TRA CULTURA, STORIA, RIPRESA E
SVAGO…
I limiti degli esseri umani
spesso si concentrano in una esperienza collettiva
ma nello stesso tempo favorisce
l’allontanamento gli uni dagli altri
di Ernesto Bodini
Di tanto in tanto si tira un sospiro di
sollievo quando, tra i diversi canali televisivi, ci si può soffermare ad
esempio su RAI STORIA, e fruire di programmi storico-culturali sia innovativi
che rievocativi. Ad esempio, in seconda serata di venerdì 7 luglio, un discreto
spazio è stato dedicato al sorgere turistico di alcune località marine della
nostra Penisola, a partire da fine secolo scorso a tutt’oggi. La proposta
tematica, a mio avviso, non è stata casuale in quanto poteva essere letta come
“stimolo” alla ripresa dal punto di vista turistico e produttivo ben
inserendosi nel contesto attuale: un imput per riemergere nelle attività
commerciali e quindi nell’economia; il tutto abbellito dalla proiezione di
immagini d’epoca e recenti del tutto nostrane, accompagnate dai commenti di giornalisti
e antropologi. Ma torniamo alla descrizione dei nostri mari e delle nostre
spiagge, un avvincente invito ad apprezzare i più bei luoghi dove trascorrere
qualche giorno di vacanza, e magari anche per dimenticare sia solo per qualche
momento il periodo lockdown che stiamo tuttora vivendo; e questo può essere un
toccasana per la domanda e per l’offerta. Ma al tempo stesso, nell’apprezzare e
desiderare di raggiungere queste invitanti zone balneari, non si può non
soffermarci sul fatto che i nostri mari sono continuamente percorsi da molti
profughi disperati, e una parte di essi giacciono negli abissi senza il
“conforto” di una degna sepoltura. Il mare è di tutti ma non tutti hanno potuto
e possono apprezzarne la bellezza e gli effetti salutari; è una affermazione
retorica ma al tempo stesso vuole essere un richiamo al valore della vita ed è
paradossale che, un bene comune frutto del Creato, sia fruibile in modo diverso.
Il solo pensiero di fare gite in barca, allettanti crociere o lunghe nuotate
nelle acque del Mediterraneo nei cui fondali giacciono molti migranti, non so
con quanta serenità si possa fare vacanza… È pur vero che la vita continua e
deve continuare, ma è altrettanto vero che ogni proposta culturale e di svago
non può prescindere dal doveroso pensiero di quanti hanno perso la vita
fuggendo dal proprio Paese per disperazione. Lo stesso vale per tutti quei
turisti di ogni nazione che sono andati in vacanza (o anche per ragioni di
lavoro), in Paesi ricchi di storia e di arte e non sono più tornati perché sono
stati vittime di attentati da parte di estremisti o di esaltati. E c’é voluta una
pandemia per porre un freno agli spostamenti delle popolazioni, ormai nella
maggior parte dei Paesi del mondo; ma non per questo, certamente, la gente non
deve più incontrarsi. In sostanza quello che vorrei sottolineare è che talvolta
l’eccessiva spensieratezza (sia pur anche giustificata), ci allontana più del
dovuto dalla umana considerazione di chi è stato e di chi è meno fortunato. Un
allontanamento che non fa resuscitare nessuno ma di certo ci distanzia
ulteriormente… preludio ad una “rinnovata” inciviltà, almeno dal punto di vista
morale. Ipocrisia, demagogia, dietrologia ed altro ancora? Forse, ma queste
considerazioni inevitabilmente richiamano alla mia memoria un passo dell’invito-saggezza
di Albert Schweitzer (1875-1965), il quale sosteneva: «Noi non siamo per nulla
liberi di volere o non volere del bene ai popoli d’oltre mare, noi siamo tenuti
a fare del bene. Questo bene non lo dobbiamo considerare come una generosità da
parte nostra, ma piuttosto come una espiazione o un ripagamento per tutto il
male che noi abbiamo fatto a loro. È tempo che qualcuno venga per aiutarli». Il riferimento, obiettivamente, è alle popolazioni
africane dei suoi tempi, ma per ragioni umanitarie potremmo adattarlo anche ai
giorni nostri.
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