LA “VERGOGNOSA” QUESTIONE DEL PIANO PANDEMICO
Un confronto tra esperti ospiti a Non è l’Arena che, nonostante l’acceso dibattito, quesiti e
responsabilità attendono ancora una risposta
É quasi un anno, ormai, che
viviamo nella morsa di un granchio invisibile e che raggiunge chiunque e
ovunque, tanto da essere definito un “virus democratico”. Ma non certo
democratici sono coloro che continuano a disquisire dai propri scranni
parlamentari e televisivi su ciò che deve essere fatto, o si doveva fare sin
dall’inizio della pandemia. In tutti questi mesi molti si sono espressi
pubblicamente e a vario titolo con pareri, ipotesi, giudizi, consigli e
provvedimenti per arginare al meglio questo fenomeno tanto da richiamare in
causa (per l’ennesima volta) il piano pandemico. Certamente autorevoli le
figure preposte in tal senso che si sono succedute nel tempo, come è emerso nel
corso della puntata di Non è l’Arena,
andata in onda su LA7 lunedì 20 dicembre. É stato un susseguirsi di citazioni
di competenze, doveri e responsabilità, di ammissioni e negazioni, più o meno palesi, per non
giungere in modo univoco a quell’etica che dovrebbe essere propria di tutti…
nessuno escluso, specie se ricoprenti ruoli che hanno a che fare con la salute
(e la vita) della collettività. Nel gergo popolare si direbbe una sciorinata di
“scarica barile”, espressione che rende molto bene l’idea e al tempo stesso i
fatti e, proprio per questo modo di porsi, a mio avviso a nulla o a poco si è
approdato… nonostante l’incalzare del moderatore Massimo Giletti. Ma questo
incontro-dibattito con ospiti in studio ed altri in collegamento online, per
quanto esperti ciascuno nella propria materia, a cosa è servito? A mio parere a
mettere il dito in una piaga che si trascina da qualche anno (2009), una piaga
destinata a restare infetta o quanto meno a non rimarginarsi come dovrebbe.
Particolarmente incisivo l’intervento del viceministro della Salute Pierpaolo
Sileri (medico) che, nell’affrontare i suoi interlocutori (trascurando di tanto
in tanto il bon ton lessicale) ha espresso tutto il suo livore del momento non
avendo mai visto alcuna traccia significativa del piano in questione,
spiegando: «Io ho chiesto di darmi le
date e i componenti dei vertici che hanno lavorato alla bozza. Venissero qui
tutti e tre gli ex direttori generali e ci confrontiamo sulle carte. Questa
cosa è inaccettabile, il piano pandemico è vecchio, non è rinnovato da dieci
anni: dov’é questo Comitato per la Pandemia? Io non l’ho mai visto, chi ci sta?
Cos’hanno scritto?». Quesiti che ufficialmente non hanno avuto una risposta
esaustiva (almeno per il dottor Sileri), ed è anche per questa ragione che nel
suo esporre agitato e senza mezzi termini, non ci sono scuse che tengano per un
lavoro che, se fatto meglio (queste sono le sue convinzioni), ma soprattutto se
fosse stato fatto, probabilmente avrebbe permesso di salvare più vite e di
intervenire con maggiore efficacia, quando il nostro Paese è stato travolto dall’epidemia
lo scorso febbraio. É comunque a tutti noto che l’Italia a gennaio del 2020
aveva un piano pandemico approvato nel
2006, e formalmente redatto e aggiornato secondo le direttive dell’Oms del
2005, in sostituzione del precedente denominato “Piano Italiano Multifase per una Pandemia Influenzale”, pubblicato
nel 2002. Ed è da gennaio del 2020 che tale piano pandemico doveva
rappresentare il riferimento nazionale in base al quale si dovevano precisare i
piani operativi regionali. Dal documento pubblicato sul sito dell’ISS si legge
che «… si sviluppa secondo le sei fasi pandemiche dichiarate dall’Oms, prevedendo
per ogni fase a livello obiettivi e azioni». La stesura di questo piano
è durata anni ed è stata fatta in accordo con le Regioni e ratificata dalla conferenza
Stato-Regioni; e di conseguenza ogni Regione avrebbe dovuto elaborare un
proprio piano pandemico ispirato a quello nazionale.
MA IN BUONA
SOSTANZA QUAL ERA L’OBIETTIVO DI QUESTO PIANO?
Dalle fonti preposte, come ricorda Francesca Nava nel suo editoriale, si legge: “L’obiettivo è rafforzare la preparazione alla pandemia a livello nazionale e locale, in modo da: 1) identificare, confermare e descrivere rapidamente casi di influenza causati da nuovi sottotipi virali, in modo da riconoscere tempestivamente l’inizio della pandemia; 2) minimizzare il rischio di trasmissione e limitare la morbosità e la mortalità dovute alla pandemia; 3) ridurre l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sociali e assicurare il mantenimento dei servizi essenziali; 4) assicurare una adeguata formazione del personale coinvolto nella risposta alla pandemia; 5) garantire informazioni aggiornate e tempestive decisioni, gli operatori sanitari, i media e il pubblico; 69 monitorare l’efficienza degli interventi intrapresi”. Tralasciando la non breve esposizione sulle azioni chiave per il raggiungimento degli obiettivi, che si possono rilevare dalla inerente documentazione, nel corso del suo intervento il dott. Sileri (nel fermo immagine) ha rincarato la dose con un tono a dir poco accusatorio, dichiarando: «Qui c’é una sciatteria e un pressapochismo generalizzati, persone che hanno mandato a morire centinaia di medici e infermieri, ai quali nessuno ha mai fatto un corso ed eseguire una esercitazione. In 15 anni di servizio come medico non ho mai assistito a una esercitazione del piano pandemico». A queste affermazioni, l’argomento si presta ad ulteriori approfondimenti, e un quesito ce lo poniamo anche noi: a livello regionale sono state fatte le esercitazioni previste dal piano pandemico? A chi la risposta, o le risposte ai troppi quesiti che nel frattempo si sono sommati? Anche in questo caso chi deve rispondere avrebbe bisogno di un’ecologia della propria anima e della propria coscienza.
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