IL BINOMIO
ARTE-MEDICINA NELL’AMBULATORIO DI UN MEDICO DI FAMIGLIA
Una
vincente “compliance” dai reciproci benefici effetti. Il simpatico logo
“
Don’t Stop Art” caratterizza lo spirito artistico della originale iniziativa
di Ernesto Bodini
Da sempre la sofferenza segna il passo della vita di ognuno,
talvolta modificandola “passivamente” tal’altra intensificandola al meglio nei
suoi valori. Ed è questo secondo aspetto che ho recepito avendo incontrato nel
suo ambulatorio di medico di famiglia di Torino il dott. Romano Ravazzani
(classe 1965), reduce da un periodo di ricovero per aver contratto il Covid-19,
contagiato dai suoi pazienti, e che a sua volta inconsapevolmente ha contagiato
i suoi famigliari. Un’esperienza che lo ha particolarmente provato sentendosi
in colpa soprattutto per tale “intimo coinvolgimento”, un sentimento che
richiama alla memoria aneddoti e aforismi sulla dedizione per il proprio lavoro,
che il più delle volte fa di questa scelta il motivo principe della propria
esistenza… e magari non priva di rischi. Entrando nello studio del dott.
Ravazzani (che è anche ginecologo e psicoterapeuta), ma ancor prima
nell’ingresso, si è attratti da un insieme di manufatti d’arte appesi alle
pareti, numerosi oggetti vintage e opere d’arte che fanno bella mostra di sé
dando quel tocco di sapiente e al tempo stesso “austera” propensione per l’Arte
in tutta la sua espressività, sia dal punto di vista storico che culturale in
senso lato. In questo caso il duplice effetto-messaggio: l’Arte che incontra la
Medicina, di primo acchito può forse impressionare qualche paziente
“sprovveduto” di fronte ad una visione platealmente artistica e alquanto
originale, per poi prendere subito confidenza con tutti quegli oggetti che
fanno da contorno al dialogo tra medico e paziente, ma anche tra paziente e
medico; già, perché la filosofia dell’eclettico medico, è usare l’arte come
cura e nel contempo prendersi cura dell’arte. A volte l’attesa in un
ambulatorio medico può dilungarsi oltre un certo limite, ma trovarsi nello
stesso tempo attorniati da una serie rappresentazioni d’arte può predisporre a
quella “distrazione” utile ad allontanare, sia pur momentaneamente, i propri
sintomi e le proprie preoccupazioni. «Molte
persone – spiega Ravazzani – si
siedono davanti alla mia scrivania e trovano nell’ambiente qualcosa che li
stimola a condividere con me una passione; e una parte di loro, spesso sono
amici, colleghi di lavoro e loro famigliari… In quel momento divento il medico
che esorta a non abbandonare queste passioni, anche se lontane dalle attività
quotidiane. Ed è così che il dialogo si fa strano, lontano da quello solito di
tutti i giorni: medico e paziente, appunto; ma è un dialogo che crea passioni
volte al miglioramento della qualità di vita e del quadro clinico». Ecco allora
che ad ogni incontro l’anamnesi del paziente si fa storia clinica e di vita,
l’inizio di un percorso che segna la strada per una buona diagnosi e magari
anche per una buona terapia. Osservando per intero la vasta esposizione, che
spesso è anche oggetto di vernissage, si ha anche l’impressione di un invito ad
una sorta di gioco dell’antipaura, le cui figure (alcune) un po’ inquietanti ma
anche divertenti e assai curiose, hanno il benefico potere dell’esorcizzarla,
come nessuna medicina sa fare… A mio modesto parere, se più studi medici
ospitassero un piccolo angolo d’arte, probabilmente la stessa sarebbe la
migliore ricetta per un farmaco senza ticket e soprattutto senza effetti
collaterali. E se è vero che non si può
diventare un buon medico senza esserlo dalla nascita e averci la vocazione, è
altrettanto vero che un buon paziente può essere tale se si fa coinvolgere da
tutto ciò che è armonia come in un ambulatorio dove l’arte prevale, o vuol
prevalere, sulla malattia e la sofferenza.
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