LA RESPONSABILITÀ DI CHI DEVE INFORMARE.
IL RUOLO DEI MEDIA
IL RUOLO DEI MEDIA
di Ernesto Bodini
Il giornalismo è una
professione sempre più difficile da definire, oltre che da esercitare. In
Italia la professione del giornalismo è regolata da una legge del 1963.
Attualmente gli iscritti all’Ordine nazionale sono circa 65/80 mila: ci sono
giornalisti dipendenti di un Editore (professionisti) e giornalisti freelance
e/o collaboratori occasionali (pubblicisti). A monte di ogni testata
giornalistica cartacea, televisiva, radiofonica e online, regolarmente registrata
in Tribunale (anche se non profit), c’é sempre un direttore responsabile. Molti
quotidiani e periodici hanno una matrice politica, e quasi tutti ottengono un finanziamento
dallo Stato.
Tutela delle regole – Art. 2 legge
69/1963
È diritto insopprimibile del giornalista la
libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di
legge dettate a tutela della personalità altrui, ed è suo obbligo indereogabile
il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservando sempre i doveri
imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie
che risultino inesatte e riparati eventuali errori; come pure deve tenere conto
della privacy (legge 1996). Il giornalista è tenuto ad osservare
il Codice Deontologico, che implica
il rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini;
per questo ricerca e diffonde ogni notizia od informazione che ritenga di pubblico
interesse, nel rispetto (è il caso di sottolinearlo) della verità e con la
maggiore accuratezza possibile. Egli non può pubblicare notizie sulla vita
privata di un cittadino, se non quando siano di chiaro e rilevante interesse
pubblico e, aggiungerei, previo suo consenso (anche se autori di articoli di gossip spesso vanno ben oltre queste
regole...). Inoltre, non può pubblicare la notizia di un avviso di garanzia
prima che sia portato a conoscenza dell’interessato. Ma purtroppo tali regole a
volte non vengono rispettate per la “smania” di fare lo scoop. Nessuno può essere obbligato a rilasciare un’intervista
contro la sua volontà. I minori vanno tutelati con nomi fittizi o con le
iniziali, e le foto o video devono oscurare il viso. Se si rendesse
“necessario” divulgare il nome del soggetto minore, occorre ottenere la
liberatoria dal genitore o da chi ne fa le veci. (Carta di Treviso: norme e
comportamenti deontologicamente corretti nei confronti dei minori in genere; e Carta di Trieste: codice deontologico per i giornalisti
che si occupano di notizie inerenti il disagio mentale).Per non parlare, poi,
del termine di pedofilia, termine che
in più occasioni ho precisato essere improprio dal punto di vista semantico, in
quanto tale termine (dal greco “filia”) che significa amore, amicizia, andrebbe
sostituito da pedrotopia che
significa attrazione verso i bambini, ossia “volgersi verso”.
La definizione di mass media
Concettualmente è da intendersi i mezzi di
comunicazione di massa, ossia gli strumenti attraverso i quali è possibile
indirizzare la conoscenza verso la pluralità di destinatari. La locuzione
proviene dall’inglese, ma dal punto di vista etimologico la parola media è di origine latina ed è il
plurale di medium (mezzo).
L’espressione in lingua italiana è da intendersi secondo le regole fonetiche
italiane e latine: mass media e non mass
midia... Tutti questi mezzi, proprio per la loro struttura comunicativa,
spesso modificano la nostra percezione della realtà e della cultura, a volte
condizionandole. Un aspetto determinante della
comunicazione di massa è la produzione in serie di messaggi (in molti casi in
tempo reale), e per questo è molto importante lo studio delle molteplici
strategie con cui vengono prodotti i messaggi, le notizie ed ogni possibile
informazione, soprattutto quando lo scopo è quello di influenzare le idee e i
comportamenti del fruitore, in particolare per quanto riguarda i temi della
politica e della pubblicità. Ma il concetto di informazione
è ancora più esteso se si considera la versione di Internet, la
principale e più evoluta rete di comunicazione sociale. La rete delle relazioni
sociali che ciascuno di noi tesse ogni giorno, in maniera più o meno casuale,
nei vari ambiti della nostra vita, si può così «materializzare», organizzare in
una mappa consultabile, e arricchire di nuovi contatti. Ma va anche detto che i
media sono agenti di socializzazione
cui corrisponde l’apprendimento di valori, modelli culturali e di comportamento
della collettività. Se prima i principali enti di socializzazione erano la
famiglia e la scuola, oggi (ma non recentemente) nella nostra società assume
sempre più importanza la comunicazione di massa, volta alla massima
socializzazione di tutte le generazioni... Da ciò ne deriva che Informazione
è fornire una serie di notizie o messaggi, e Comunicazione è farle
pervenire a destinazione. Dal punto di vista scientifico, ad esempio, è noto
che la Medicina e la Scienza in generale sono work in progress, ossia
il continuo avanzare della tecnologia e delle conoscenze in una società
complessa (e sempre più esigente) come la nostra, incide profondamente sia
nell’ambito delle professioni che in quello delle relazioni sociali. L’interesse
della collettività per le notizie in materia di salute e sanità, e quindi per
gli sviluppi della scienza medica, ad esempio, è argomento di notevole
diffusione e ciò in considerazione del fatto che la salute è da intendersi un bene
primario in qualunque conteso sociale, indipendentemente dai principi
costituzionali e dalle normative in vigore. In effetti in questi
ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio incremento della
divulgazione medica e sanitaria: ogni giorno circola una immane quantità di
informazioni che riguardano sia la causa delle patologie ed i possibili rimedi,
sia i non pochi programmi di massima diffusione con riferimenti agli sviluppi
della ricerca. Quotidianamente vengono pubblicati i risultati di nuovi trial (ossia studi clinici,
farmacologici, biomedici o salute-correlati sull’uomo con lo scopo di
verificare che una nuova terapia sia sicura, efficace e migliore), e questo,
attraverso i diversi e potenti mezzi di comunicazione: riviste, giornali,
pubblicazioni editoriali (libri, dispense, manoscritti, etc.); ma anche siti
online, radio, televisione, e non di meno attraverso congressi, convegni,
seminari, giornate di studio, workshop, master, etc.
La comunicazione medica e scientifica
Ma
come comunicare la scienza medica e le relative problematiche sia di interesse
specifico che generale? E quali azioni più appropriate per utilizzare al meglio
le premesse originate dal sapere, dalla ricerca scientifica e dagli sviluppi
della stessa? Quesiti di ieri e di oggi, che richiedono risposte tenendo conto
degli aspetti etici e culturali, ma anche del “disorientamento” della società
dei consumi, delle incertezze del presente e dei dubbi sul futuro. Da sempre
sostengo che la divulgazione è da considerare non solo un dovere, ma anche un
serio impegno che garantisca la crescita culturale, sociale e civile. Deve
essere in linea coi tempi ed avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione (la fonte internet meriterebbe un discorso a
parte) preposti a raggiungere in tempo reale (o quasi) ogni fascia di
pubblico. Il settore dell’informazione medica e scientifica è però più
delicato: divulgare la scienza medica ha come scopo quello di informare e
sviluppare attenzione e interesse generale; pertanto non ha bisogno di scoop e sensazionalismo. È invece indispensabile porre l’attenzione sulla attendibilità
delle fonti, tenendo presente anche il contesto politico ed economico in cui si
sviluppano i risultati di una ricerca. Purtroppo non sempre è così in quanto
non è raro riscontrare, soprattutto negli articoli di cronaca sanitaria e riviste non specializzate, eccessivi allarmismo e superficialità. Comunicare bene la scienza è un dovere
professionale, etico e morale, considerando che molto importanti sono le
ricadute che una sedicente o troppo “entusiastica” scoperta, o addirittura un
articolo ideologico in questo campo, hanno sulla formazione dell’opinione
pubblica. È pur vero che il giornalista, esperto di cronaca sanitaria, ma anche
il divulgatore scientifico, non devono mai assumere un atteggiamento di
passività (il ruolo di autonomia e indipendenza a parte determinati “vincoli”
editoriali è un loro diritto-dovere), ma è altrettanto vero che possono
espletare tale diritto-dovere se preparati e se hanno l’umiltà di riconoscere i
propri limiti, certamente superabili con un serio e costante aggiornamento... A
questo proposito Boyce Resnberger,
ex direttore del Knight Science Journalisam Fellowship Programme presso il
Massachusetts Institute of Technology, ed ex giornalista scientifico del New
York Times, sostiene che «i giornalisti
devono stare il più vicini possibile ai ricercatori e a coloro che producono
scienza, ma mantenendo comunque una sana distanza... Se il giornalista
scientifico vuole riconquistare un ruolo importante nella società deve
conoscere abbastanza bene la scienza da poter analizzare e interpretare i
risultati di una ricerca, incluse le motivazioni di chi l’ha finanziata. E, se non
fosse già abbastanza, deve essere in grado di anticipare il possibile impatto
sociale delle nuove tecnologie quando c’è ancora tempo per fare la differenza». In
particolare, il giornalista scientifico (quale divulgatore specializzato) deve
essere in grado di selezionare, rendendo di generale comprensione, quanto gli
viene comunicato o di cui viene a conoscenza e che riguarda il progresso della
Medicina, della Sanità e più estensivamente della Scienza: tanto più corretta è
l’informazione maggiore sarà il coinvolgimento sociale per aver suscitato
particolare interesse (fiducia e credibilità) nei singoli lettori. Il primo giornalismo
anglosassone aveva previsto una regola per la selezione di una notizia, la
regola delle cinque “W”
(in seguito divenute sei) ossia, Who, What,
Where, When, Why, How (chi, che cosa, dove, quando, perché, come). La mancanza di un elemento
rendeva il fatto incompleto e quindi non notiziabile (molta della terminologia
legata al giornalismo è in lingua inglese... e non sarebbe male se la suddetta
regola venisse applicata anche nel giornalismo italiano). Il giornalismo di
oggi richiede una professionalità che deve necessariamente confrontarsi con la
complessità delle moderne organizzazioni sociali di qualunque tipo, e il
contributo del giornalista, con la sua professionalità specifica nei singoli
campi di competenza, è spesso determinante. E questo vale anche per l’informazione
online. Ed è opinione comune che nel panorama dell’informazione medica e
scientifica, ormai più che inflazionato, una voce professionale seria che punti
ai problemi pratici come quello dell’aggiornamento costante, abbia non solo il
diritto ma anche il dovere di esistere.
Il contributo dell’Editoria
A
questo proposito può essere utile, per i neofiti (e non) la lettura del volume
“Salute
e bugie – Come difendersi da farmaci inutili, cure fasulle e ciarlatani”
(Ed. Chiarelettere, 2014), scritto dal dott. Salvo Di Grazia, il quale
suggerisce che non si è liberi di scegliere se non si è correttamente
informati..., fare di tutto per non ingrassare ciarlatani, imbonitori e guru. Ma
non meno significativo il libro “La congiura dei somari – Perché la scienza
non può essere democratica” (Ed. Rizzoli, 2107), scritto dal prof.
Roberto Burioni (microbiologo e virologo), il quale in quarta di copertina
scrive: “Per bloccare i Somari e per
convertirli alla ragione abbiamo qualcosa che è più efficace degli antibiotici,
più sicuro dei vaccini, un rimedio antico ed economico. I Somari si curano con
i libri”. Riuscire a raggiungere e mantenere tale equilibrio in qualunque
settore del giornalismo (e quindi anche in quello medico, sanitario e
scientifico) non è cosa semplice, ma non per questo bisogna sottovalutare il
proprio dovere eludendo ogni possibile apporto migliorativo con l’aggiornamento
professionale: verifica delle argomentazioni da trattare e delle proprie
conoscenze in materia da parte di dipendenti, collaboratori esterni (sia pur
occasionali...), freelance, consulenti, opinionisti, etc., la cui formazione
professionale non è necessariamente di tipo accademico. Ma mi permetto di
suggerire anche il libro “Nemesi” (Ed. Einaudi, 20129 di Philp
Roth (1933-2018); lo scrittore americano che con questo romanzo, ambientato a
Newark (New Jersey – USA), descrive l’epidemia della poliomielite che nel 1944
ha colpito la sua città. In particolare narra la struggente vicenda di Bucky
Cantor, un animatore di campo giochi che conduce una strenua battaglia contro
la terribile malattia. Una lettura anche per ricordare che se non controllati
alcuni focolai del virus presenti in Pakistan, Afghanistan e Nigeria, c’é il
rischio che possa “ricomparire” anche in occidente. E il più recente titolo “Il
cacciatore di sogni – La storia dello scienziato che salvò il mondo”
(Ed. Mondadori, 2017) della scrittrice e biologa Sara Rattaro, che con questo
romanzo (peraltro particolarmente indicato agli adolescenti) rievoca uno
scorcio della personalità di Sabin e del suo lavoro, ma anche nella scelta di
esporlo con un racconto idealizzato tra due principali protagonisti... Questo
lavoro richiama alla memoria l’opera del microbiologo statunitense Paul de
Kruif (1890-1971): “I cacciatori di microbi”, che ispirò e coinvolse Sabin tanto da
dedicarsi alla ricerca e allo studio dei virus. Queste, come altre recensioni,
fanno parte dell’attività giornalistica divulgativa. Colgo l’occasione di
questo argomento per sintetizzare con questa slide, come sono state sconfitte
le malattie infantili. È una mappa aggiornata della mortalità infantile degli
ultimi 120 anni per alcuni tipi di malattia. Come si può notare tra il 1895 e
il 2015 sono morti di difterite, tetano, poliomielite,
pertosse
e morbillo
670 mila bambini.; mentre nel periodo tra il 1925 e il 1955 i decessi sono
stati del 25%. Nel primo dopoguerra c’é stato un ulteriore crollo: l’1,8%,
mentre negli ultimi 30 anni si è scesi allo 0,01%. Un risultato grazie alle migliori
condizioni igienico-sanitarie della popolazione, modifiche nutrizionali, una cultura
più attenta verso l’infanzia e l’adolescenza e, naturalmente alla disponibilità
dei vaccini. È
però importante distinguere tra divulgazione scientifica e giornalismo
medico. Nel primo caso dovrebbe essere indirizzata ad un selezionato
gruppo di destinatari (addetti ai lavori), mentre il giornalismo
medico-sanitario è convenzionalmente più orientato ad informare in modo
divulgativo i lettori in genere su argomenti di medicina e sanità. Si può
quindi definire giornalismo medico-scientifico tutto quanto riguarda la
divulgazione della medicina, e per estensione la scienza tecnologica in senso
lato, inclusa la ricerca applicata alla medicina stessa. La divulgazione
scientifica, nel senso più accessibile del significato, ha nella validità dei
contenuti tecnici dell’articolo il limite ed il condizionamento per la
trattazione di specifici argomenti; nel caso del giornalismo medico non vi è
dubbio che sono l’editore e il giornalista i responsabili di una scelta che può
essere condizionata dai personali convincimenti nei confronti dell’argomento
trattato o “subire” anche l’influenza di interessi extra professionali. È certo
che quando si tratta di notizie dal contenuto medico-scientifico, le stesse
assumono notevole importanza culturale e psicologica per il lettore; aspetto
questo, che ha particolare rilievo se si considerano le caratteristiche
dell’articolo, l’età, il grado culturale e la “influenzabilità” del lettore. Infatti
scienza, tecnologia e medicina hanno sempre più spazio e l’attenzione e la
sensibilità dei lettori per questi argomenti sono in costante crescita e, a tal
riguardo Massimiano Bucchi, professore di Scienza Tecnologia e Società
dell’Università di Trento, sfata un mito: «Le
materie scientifiche occupano un buon 11% delle notizie pubblicate ogni anno
sui principali quotidiani italiani, e ben il 67% degli articoli che le riguarda
transita sulla prima pagina dei siti internet dei giornali». E va da sé che un testo giornalistico deve
garantire contemporaneamente quattro esigenze: attendibilità delle fonti, leggibilità, credibilità e capacità di
interessare il lettore, il
cui “effetto” dipende dal tipo di testata giornalistica e dal target di lettori
a cui ci si rivolge. Saper comunicare significa prima di tutto saper
trasformare ciò che si vuole dire in ciò che il pubblico vuole sapere. Per
quanto riguarda il rapporto tra la scienza e l’informazione, in particolare tra
i medici e i giornalisti, le intese e le collaborazioni sono in genere
soddisfacenti. Il giornalista che si occupa di cronaca sanitaria o di notizie
mediche in genere, e il giornalista scientifico, hanno il diritto di scegliersi
personalmente le fonti più “autorevoli” o comunque più competenti, che li
erudiscano sui retroscena di una crisi sanitaria, della scoperta di un nuovo
farmaco o di una ritrovata strumentazione diagnostica o innovazione
terapeutica. Ma non va sottovalutato il rapporto interpersonale che a volte si
può instaurare tra il medico e il giornalista specializzato; delicato aspetto
di relazione che solo il “buon senso” delle parti deve garantire l’imparzialità
dei rispettivi ruoli di competenze. Non è poi così tanto raro che l’uno si
confidi all’altro, e questo non deve intaccare o condizionare il “pensiero”
scientifico e culturale dei due professionisti che sono reciprocamente tenuti
al segreto professionale, oltre che al rispetto delle regole deontologiche ed
etiche. L’esigenza di un corretto equilibrio del giornalismo specializzato (e
non solo) può garantire alla promozione di una professionalità
deontologicamente più orientata, per mantenere un rapporto corretto con
l’opinione pubblica e la realtà socio-economica; inoltre va da sè che
l’informazione medico-sanitaria e/o medico-scientifica possono essere sinonimo
di prevenzione. Ma in buona sostanza, esiste una ricetta “vincente” per una
buona comunicazione in campo sanitario? «Credo
che la comunicazione – secondo il prof. Mario Morcellini, esperto in Scienza
della Comunicazione – debba adottare uno
stile etico... Noi sappiamo che nelle comunicazioni strategiche, se tu sei
orientato all’altro sei certamente avvantaggiato nel capire i suoi problemi. La
comunicazione funziona se riduce i muri, i dislivelli. Dipende dalla qualità
dei valori del soggetto che sta di qua perché è chiaro che è più forte
dell’altro. Chi comunica deve capire che sta comunicando ad un soeggetto che in
condizioni estreme di bisogno, quindi lì non contano le regole
dell’enciclopedia comunicativa, contano il suo cuore e i suoi valori».
Brevi riflessioni sul concetto di etica
A
mio modesto parere la più semplice ed esaustiva definizione dell’etica è la
seguente: “Disciplina filosofica che si occupa del problema morale”, ossia
del comportamento (dal greco ethos)
dell’uomo in relazione ai mezzi, ai fini e ai moventi. L’etica professionale,
come nel nostro caso, è costituita da un codice, che comprende norme a cui ogni
giornalista deve conformarsi o la cui violazione, quantomeno, deve provocarne
sensi di colpa. Tra le varie iniziative per migliorare il comportamento etico
in ambito subalpino è stata stilata la “Carta di Torino 2001”, realizzata
dall’Ordine dei Medici della provincia di Torino con l’Ordine dei Giornalisti del
Piemonte. Si tratta di un documento che intende rappresentare un reciproco
orientamento etico sull’informazione in modo più diretto e partecipativo. Resta
da verificare, a mio parere, quanto siano rispettate le norme più comuni di
tale orientamento. Nella
nostra società, sempre più coinvolta da una moltitudine esasperata di informazioni
e messaggi pubblicitari i giornalisti dovrebbero tutti rendersi conto che l’uso
di una lingua più piana e più facile, più ricca e più vera non è il solo
corretto modo di esercitare la propria funzione istituzionale di mediatori tra
gli accadimenti e i cittadini lettori, ma è anche l’assunzione di
responsabilità nuove. E in fatto di chiarezza Galileo Galilei (1564-1642) osservava: «Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi».
Tuttavia, su un punto credo che possiamo essere tutti d’accordo: l’importanza
che riveste l’informazione medico e/o sanitaria e scientifica, sia diretta al
grande pubblico che agli addetti ai lavori. Significativa è la precisazione del
linguista Tullio De Mauro
(1932-2017) tratta dal suo manuale di stile per il progetto di semplificazione
del linguaggio. “Le parole sono fatte,
prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un
filosofo, gli Dei ci danno una lingua e due orecchie. Chi non si fa capire
viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in
privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante,
un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico
ha il dovere costituzionale di farsi capire”. A parte questa ovvia realtà, restando
sempre in ambito medico-sanitario, quello
che sta cambiando (ormai da parecchio tempo) è il tipo di informazione ai
pazienti, inteso come acquisizione personale della cultura in materia medica e
sanitaria, e ciò attraverso il modo e la capacità di individuare le fonti che
producono tali informazioni (la facilità di accesso ai siti internet ne è un
esempio). In particolare, il livello di cambiamento è legato al problema della
malattia, soprattutto dopo una diagnosi. A questo riguardo ricordo che ad un
Seminario dedicato all’educazione alla salute, tenutosi nel 2007 a Gardone
Riviera - Bs (come inviato del settimanale Panorama
della Sanità), veniva ribadito l’importante e “responsabile” ruolo dei mass
media, oltre alle sempre più diversificate campagne di sensibilizzazione che
possono determinare o “condizionare” il comportamento del cittadino ma anche
dell’operatore sanitario. Va inoltre precisato che sempre più spesso il campo
della salute è sensibilizzato e rielaborato secondo le suggestioni e gli
orientamenti che si affermano a livello socio-culturale, di cui i mass media sono divulgatori
consapevoli... o inconsapevoli.
Il dovere della rettifica
Non
sono poi così rare le segnalazioni all’Ordine dei Giornalisti di appartenenza,
in seguito a mancata pubblicazione di rettifica e/o replica. L’art. 8 delle “Disposizioni
sulla stampa” legge n. 47 dell’8/2/1948, stabilisce
che “il direttore, o comunque il
responsabile, è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel
periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei
soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati
attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro
dignità o contrari a verità”. Per i quotidiani “le dichiarazioni o le
rettifiche sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la
richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che
ha riportato la notizia cui si riferiscono”. Per i periodici “le dichiarazioni o le rettifiche sono
pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è
pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si
riferisce”. Con questa slide ritengo “onesto” citare un caso che mi ha
coinvolto personalmente. Quando la salute non riguarda solo il singolo
individuo ma si arricchisce di connotazioni culturali o di valore sociale per
la collettività, sono i mezzi di comunicazione che svolgono una importante
funzione nell’orientare (sia pur con alcune limitazioni) atteggiamenti e
considerazioni del singolo lettore. E tutto questo avviene attraverso l’opera
dei mass media, e ciò di cui parlano quasi sempre appare determinante, magari
per il solo fatto che ne parlano, favorendo il manifestarsi di una pubblica
opinione. In questi ultimi tempi siamo stati subissati da una miriade di
informazioni relative al tema vaccini e vaccinazioni: non c’è mass media che
non abbia divulgato almeno un articolo in proposito, con aggiornamenti su
eventi di cronaca ed in altri casi di approfondimenti. Parte di questi messi
“sotto accusa” per inesattezza o incompletezza relativamente all’utilità o meno
e alle modalità di somministrazione. Questo, come altri argomenti (trapianti,
farmaci, metodologie diagnostiche, etc.) necessitano però di un controllo. Nel
nostro ambito si dice che “gli errori dei
magistrati finiscono in carcere, gli errori dei medici finiscono sottoterra,
gli errori dei giornalisti finiscono in prima pagina”. Oggi migliorare i
servizi in ambito tecnico-scientifico e socio-sanitario non basta. La nostra
salute fisica e psichica dipende non solo dal rispetto dei principi
costituzionali, normative o disposizioni ma anche, se non soprattutto, da quel modus vivendi e modus operandi dettati appunto dall’etica dell’operatore
professionale, sia nell’ambito sanitario che in quello della informazione in
genere. Tuttavia, ritengo che ogni altra considerazione sia certamente valida e
al tempo stesso opinabile e quindi ben venga, eventualmente, un dibattito per
un costruttivo confronto fra le rispettive competenze e professionalità; ma
soprattutto quelle dei clinici e/o operatori tecnici che ci garantiscono al
meglio la salute. Mentre sta a noi giornalisti (e/o scrittori) rispettare i
concetti di etica e cultura che sono il frutto del naturale progresso (sia pur
lento, o veloce) della civiltà umana. Dunque, a chi spetta (e come) il
controllo di queste informazioni? Un acuto suggerimento l’ho colto dal prof. Hans Peter Peters (uno scienziato tedesco, esperto in comunicazione sociale
presso il Centro di Ricerca Jülich e professore a contratto di Giornalismo
scientifico presso la Libera Università di Berlino), il quale suggerisce: «È sempre meglio informare e far conoscere le
proprie ragioni nel modo più onesto, chiaro e completo. Anche se non riusciremo
a convincere chi ci legge o ci ascolta, almeno avremo dato l’impressione di
averlo rispettato. Anche questo può avere la sua parte nel formarsi delle sue
opinioni, dal momento che l’informazione non è il solo fattore in gioco. A
volte, la percezione di onestà può ottenere più della stessa informazione».
Due parole sulle fake news
La
nostra è sempre più un’era di coinvolgimenti in cui tutti hanno diritto di
“imporsi” anche con la libera informazione, soprattutto attraverso la carta
stampata e i vari social network (Facebook, Twitter, WhatsApp, Instagram,
etc.). Quindi il sistema è diffondere notizie d’ogni sorta, e cosa importa se
vere o false? Certo che importa perché proprio qui sta il dilemma: le imponenti
cosiddette fake news (più popolarmente “bufale”, ovvero “notizie false”)
che, se trattano soprattutto di scienza e medicina, si possono paragonare a
mine vaganti. l fenomeno sembra essere dei nostri tempi, mentre in realtà ha
radici remote come ricorda lo storico e saggista Luciano Canfora (1942), attraverso l’analisi della lettera
riprodotta da Tucidide (filosofo e
politico ateniese, 460-404 a.C.) nel primo libro della Guerra del Peloponneso,
nella quale il generale spartano Pausania metterebbe nero su bianco la sua
intenzione di tradire i greci per passare al servizio di Serse, il Gran Re dei persiani. E più recentemente, una
testimonianza in merito alle fake news ci viene dalla scrittrice e prima
direttrice di un quotidiano italiano, Matilde
Serao (1856-1927). Un ulteriore contributo a far luce in merito ce lo dà lo
storico francese Marc L.B. Bloch
(1886-1944), il quale nel 1921 scriveva: «Una
falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla
sua nascita; essa solo apparentemente è fortuita o, più precisamente, tutto ciò
che in essa vi è di fortuito è l’incidente iniziale, assolutamente
insignificante, che fa scattare il lavoro dell’immaginazione; ma questa messa
in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in
silenzioso fermento». Quindi, con il trascorrere del tempo abbiamo
ingurgitato (e ingurgitiamo) troppe bugie miste a confusione, soprattutto
erogate da internet (Facebook e Google in primis, ma anche Wikipedia), vere e
proprie “bufale” prodotte da autori in malafede e spesso sprovveduti e
superficiali, peraltro non sempre prevenibili. Anzi,
il più delle volte è quasi impossibile sapere chi e perché si sta prendendo
l’incomodo di costruire e spacciare fake news; noi non li conosciamo i “sapienti”
della disinformazia, ma è certo che loro conoscono noi: le nostre paure, i
nostri pregiudizi, il nostro oscuro desiderio di lasciarci ingannare... e
magari anche coinvolgere da quella loro saccenza abusando della nostra buona
fede. Tra le bufale più note ed eclatanti in ambito medico (con la conseguenza
di notevoli condizionamenti ad impatto mediatico) ricordo la divulgazione
(1998) sul nesso di causalità tra vaccino
e autismo, ad opera del medico inglese Andrew
Wakefield, in seguito smentita dal suo stesso collaboratore e dalla
comunità scientifica internazionale; tanto che il medico fu poi radiato
dall’Albo... anche se poi ha continuato nella sua opera di divulgatore... con non
pochi seguaci. In seguito, altre notizie false hanno riguardato la presunta
tossicità e avvelenamento a causa dei vaccini; come pure le cosiddette truffe
anticancro: fine anni ’60 per la cura del cancro fu diffuso il “Siero di Bonifacio”, divulgato dal
veterinario Liborio; nel 1998 è
stato diffuso il noto “Metodo Di Bella”
(MdB) del dottor Luigi Di Bella; e
più recentemente il caso del “Progetto
Stamina” ad opera dello psicologo (?) Davide
Vannoni che, sulle spalle di molti malati, si è creato una certa fortuna...
e, seppur diffidato e condannato, ha continuato a diffondere false speranze... Ma
la “produzione” delle false notizie, c’è ragione di credere, è spesso creata
per interessi economici di molti soggetti coinvolti, per motivi politici o
propagandistici e sfruttamento di questa o quella tendenza e orientamento
mirato delle opinioni e, il fruitore, a parte la scarsa attenzione dei
giornalisti, se una notizia “gli piace” finisce per crederla. E questo perché
siamo macchine pensanti che si emozionano, essere emotivi che pensano: la prima
area del cervello che si attiva di fronte a un messaggio è sempre quella deputata
alle emozioni, solo dopo si accende la corteccia razionale.
Considerazioni
Tutto
ciò che ho espresso meriterebbe una serie di considerazioni che, per quanto
varie e magari tutte valide ai fini della buona informazione, resta l’impegno
di ognuno nel soffermarsi (sia pur brevemente) a riflettere sulla enorme
importanza e “responsabilità” della scienza, degli imprenditori, amministratori
pubblici e privati della sanità, operatori volontari; ma anche, ovviamente, di
chi è preposto a far circolare notizie che devono essere non una “falsa”
promessa, ma una conferma ogni qualvolta la scienza ce lo dice... senza
ambizioni o assurdi e a volte deleteri protagonismi! Quindi, al di là dei codici etici e deontologici,
personalmente ritengo che un corretto atteggiamento etico debba essere patrimonio interiore di ciascuno di noi, e a
maggior ragione se ricopriamo un ruolo sociale e responsabile come quello
dell’informazione che, se completa ed appropriata, produce soddisfacimento dei
bisogni primari e di condizioni di vita adeguate; ma anche il rispetto della
dignità umana che superi la logica del profitto, spesso
causa di incompleta o scorretta informazione... E credo che scienziati come Edward Jenner (1749-1823), Afred Nobel (1833-1896), Robert Koch (1843-1910), Emil Von Bering (1854-1917), Albert Einstein (1879-1955), Albert. B. Sabin (1906-1993), Rita Levi Montalcini (1909-2012), Stephen Hawking (1942-2018) ed altri
ancora, hanno lavorato nella convinzione che una vita senza ricerca non è degna
di essere vissuta, e tutto ciò che è ragionevole è buono: essere veramente
razionale significa divenire etico. Come del resto deve essere anche un buon
giornalista!
EDWARD JENNER: medico e naturalista inglese, che ha
realizzato il vaccino contro il vaiolo.
ALFRED NOBEL: svedese, è stato un chimico,
imprenditore, filantropo e inventore (oltre 300 brevetti), ed ha istituito il
noto Premio che porta il suo nome.
ROBERT KOCK: microbiologo e batteriologo tedesco,
professore di Igiene, i cui studi permisero la scoperta di molti microrganismi
patogeni.
EMIL VON BERING: fisiologo e batteriologo tedesco (nobel
per la Medicina nel 1901 per la scoperta
dei sieri antidifterico e antitetanico.
ALBERT EINSTEIN: fisico e filosofo tedesco, ha dato
notevoli contributi innovativi nell’ambito della Fisica: dalla teoria atomica
della materia alla Cosmologia.
ALBERT B. SABIN: microbiologo, virologo e filantropo polacco,
ha realizzato il noto vaccino contro la poliomielite che porta il suo nome, che
non ha mai voluto brevettare.
RITEA LEVI-MONTALCINI: neurologa e scienziata italiana (premio nobel per la Medicina nel 1986 per aver scoperto il fattore di crescita della fibra nervosa.
STEPHEN HAWKING: astrofisico inglese, autore di
importanti studi sulla Cosmologia Quantistica e sull’origine dell’Universo.
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