BREVE PERCORSO DI GIORNALISMO


LA RESPONSABILITÀ DI CHI DEVE INFORMARE. 
IL RUOLO DEI MEDIA

di Ernesto Bodini


Il giornalismo è una professione sempre più difficile da definire, oltre che da esercitare. In Italia la professione del giornalismo è regolata da una legge del 1963. Attualmente gli iscritti all’Ordine nazionale sono circa 65/80 mila: ci sono giornalisti dipendenti di un Editore (professionisti) e giornalisti freelance e/o collaboratori occasionali (pubblicisti). A monte di ogni testata giornalistica cartacea, televisiva, radiofonica e online, regolarmente registrata in Tribunale (anche se non profit), c’é sempre un direttore responsabile. Molti quotidiani e periodici hanno una matrice politica, e quasi tutti ottengono un finanziamento dallo Stato.

Tutela delle regole – Art. 2 legge 69/1963

È diritto insopprimibile del giornalista la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui, ed è suo obbligo indereogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservando sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati eventuali errori; come pure deve tenere conto della privacy (legge 1996). Il giornalista è tenuto ad osservare il Codice Deontologico, che implica il rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia od informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto (è il caso di sottolinearlo) della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Egli non può pubblicare notizie sulla vita privata di un cittadino, se non quando siano di chiaro e rilevante interesse pubblico e, aggiungerei, previo suo consenso (anche se autori di articoli di gossip spesso vanno ben oltre queste regole...). Inoltre, non può pubblicare la notizia di un avviso di garanzia prima che sia portato a conoscenza dell’interessato. Ma purtroppo tali regole a volte non vengono rispettate per la “smania” di fare lo scoop. Nessuno può essere obbligato a rilasciare un’intervista contro la sua volontà. I minori vanno tutelati con nomi fittizi o con le iniziali, e le foto o video devono oscurare il viso. Se si rendesse “necessario” divulgare il nome del soggetto minore, occorre ottenere la liberatoria dal genitore o da chi ne fa le veci. (Carta di Treviso: norme e comportamenti deontologicamente corretti nei confronti dei minori in genere; e Carta di Trieste: codice deontologico per i giornalisti che si occupano di notizie inerenti il disagio mentale).Per non parlare, poi, del termine di pedofilia, termine che in più occasioni ho precisato essere improprio dal punto di vista semantico, in quanto tale termine (dal greco “filia”) che significa amore, amicizia, andrebbe sostituito da pedrotopia che significa attrazione verso i bambini, ossia “volgersi verso”.

La definizione di mass media

Concettualmente è da intendersi i mezzi di comunicazione di massa, ossia gli strumenti attraverso i quali è possibile indirizzare la conoscenza verso la pluralità di destinatari. La locuzione proviene dall’inglese, ma dal punto di vista etimologico la parola media è di origine latina ed è il plurale di medium (mezzo). L’espressione in lingua italiana è da intendersi secondo le regole fonetiche italiane e latine: mass media e non mass midia... Tutti questi mezzi, proprio per la loro struttura comunicativa, spesso modificano la nostra percezione della realtà e della cultura, a volte condizionandole. Un aspetto determinante della comunicazione di massa è la produzione in serie di messaggi (in molti casi in tempo reale), e per questo è molto importante lo studio delle molteplici strategie con cui vengono prodotti i messaggi, le notizie ed ogni possibile informazione, soprattutto quando lo scopo è quello di influenzare le idee e i comportamenti del fruitore, in particolare per quanto riguarda i temi della politica e della pubblicità. Ma il concetto di informazione è ancora più esteso se si considera la versione di Internet, la principale e più evoluta rete di comunicazione sociale. La rete delle relazioni sociali che ciascuno di noi tesse ogni giorno, in maniera più o meno casuale, nei vari ambiti della nostra vita, si può così «materializzare», organizzare in una mappa consultabile, e arricchire di nuovi contatti. Ma va anche detto che i media sono agenti di socializzazione cui corrisponde l’apprendimento di valori, modelli culturali e di comportamento della collettività. Se prima i principali enti di socializzazione erano la famiglia e la scuola, oggi (ma non recentemente) nella nostra società assume sempre più importanza la comunicazione di massa, volta alla massima socializzazione di tutte le generazioni... Da ciò ne deriva che Informazione è fornire una serie di notizie o messaggi, e Comunicazione è farle pervenire a destinazione. Dal punto di vista scientifico, ad esempio, è noto che la Medicina e la Scienza in generale sono work in progress, ossia il continuo avanzare della tecnologia e delle conoscenze in una società complessa (e sempre più esigente) come la nostra, incide profondamente sia nell’ambito delle professioni che in quello delle relazioni sociali. L’interesse della collettività per le notizie in materia di salute e sanità, e quindi per gli sviluppi della scienza medica, ad esempio, è argomento di notevole diffusione e ciò in considerazione del fatto che la salute è da intendersi un bene primario in qualunque conteso sociale, indipendentemente dai principi costituzionali e dalle normative in vigore. In effetti in questi ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio incremento della divulgazione medica e sanitaria: ogni giorno circola una immane quantità di informazioni che riguardano sia la causa delle patologie ed i possibili rimedi, sia i non pochi programmi di massima diffusione con riferimenti agli sviluppi della ricerca. Quotidianamente vengono pubblicati i risultati di nuovi trial (ossia studi clinici, farmacologici, biomedici o salute-correlati sull’uomo con lo scopo di verificare che una nuova terapia sia sicura, efficace e migliore), e questo, attraverso i diversi e potenti mezzi di comunicazione: riviste, giornali, pubblicazioni editoriali (libri, dispense, manoscritti, etc.); ma anche siti online, radio, televisione, e non di meno attraverso congressi, convegni, seminari, giornate di studio, workshop, master, etc.

La comunicazione medica e scientifica

Ma come comunicare la scienza medica e le relative problematiche sia di interesse specifico che generale? E quali azioni più appropriate per utilizzare al meglio le premesse originate dal sapere, dalla ricerca scientifica e dagli sviluppi della stessa? Quesiti di ieri e di oggi, che richiedono risposte tenendo conto degli aspetti etici e culturali, ma anche del “disorientamento” della società dei consumi, delle incertezze del presente e dei dubbi sul futuro. Da sempre sostengo che la divulgazione è da considerare non solo un dovere, ma anche un serio impegno che garantisca la crescita culturale, sociale e civile. Deve essere in linea coi tempi ed avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione (la fonte internet meriterebbe un discorso a parte) preposti a raggiungere in tempo reale (o quasi) ogni fascia di pubblico. Il settore dell’informazione medica e scientifica è però più delicato: divulgare la scienza medica ha come scopo quello di informare e sviluppare attenzione e interesse generale; pertanto non ha bisogno di scoop e sensazionalismo. È invece indispensabile porre l’attenzione sulla attendibilità delle fonti, tenendo presente anche il contesto politico ed economico in cui si sviluppano i risultati di una ricerca. Purtroppo non sempre è così in quanto non è raro riscontrare, soprattutto negli articoli di cronaca sanitaria e riviste non specializzate, eccessivi allarmismo e superficialità. Comunicare bene la scienza è un dovere professionale, etico e morale, considerando che molto importanti sono le ricadute che una sedicente o troppo “entusiastica” scoperta, o addirittura un articolo ideologico in questo campo, hanno sulla formazione dell’opinione pubblica. È pur vero che il giornalista, esperto di cronaca sanitaria, ma anche il divulgatore scientifico, non devono mai assumere un atteggiamento di passività (il ruolo di autonomia e indipendenza a parte determinati “vincoli” editoriali è un loro diritto-dovere), ma è altrettanto vero che possono espletare tale diritto-dovere se preparati e se hanno l’umiltà di riconoscere i propri limiti, certamente superabili con un serio e costante aggiornamento... A questo proposito Boyce Resnberger, ex direttore del Knight Science Journalisam Fellowship Programme presso il Massachusetts Institute of Technology, ed ex giornalista scientifico del New York Times, sostiene che «i giornalisti devono stare il più vicini possibile ai ricercatori e a coloro che producono scienza, ma mantenendo comunque una sana distanza... Se il giornalista scientifico vuole riconquistare un ruolo importante nella società deve conoscere abbastanza bene la scienza da poter analizzare e interpretare i risultati di una ricerca, incluse le motivazioni di chi l’ha finanziata. E, se non fosse già abbastanza, deve essere in grado di anticipare il possibile impatto sociale delle nuove tecnologie quando c’è ancora tempo per fare la differenza». In particolare, il giornalista scientifico (quale divulgatore specializzato) deve essere in grado di selezionare, rendendo di generale comprensione, quanto gli viene comunicato o di cui viene a conoscenza e che riguarda il progresso della Medicina, della Sanità e più estensivamente della Scienza: tanto più corretta è l’informazione maggiore sarà il coinvolgimento sociale per aver suscitato particolare interesse (fiducia e credibilità) nei singoli lettori. Il primo giornalismo anglosassone aveva previsto una regola per la selezione di una notizia, la regola delle cinque “W” (in seguito divenute sei) ossia, Who, What, Where, When, Why, How (chi, che cosa, dove, quando, perché, come). La mancanza di un elemento rendeva il fatto incompleto e quindi non notiziabile (molta della terminologia legata al giornalismo è in lingua inglese... e non sarebbe male se la suddetta regola venisse applicata anche nel giornalismo italiano). Il giornalismo di oggi richiede una professionalità che deve necessariamente confrontarsi con la complessità delle moderne organizzazioni sociali di qualunque tipo, e il contributo del giornalista, con la sua professionalità specifica nei singoli campi di competenza, è spesso determinante. E questo vale anche per l’informazione online. Ed è opinione comune che nel panorama dell’informazione medica e scientifica, ormai più che inflazionato, una voce professionale seria che punti ai problemi pratici come quello dell’aggiornamento costante, abbia non solo il diritto ma anche il dovere di esistere.

Il contributo dell’Editoria

A questo proposito può essere utile, per i neofiti (e non) la lettura del volume “Salute e bugie – Come difendersi da farmaci inutili, cure fasulle e ciarlatani” (Ed. Chiarelettere, 2014), scritto dal dott. Salvo Di Grazia, il quale suggerisce che non si è liberi di scegliere se non si è correttamente informati..., fare di tutto per non ingrassare ciarlatani, imbonitori e guru. Ma non meno significativo il libro “La congiura dei somari – Perché la scienza non può essere democratica” (Ed. Rizzoli, 2107), scritto dal prof. Roberto Burioni (microbiologo e virologo), il quale in quarta di copertina scrive: “Per bloccare i Somari e per convertirli alla ragione abbiamo qualcosa che è più efficace degli antibiotici, più sicuro dei vaccini, un rimedio antico ed economico. I Somari si curano con i libri”. Riuscire a raggiungere e mantenere tale equilibrio in qualunque settore del giornalismo (e quindi anche in quello medico, sanitario e scientifico) non è cosa semplice, ma non per questo bisogna sottovalutare il proprio dovere eludendo ogni possibile apporto migliorativo con l’aggiornamento professionale: verifica delle argomentazioni da trattare e delle proprie conoscenze in materia da parte di dipendenti, collaboratori esterni (sia pur occasionali...), freelance, consulenti, opinionisti, etc., la cui formazione professionale non è necessariamente di tipo accademico. Ma mi permetto di suggerire anche il libro “Nemesi” (Ed. Einaudi, 20129 di Philp Roth (1933-2018); lo scrittore americano che con questo romanzo, ambientato a Newark (New Jersey – USA), descrive l’epidemia della poliomielite che nel 1944 ha colpito la sua città. In particolare narra la struggente vicenda di Bucky Cantor, un animatore di campo giochi che conduce una strenua battaglia contro la terribile malattia. Una lettura anche per ricordare che se non controllati alcuni focolai del virus presenti in Pakistan, Afghanistan e Nigeria, c’é il rischio che possa “ricomparire” anche in occidente. E il più recente titolo “Il cacciatore di sogni – La storia dello scienziato che salvò il mondo” (Ed. Mondadori, 2017) della scrittrice e biologa Sara Rattaro, che con questo romanzo (peraltro particolarmente indicato agli adolescenti) rievoca uno scorcio della personalità di Sabin e del suo lavoro, ma anche nella scelta di esporlo con un racconto idealizzato tra due principali protagonisti... Questo lavoro richiama alla memoria l’opera del microbiologo statunitense Paul de Kruif (1890-1971): “I cacciatori di microbi”, che ispirò e coinvolse Sabin tanto da dedicarsi alla ricerca e allo studio dei virus. Queste, come altre recensioni, fanno parte dell’attività giornalistica divulgativa. Colgo l’occasione di questo argomento per sintetizzare con questa slide, come sono state sconfitte le malattie infantili. È una mappa aggiornata della mortalità infantile degli ultimi 120 anni per alcuni tipi di malattia. Come si può notare tra il 1895 e il 2015 sono morti di difterite, tetano, poliomielite, pertosse e morbillo 670 mila bambini.; mentre nel periodo tra il 1925 e il 1955 i decessi sono stati del 25%. Nel primo dopoguerra c’é stato un ulteriore crollo: l’1,8%, mentre negli ultimi 30 anni si è scesi allo 0,01%. Un risultato grazie alle migliori condizioni igienico-sanitarie della popolazione, modifiche nutrizionali, una cultura più attenta verso l’infanzia e l’adolescenza e, naturalmente alla disponibilità dei vaccini. È però importante distinguere tra divulgazione scientifica e giornalismo medico. Nel primo caso dovrebbe essere indirizzata ad un selezionato gruppo di destinatari (addetti ai lavori), mentre il giornalismo medico-sanitario è convenzionalmente più orientato ad informare in modo divulgativo i lettori in genere su argomenti di medicina e sanità. Si può quindi definire giornalismo medico-scientifico tutto quanto riguarda la divulgazione della medicina, e per estensione la scienza tecnologica in senso lato, inclusa la ricerca applicata alla medicina stessa. La divulgazione scientifica, nel senso più accessibile del significato, ha nella validità dei contenuti tecnici dell’articolo il limite ed il condizionamento per la trattazione di specifici argomenti; nel caso del giornalismo medico non vi è dubbio che sono l’editore e il giornalista i responsabili di una scelta che può essere condizionata dai personali convincimenti nei confronti dell’argomento trattato o “subire” anche l’influenza di interessi extra professionali. È certo che quando si tratta di notizie dal contenuto medico-scientifico, le stesse assumono notevole importanza culturale e psicologica per il lettore; aspetto questo, che ha particolare rilievo se si considerano le caratteristiche dell’articolo, l’età, il grado culturale e la “influenzabilità” del lettore. Infatti scienza, tecnologia e medicina hanno sempre più spazio e l’attenzione e la sensibilità dei lettori per questi argomenti sono in costante crescita e, a tal riguardo Massimiano Bucchi, professore di Scienza Tecnologia e Società dell’Università di Trento, sfata un mito: «Le materie scientifiche occupano un buon 11% delle notizie pubblicate ogni anno sui principali quotidiani italiani, e ben il 67% degli articoli che le riguarda transita sulla prima pagina dei siti internet dei giornali». E va da sé che un testo giornalistico deve garantire contemporaneamente quattro esigenze: attendibilità delle fonti, leggibilità, credibilità e capacità di interessare il lettore, il cui “effetto” dipende dal tipo di testata giornalistica e dal target di lettori a cui ci si rivolge. Saper comunicare significa prima di tutto saper trasformare ciò che si vuole dire in ciò che il pubblico vuole sapere. Per quanto riguarda il rapporto tra la scienza e l’informazione, in particolare tra i medici e i giornalisti, le intese e le collaborazioni sono in genere soddisfacenti. Il giornalista che si occupa di cronaca sanitaria o di notizie mediche in genere, e il giornalista scientifico, hanno il diritto di scegliersi personalmente le fonti più “autorevoli” o comunque più competenti, che li erudiscano sui retroscena di una crisi sanitaria, della scoperta di un nuovo farmaco o di una ritrovata strumentazione diagnostica o innovazione terapeutica. Ma non va sottovalutato il rapporto interpersonale che a volte si può instaurare tra il medico e il giornalista specializzato; delicato aspetto di relazione che solo il “buon senso” delle parti deve garantire l’imparzialità dei rispettivi ruoli di competenze. Non è poi così tanto raro che l’uno si confidi all’altro, e questo non deve intaccare o condizionare il “pensiero” scientifico e culturale dei due professionisti che sono reciprocamente tenuti al segreto professionale, oltre che al rispetto delle regole deontologiche ed etiche. L’esigenza di un corretto equilibrio del giornalismo specializzato (e non solo) può garantire alla promozione di una professionalità deontologicamente più orientata, per mantenere un rapporto corretto con l’opinione pubblica e la realtà socio-economica; inoltre va da sè che l’informazione medico-sanitaria e/o medico-scientifica possono essere sinonimo di prevenzione. Ma in buona sostanza, esiste una ricetta “vincente” per una buona comunicazione in campo sanitario? «Credo che la comunicazione – secondo il prof. Mario Morcellini, esperto in Scienza della Comunicazione – debba adottare uno stile etico... Noi sappiamo che nelle comunicazioni strategiche, se tu sei orientato all’altro sei certamente avvantaggiato nel capire i suoi problemi. La comunicazione funziona se riduce i muri, i dislivelli. Dipende dalla qualità dei valori del soggetto che sta di qua perché è chiaro che è più forte dell’altro. Chi comunica deve capire che sta comunicando ad un soeggetto che in condizioni estreme di bisogno, quindi lì non contano le regole dell’enciclopedia comunicativa, contano il suo cuore e i suoi valori». 

Brevi riflessioni sul concetto di etica

A mio modesto parere la più semplice ed esaustiva definizione dell’etica è la seguente: “Disciplina filosofica che si occupa del problema morale”, ossia del comportamento (dal greco ethos) dell’uomo in relazione ai mezzi, ai fini e ai moventi. L’etica professionale, come nel nostro caso, è costituita da un codice, che comprende norme a cui ogni giornalista deve conformarsi o la cui violazione, quantomeno, deve provocarne sensi di colpa. Tra le varie iniziative per migliorare il comportamento etico in ambito subalpino è stata stilata la “Carta di Torino 2001”, realizzata dall’Ordine dei Medici della provincia di Torino con l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte. Si tratta di un documento che intende rappresentare un reciproco orientamento etico sull’informazione in modo più diretto e partecipativo. Resta da verificare, a mio parere, quanto siano rispettate le norme più comuni di tale orientamento. Nella nostra società, sempre più coinvolta da una moltitudine esasperata di informazioni e messaggi pubblicitari i giornalisti dovrebbero tutti rendersi conto che l’uso di una lingua più piana e più facile, più ricca e più vera non è il solo corretto modo di esercitare la propria funzione istituzionale di mediatori tra gli accadimenti e i cittadini lettori, ma è anche l’assunzione di responsabilità nuove. E in fatto di chiarezza Galileo Galilei (1564-1642) osservava: «Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi». Tuttavia, su un punto credo che possiamo essere tutti d’accordo: l’importanza che riveste l’informazione medico e/o sanitaria e scientifica, sia diretta al grande pubblico che agli addetti ai lavori. Significativa è la precisazione del linguista Tullio De Mauro (1932-2017) tratta dal suo manuale di stile per il progetto di semplificazione del linguaggio. “Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli Dei ci danno una lingua e due orecchie. Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire”. A parte questa ovvia realtà, restando sempre in ambito  medico-sanitario, quello che sta cambiando (ormai da parecchio tempo) è il tipo di informazione ai pazienti, inteso come acquisizione personale della cultura in materia medica e sanitaria, e ciò attraverso il modo e la capacità di individuare le fonti che producono tali informazioni (la facilità di accesso ai siti internet ne è un esempio). In particolare, il livello di cambiamento è legato al problema della malattia, soprattutto dopo una diagnosi. A questo riguardo ricordo che ad un Seminario dedicato all’educazione alla salute, tenutosi nel 2007 a Gardone Riviera - Bs (come inviato del settimanale Panorama della Sanità), veniva ribadito l’importante e “responsabile” ruolo dei mass media, oltre alle sempre più diversificate campagne di sensibilizzazione che possono determinare o “condizionare” il comportamento del cittadino ma anche dell’operatore sanitario. Va inoltre precisato che sempre più spesso il campo della salute è sensibilizzato e rielaborato secondo le suggestioni e gli orientamenti che si affermano a livello socio-culturale, di cui i mass media sono divulgatori consapevoli... o inconsapevoli.

Il dovere della rettifica

Non sono poi così rare le segnalazioni all’Ordine dei Giornalisti di appartenenza, in seguito a mancata pubblicazione di rettifica e/o replica. L’art. 8 delle “Disposizioni sulla stampalegge n. 47 dell’8/2/1948, stabilisce che “il direttore, o comunque il responsabile, è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Per i quotidiani “le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono”. Per i periodici “le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce”. Con questa slide ritengo “onesto” citare un caso che mi ha coinvolto personalmente. Quando la salute non riguarda solo il singolo individuo ma si arricchisce di connotazioni culturali o di valore sociale per la collettività, sono i mezzi di comunicazione che svolgono una importante funzione nell’orientare (sia pur con alcune limitazioni) atteggiamenti e considerazioni del singolo lettore. E tutto questo avviene attraverso l’opera dei mass media, e ciò di cui parlano quasi sempre appare determinante, magari per il solo fatto che ne parlano, favorendo il manifestarsi di una pubblica opinione. In questi ultimi tempi siamo stati subissati da una miriade di informazioni relative al tema vaccini e vaccinazioni: non c’è mass media che non abbia divulgato almeno un articolo in proposito, con aggiornamenti su eventi di cronaca ed in altri casi di approfondimenti. Parte di questi messi “sotto accusa” per inesattezza o incompletezza relativamente all’utilità o meno e alle modalità di somministrazione. Questo, come altri argomenti (trapianti, farmaci, metodologie diagnostiche, etc.) necessitano però di un controllo. Nel nostro ambito si dice che “gli errori dei magistrati finiscono in carcere, gli errori dei medici finiscono sottoterra, gli errori dei giornalisti finiscono in prima pagina”. Oggi migliorare i servizi in ambito tecnico-scientifico e socio-sanitario non basta. La nostra salute fisica e psichica dipende non solo dal rispetto dei principi costituzionali, normative o disposizioni ma anche, se non soprattutto, da quel modus vivendi e modus operandi dettati appunto dall’etica dell’operatore professionale, sia nell’ambito sanitario che in quello della informazione in genere. Tuttavia, ritengo che ogni altra considerazione sia certamente valida e al tempo stesso opinabile e quindi ben venga, eventualmente, un dibattito per un costruttivo confronto fra le rispettive competenze e professionalità; ma soprattutto quelle dei clinici e/o operatori tecnici che ci garantiscono al meglio la salute. Mentre sta a noi giornalisti (e/o scrittori) rispettare i concetti di etica e cultura che sono il frutto del naturale progresso (sia pur lento, o veloce) della civiltà umana. Dunque, a chi spetta (e come) il controllo di queste informazioni? Un acuto suggerimento l’ho colto dal prof. Hans Peter Peters (uno scienziato tedesco, esperto in comunicazione sociale presso il Centro di Ricerca Jülich e professore a contratto di Giornalismo scientifico presso la Libera Università di Berlino), il quale suggerisce:  «È sempre meglio informare e far conoscere le proprie ragioni nel modo più onesto, chiaro e completo. Anche se non riusciremo a convincere chi ci legge o ci ascolta, almeno avremo dato l’impressione di averlo rispettato. Anche questo può avere la sua parte nel formarsi delle sue opinioni, dal momento che l’informazione non è il solo fattore in gioco. A volte, la percezione di onestà può ottenere più della stessa informazione».

Due parole sulle fake news


La nostra è sempre più un’era di coinvolgimenti in cui tutti hanno diritto di “imporsi” anche con la libera informazione, soprattutto attraverso la carta stampata e i vari social network (Facebook, Twitter, WhatsApp, Instagram, etc.). Quindi il sistema è diffondere notizie d’ogni sorta, e cosa importa se vere o false? Certo che importa perché proprio qui sta il dilemma: le imponenti cosiddette fake news (più popolarmente “bufale”, ovvero “notizie false”) che, se trattano soprattutto di scienza e medicina, si possono paragonare a mine vaganti. l fenomeno sembra essere dei nostri tempi, mentre in realtà ha radici remote come ricorda lo storico e saggista Luciano Canfora (1942), attraverso l’analisi della lettera riprodotta da Tucidide (filosofo e politico ateniese, 460-404 a.C.) nel primo libro della Guerra del Peloponneso, nella quale il generale spartano Pausania metterebbe nero su bianco la sua intenzione di tradire i greci per passare al servizio di Serse, il Gran Re dei persiani. E più recentemente, una testimonianza in merito alle fake news ci viene dalla scrittrice e prima direttrice di un quotidiano italiano, Matilde Serao (1856-1927). Un ulteriore contributo a far luce in merito ce lo dà lo storico francese Marc L.B. Bloch (1886-1944), il quale nel 1921 scriveva: «Una falsa notizia nasce sempre da rappresentazioni collettive che preesistono alla sua nascita; essa solo apparentemente è fortuita o, più precisamente, tutto ciò che in essa vi è di fortuito è l’incidente iniziale, assolutamente insignificante, che fa scattare il lavoro dell’immaginazione; ma questa messa in moto ha luogo soltanto perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento». Quindi, con il trascorrere del tempo abbiamo ingurgitato (e ingurgitiamo) troppe bugie miste a confusione, soprattutto erogate da internet (Facebook e Google in primis, ma anche Wikipedia), vere e proprie “bufale” prodotte da autori in malafede e spesso sprovveduti e superficiali, peraltro non sempre prevenibili. Anzi, il più delle volte è quasi impossibile sapere chi e perché si sta prendendo l’incomodo di costruire e spacciare fake news; noi non li conosciamo i “sapienti” della disinformazia, ma è certo che loro conoscono noi: le nostre paure, i nostri pregiudizi, il nostro oscuro desiderio di lasciarci ingannare... e magari anche coinvolgere da quella loro saccenza abusando della nostra buona fede. Tra le bufale più note ed eclatanti in ambito medico (con la conseguenza di notevoli condizionamenti ad impatto mediatico) ricordo la divulgazione (1998) sul nesso di causalità tra vaccino e autismo, ad opera del medico inglese Andrew Wakefield, in seguito smentita dal suo stesso collaboratore e dalla comunità scientifica internazionale; tanto che il medico fu poi radiato dall’Albo... anche se poi ha continuato nella sua opera di divulgatore... con non pochi seguaci. In seguito, altre notizie false hanno riguardato la presunta tossicità e avvelenamento a causa dei vaccini; come pure le cosiddette truffe anticancro: fine anni ’60 per la cura del cancro fu diffuso il “Siero di Bonifacio”, divulgato dal veterinario Liborio; nel 1998 è stato diffuso il noto “Metodo Di Bella” (MdB) del dottor Luigi Di Bella; e più recentemente il caso del “Progetto Stamina” ad opera dello psicologo (?) Davide Vannoni che, sulle spalle di molti malati, si è creato una certa fortuna... e, seppur diffidato e condannato, ha continuato a diffondere false speranze... Ma la “produzione” delle false notizie, c’è ragione di credere, è spesso creata per interessi economici di molti soggetti coinvolti, per motivi politici o propagandistici e sfruttamento di questa o quella tendenza e orientamento mirato delle opinioni e, il fruitore, a parte la scarsa attenzione dei giornalisti, se una notizia “gli piace” finisce per crederla. E questo perché siamo macchine pensanti che si emozionano, essere emotivi che pensano: la prima area del cervello che si attiva di fronte a un messaggio è sempre quella deputata alle emozioni, solo dopo si accende la corteccia razionale.

Considerazioni

Tutto ciò che ho espresso meriterebbe una serie di considerazioni che, per quanto varie e magari tutte valide ai fini della buona informazione, resta l’impegno di ognuno nel soffermarsi (sia pur brevemente) a riflettere sulla enorme importanza e “responsabilità” della scienza, degli imprenditori, amministratori pubblici e privati della sanità, operatori volontari; ma anche, ovviamente, di chi è preposto a far circolare notizie che devono essere non una “falsa” promessa, ma una conferma ogni qualvolta la scienza ce lo dice... senza ambizioni o assurdi e a volte deleteri protagonismi!  Quindi, al di là dei codici etici e deontologici, personalmente ritengo che un corretto atteggiamento etico debba essere  patrimonio interiore di ciascuno di noi, e a maggior ragione se ricopriamo un ruolo sociale e responsabile come quello dell’informazione che, se completa ed appropriata, produce soddisfacimento dei bisogni primari e di condizioni di vita adeguate; ma anche il rispetto della dignità umana che superi la logica del profitto, spesso causa di incompleta o scorretta informazione... E credo che scienziati come Edward Jenner (1749-1823), Afred Nobel (1833-1896), Robert Koch (1843-1910), Emil Von Bering (1854-1917), Albert Einstein (1879-1955), Albert. B. Sabin (1906-1993), Rita Levi Montalcini (1909-2012), Stephen Hawking (1942-2018) ed altri ancora, hanno lavorato nella convinzione che una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta, e tutto ciò che è ragionevole è buono: essere veramente razionale significa divenire etico. Come del resto deve essere anche un buon giornalista!


EDWARD JENNER: medico e naturalista inglese, che ha realizzato il vaccino contro il vaiolo.

ALFRED NOBEL: svedese, è stato un chimico, imprenditore, filantropo e inventore (oltre 300 brevetti), ed ha istituito il noto Premio che porta il suo nome.

ROBERT KOCK: microbiologo e batteriologo tedesco, professore di Igiene, i cui studi permisero la scoperta di molti microrganismi patogeni.

EMIL VON BERING: fisiologo e batteriologo tedesco (nobel per la Medicina nel 1901 per la scoperta  dei sieri antidifterico e antitetanico.

ALBERT EINSTEIN: fisico e filosofo tedesco, ha dato notevoli contributi innovativi nell’ambito della Fisica: dalla teoria atomica della materia alla Cosmologia.

ALBERT B. SABIN: microbiologo, virologo e filantropo polacco, ha realizzato il noto vaccino contro la poliomielite che porta il suo nome, che non ha mai voluto brevettare.

RITEA LEVI-MONTALCINIneurologa e scienziata italiana (premio nobel per la Medicina nel 1986 per aver scoperto il fattore di crescita della fibra nervosa.

STEPHEN HAWKING: astrofisico inglese, autore di importanti studi sulla Cosmologia Quantistica e sull’origine dell’Universo.






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