IL RISPETTO DELLA DIGNITÀ UMANA SEMPRE PIÙ AL BIVIO
Pur
divergendo i concetti tra la schiavitù e le “moderne” differenze
etnico-culturali, nessuno sinora è riuscito
ad imporre il rispetto tra esseri umani anche tra i Paesi più evoluti. Caino
verso Abele e Romolo verso Remo i precursori? Se così fosse l’Umanità ancora langue
per tale involontaria eredità
di
Ernesto Bodini
L’evoluzione
umana, si sa, è fatta di corsi e ricorsi storici prodotti da infiniti retaggi e
testimonianze, più o meno attendibili e provenienti da tutte le parti del
mondo. La ricchezza dei contenuti è talmente immane tanto da non riuscire a
fare le dovute valutazioni. Sin dall’epoca dei più antichi saggi e filosofi di
qualunque scuola e pensiero, e forse ancora prima, racconti e descrizioni ci
hanno fatto conoscere vizi e virtù della specie, e in gran parte sono gli
aspetti negativi che hanno prevalso e prevalgono su quelli positivi. Venendo ai
tempi odierni e raffrontandoli con quelli del passato attraverso le varie
fonti, l’indole negativa non è mai variata e anche tra le culture più moderne
ed evolute non è mai cessato il disprezzo di una popolazione verso un’altra. Ad
esempio, attualmente sono ridotte in schiavitù più
persone rispetto a qualsiasi altro periodo storico: gli esperti hanno calcolato che tra il
quindicesimo e il diciannovesimo secolo circa 13 milioni di persone sono state
catturate e vendute come schiave; oggi si stila che oltre 40 milioni di persone, più del triplo rispetto al periodo della tratta transatlantica,
vivano in una qualche forma di moderna schiavitù. Richiamando alla memoria la storia degli Stati Uniti, più
di quattro secoli fa nasceva la schiavitù nell'America del nord: i primi africani giunti via mare nei
futuri Stati Uniti non erano schiavi, ma servitori a contratto; quello sbarco,
però, gettò le fondamenta della società schiavista americana. E solo nel 1863 fu abolita
la schiavitù in
Arizona, mentre tutti gli altri Stati di confine, ad eccezione del Kentucky, la
abolirono nel 1865. Migliaia di schiavi furono
liberati man mano che le truppe nordiste avanzavano conquistando territori
degli Stati confederati, tramite il proclama di emancipazione di Abramo Lincoln
(1809-1865). Ma purtroppo la faida contro le più diverse “minoranze” etniche e
culturali continua nel tempo e sino ai giorni nostri in diversi Paesi del
mondo, dove l’uguaglianza e il riconoscimento della parità dei diritti è tuttora
un miraggio. Ma in concreto come stanno le cose nei Paesi cosiddetti emancipati
come quelli della gran parte d’Europa? Il continuo problema dell’immigrazione,
che lo si voglia ammettere oppure no, è una sorta di schiavitù, meglio
identificata come razzismo, termine che personalmente mi rifiuto di considerare
per tradurlo più civilmente in diversità
etnico-culturali. Anche se il fenomeno della immigrazione si va sempre più
perpetuando in alcuni Paesi europei (ma soprattutto in Italia) riempiendo
quotidianamente le pagine di cronaca, non ho mai voluto affrontarlo per non
aver seguito le sue fasi sin dall’inizio; tuttavia, non posso non rilevare che
tale realtà abbia creato e continui a creare una serie di problemi di carattere
umanitario, organizzativo-gestionale ed economico. Ma anche, se non
soprattutto, di carattere politico sia per i non pochi interessi che comporta
la sua gestione che per il grande impegno nel rapportarsi con i “gestori-sfruttatori”
di questo fenomeno e le varie organizzazioni non profit coinvolte direttamente
o indirettamente. Il notevole impatto che l’immigrazione continua ad avere sul
nostro ed altri Paesi ha molte sfumature per non dire conseguenze, a cominciare
dalla coe-esistenza e assistenza per poi sfociare nei vertiginosi costi che
ricadono sull’intera collettività, e ciò nonostante il nostro Governo in
particolare non sembra (o non vuole) avvedersene e, intanto, la popolazione si
moltiplica… senza contare tutti quegli esseri umani che sono periti in mare per
non essere riusciti a sbarcare sulla nostra Penisola. Ma tutto ciò non basta
perché tra l’onta dello schiavismo bisogna includere anche tutte quelle azioni
denominate mobbing e stalking. Nel primo caso trattasi di sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da
colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in
piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o
sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all'aggressione fisica; nel
secondo caso è un insieme di comportamenti persecutori ripetuti e intrusivi,
come minacce, pedinamenti, molestie, telefonate o attenzioni indesiderate,
tenuti da una persona nei confronti della propria vittima, sia essa femminile o
maschile.
Probabilmente sin qui non ho evidenziato nulla di nuovo, ma il dilemma
è perché non si riesce o non si vuole portare in equilibrio le opposte realtà,
ridimensionando tutti quei comportamenti in eccesso in quanto lesivi alla
Persona. Ed ecco che allora bisogna chiamare in causa il concetto di dignità di
noi esseri umani, calpestata
ulteriormente dalla progressiva perdita di determinati diritti, peraltro in
continua ascesa proprio grazie ad azioni di sfruttamento dei più deboli facendo
leva sull’egoismo umano, oltre a manipolare la pubblica opinione attraverso i
mass media. Per quello che ci riguarda dal punto di vista giuridico più volte
si fa riferimento agli artt. 3, 36, 37 e 41 della Costituzione (il lettore
abbia la voglia di rileggerseli), palesemente e ampiamente violati. Certo, ben
sappiamo che la Costituzione non è una serie di articoli di Legge ma una somma
di articoli di indirizzo ed ispirazione cui fare riferimento per garantire una
vita democratica basata sui doveri e sui diritti, ma che i presidenti della
Repubblica di ieri, e soprattutto quello di oggi, hanno dato ben lustro
rammentandoli nei momenti più “consoni” alle circostanze che definisco
ipocritamente di comodo… Ma allora a cosa serve redigere moderne ed emancipate
Carte costituzionali ed accordi internazionali se poi non vengono rispettati,
nemmeno dai nostri Parlamentari che continuano a fregiarsi del titolo di
Onorevole, che come ripeto da tempo è obsoleto e quindi improprio? Se questa non è ipocrisia (per non dire di peggio)
che cos’è? Parafrasando Luigi Pirandello (1867-1936) va detto che chiunque di
noi può imparare a proprie spese che nel lungo tragitto della vita, non
mancherà di incontrare tante maschere e pochi volti. Ed è propria questa l’abilità
del politico, ossia di mimetizzarsi all’occorrenza in spregio al rispetto dei
diritti umani la cui conquista, si badi bene, ha comportato non pochi sacrifici
ed altrettanti se ne stanno facendo per non perderli. Purtroppo va anche detto
che, citando i saggi, spesso nella pratica non si tiene conto che alla teoria dovrebbe
seguire il pragmatismo della loro saggezza, e a riguardo mi sovviene quella di Albert Schweitzer (1875-1965) il quale sosteneva: «Qualunque siano i
diritti fondamentali degli uomini, si possono garantire pienamente soltanto in
una società stabile e ben ordinata. In una società disordinata l’uomo, con il
suo desiderio essenziale di vivere bene, spesso determina l’indebolimento dei
suoi diritti fondamentali». È pur vero che il politico non è
un filantropo, ma è altrettanto vero che non ha alcun diritto di supremazia su
nessun essere umano.
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