è la diretta testimonianza di 37 voci sul campo, un insieme di racconti che non
lasciano spazio ad interpretazioni, ma piuttosto alla comprensione di
particolari situazioni in cui il confronto tra medico e paziente è tanto più
intenso quanto è il grado di sofferenza… sia per l’uno che per l’altro.
Autentiche storie che questi protagonisti, sia pur di provata esperienza che, a
volte, sembrano abbandonare le armi delle cure e del sostegno per poi
riprendersi volendo (giustamente) “onorare” la propria professione, ma
soprattutto sostenere e difendere a qualunque costo la vita dei loro pazienti
che il Covid ha reso inermi. Dalle loro testimonianze spesso emergono episodi
di lotta impari e che solo la loro esperienza, unitamente a tenacia e spirito
di servizio, sia pur in parte hanno dimostrato di sconfiggere l’invisibile nemico. Ma pure le
emozioni hanno accompagnato questi operatori delle Medicina al servizio
dell’Uomo (e non dirado anche del suo familiare): medici e pediatri di base,
ospedalieri, ricercatori, professionisti di altre specialità, medici militari,
neolaureati e specializzandi uniti nell’ascolto anche di chi il virus ha tolto
la voce ma non la dignità e la voglia di vivere, e che la sofferenza non può
ledere. Il valore della comprensione e della immedesimazione di tutti questi
clinici è più che scontato, frutto del loro percorso certamente accademico ma
al tempo stesso del loro grado di sensibilità acquisito sul campo, ed ancor più
in queste circostanze ogni volta la loro mano scorre delicatamente sul viso dei
pazienti, accompagnata da un sorriso come espressione di speranza e mai di
abbandono perché la vita va difesa fino all’ultimo respiro. Ma l’angoscia e la partecipata sofferenza,
spesso in questi medici in prima linea non hanno termine, un fardello che si
portano anche a casa per restare (temporaneamente) chiuso in quelle mura, a
volte condiviso con i propri famigliari… per poi tornare in trincea il giorno
dopo. Particolarmente toccante il breve contributo della pediatra Sara Boccacci:
«Silenzio. Tutto intorno nel pronto
soccorso gli sguardi sono interrogativi e tristi. Improvvise sirene si
susseguono e all’arrivo delle ambulanze gli sguardi si irrigidiscono. La
vestizione inizia e il respiro soffoca dentro le doppie mascherine e sotto le visiere.
Il bambino non è più visto per intero, ma a pezzi, per quel poco che si
intravvede al di là di tutte le barriere che ci dividono da lui. E ancora
silenzio, perché si fa fatica a parlare per l’affanno. Tempi dilatati. Domande
senza risposte. Pazienti che un giorno prima erano bambini, il giorno dopo sono
sospetti. Silenzio. Perché non sappiamo come muoverci e dove stiamo andando.
Vuoto. Paura. Lacrime». Un sensibile contributo-messaggio (come quelli dei
suoi colleghi) alla cronaca ma anche a tutti coloro che negano l’innegabile, e
per rammentare che anche se la vita è la durata di un soffio che si perde nell’infinito,
la speranza di mantenerla è affidata a questi protagonisti… anche loro non
immuni e per questo più determinati.
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