RIEMERGE IPPOCRATE E “LASCIA
IL SEGNO” ANCHE NELLA CINEMATOGRAFIA
Un cast di eccezione nel film
del regista francese Thomas Lilti, nel quale tra
finzione e realtà l’etica e
il Giuramento ippocratico si incontrano sempre
di Ernesto Bodini
Quante volte molti di noi,
anche fuori dagli ambienti medico-sanitari, hanno sentito parlare di Ippocrate
(460-377 a.C.) di Kos, il medico greco considerato il Padre della Medicina? Una
figura storica che ha ispirato e guidato molte generazioni di medici in tutto
il mondo, alla quale non solo si deve una certa riverenza ma anche una
particolare considerazione dal punto di vista storico e culturale, tant’é che
nel corso dei secoli si sono succedute molte pubblicazioni oggetto di studio (oltre
alla menzione ed acquisizione del suo famoso Giuramento), ma anche ispirazioni
e spunti per registi cinematografici creando film-documenti come a voler
stimolare l’intraprendenza per la professione medica. Tra questi la proiezione
su RAI 3 del 10 agosto scorso della
pellicola “Ippocrate”, a cura del
regista e sceneggiatore francese Thomas Lilti (1976), anch’egli medico nella
vita reale. Prevalentemente giovane il cast in questo film realizzato nel 2014,
a cominciare dal protagonista dott. Benjamin Barois (interpretato da Vincent
Lacoste), un giovane laureato di belle speranze che inizia il suo tirocinio
nell’ospedale diretto dal padre prof. Barois (interpretato da Jacques Gamblin),
uomo potente, rigido e al tempo stesso disinvolto nella gestione dei problemi.
Benjamin Barois, ha 23 anni e con un grande sogno, quello di diventare un
grande medico, nella finzione è un allievo interno nel reparto di Medicina
all’ospedale Robert-Ballanger, nella Seine-Saint-Denis alla periferia di
Parigi. Il neo internista si confronta ogni giorno in un rapporto di
“costruttivo” scontro che sfocia nell’amicizia e nella collaborazione con il
dott. Rezzak, interpretato dall’algerino Reda Kateb. Un binomio in corsia di
vera e propria solidarietà che vede i due protagonisti coinvolti in diverse
vicissitudini clinico-comportamentali al confine tra l’etica e la realtà
ospedaliera, soprattutto in due casi: la morte di un alcolista affetto da
pancreatite cronica, ricoverato con dolori lancinanti e che si aggrava in una
notte in cui Benjamin è da solo di guardia, e il calvario di madame Richard,
una paziente di 88 anni affetta da una neoplasia con molte metastasi che
desidera solo porre fine alle proprie sofferenze. In questo frangente il
regista riesce a mantenere un certo equilibro valorizzando in modo estremamente
serio il reale senso della vita, senza impartire lezioni di etica ad alcuno ma
riscontrabile da chiunque abbia affrontato una simile esperienza. Il clima in
quel reparto, che comprende uno staff prevalentemente di giovani medici ed
altrettante giovani infermiere, è di mutua collaborazione sia pur non privo di
episodi di divergenze, rivalità, piccoli accomodamenti al centro di gerarchie,
giochi di potere, responsabilità, impunità nonostante gli errori e le loro
conseguenze come le difficoltà organizzativo-gestionali per carenza di organico
e di strumentazione, mettendo in luce la politica dell’ospedale. La tumultuosa
attività non è neppure priva di alcune parentesi goliardiche, che sfociano in
una sorta di sodalizio e unanimità sia nei rapporti professionali che
interpersonali soprattutto tra padre e figlio protagonisti, come pure per il
rispetto tra colleghi per meglio esercitare i propri doveri. Prima di realizzare
questa pellicola Lilti aveva esercitato
l’attività di medico, ma non ha potuto resistere alla tentazione di mettere in
luce il suo talento di produttore-regista che, al pari della Medicina, gli ha
procurato un discreto successo tanto che, due anni dopo, nel 2016, ha
realizzato “Il medico di campagna”,
altro lodevole tassello per la sua ascesa di medico-regista.
Nel girare la prima pellicola
del 2014 Lilti (nella foto) si è offerto volontario al pronto soccorso in
quell’ospedale per cercare di essere d’aiuto, al fine di permettere ai medici
più competenti di riposarsi anche solo qualche ora. «Ho prestato giuramento di Ippocrate – ha dichiarato in seguito – e la Medicina ha fatto parte della mia vita
per quindici anni. Quando mi chiedono quale sia la mia professione rispondo
“medico”, nonostante tutti gli ultimi anni in cui non ho praticato». Quello
che forse nessuno avrebbe mai immaginato, è che le corsie e i locali dell’ospedale
Robert-Ballanger, proprio dove si è girato il film, avrebbe riaccolto Lilti con
camice e targhetta al petto, non come comparsa ma come medico attivo. Una
realtà che in qualche modo richiama il confronto con i telefilm americani di
ambiente medico, ma tutt’altra cosa perché con obiettività Lilti ha dovuto
prendere le distanze dall’immaginario collettivo dall’ospedale mediato dalla
serie-tv, tant’é che la realtà è ben diversa in quanto la rappresentazione
dell’ospedale avviene attraverso immagini stereotipate. Tutto questo ha in
qualche modo posto l’attenzione su quel mondo non ovattato ma “ricostruito”
dell’attività medica, secondo l’etica del sommo Ippocrate anche attraverso la
fiction sotto la regia appassionata di un medico “vero” e non di un sognatore
come Thomas Lilti. «Non sono un grande
regista – ebbe a dire in seguito – che
sveglia le coscienze artisticamente. Perché il mio cinema abbia senso, ha
bisogno di acquisire dalla realtà. Non ne avrebbe alcuna se non fossi ora
accanto a chi sta curando i malati. Lo faccio anche per testimoniare il nostro
affetto nei confronti del personale, che ci ha aiutato molto durante la serie».
Anche questo documento è uno spaccato della realtà francese o spagnola, in cui
non mancano segni di carenze e/o instabilità, ma non meno anche quella italiana
che, per quanto efficiente in molte regioni, vi sono in altre lacune che
Ippocrate condannerebbe anche dal punto di vista etico.
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