L’INCOERENZA DI UN PAESE AGGRAVATA DALLA NON
SAGGEZZA
Un popolo alla deriva e soggiogato da un
sistema “perverso”, sul quale
infierire con le armi della burocrazia e di una
legislazione dotta ma iniqua
di Ernesto Bodini
Non c’è che
dire e tanto meno da stupirsi: si decanta tanto il Bel Paese (con tanto di
enfantizzazione del tricolore che lo identifica un po’ ovunque) per la sua ricchezza
storica, ed altrettante ricchezze artistiche, un Servizio Sanitario tra i primi
al mondo, una Costituzione tra le più democratiche (?), e molto altro ancora.
Ma va sottolineato che primeggia in burocrazia che nessuno afferma essere il
vero “cancro” (sottolineo proprio questo termine) dell’Italia, in quanto non
c’é azione quotidiana del cittadino in
cui non si trovi a dover affrontare la P.A. senza un seguito di incomprensioni
e conseguenti sequele, talvolta anche di una certa gravità, a discapito non dei
dipendenti della P.A. stessa, ma quasi sempre a sfavore del cittadino in quanto
suddito della più deplorevole perversione di un sistema… Da decenni, sia pur
tra esempi di indiscutibile efficienza della pubblica amministrazione nei
diversi ambiti di appartenenza, governanti che si sono via via succeduti non sono
stati in grado di prevenire, e nemmeno reprimere, le evasioni fiscali (non
quelle dell’onesto contribuente al quale vengono fatti “pesare” e tassati i
suoi modesti risparmi di una vita), le corruzioni ed ogni altra azione
criminale. Per contro, il sistema burocratico è assai efficiente nel perseguire
il contribuente che involontariamente, ad esempio, ha sbagliato a compilare un
semplice modulo di carattere amministrativo o la denuncia dei redditi, magari
per la sola differenza di qualche centesimo di euro. Una assurda in-efficienza,
questa, che non ha paragoni nei confronti della quale nessun scudo si è mai
levato per contrastarla; o meglio, tutti puntano il dito ma poi quella
minuscola porzione umana (il dito, appunto) si ritrae quasi in silenzio.
Ma l’Italia è
anche la nazione delle mille domande (come le mie) e delle rarissime risposte:
quale è stato, ad esempio, il destino dei circa 4 mila falsi invalidi e
relativi medici ed amministrativi compiacenti, scoperti alcuni anni fa? E quale
la destinazione dei beni immobili, ma soprattutto del denaro, che spesso
vengono requisiti alla criminalità? Ed ancora. Quali conseguenze etico-morali
vengono, o non vengono, addebitate a quei magistrati che hanno fatto condannare
migliaia di innocenti, peraltro gran parte dei quali sono tuttora detenuti?
Ecco che la tendenza alla “sovversione” del sistema si fa strada, ma purtroppo
chi la intraprende non è né intelligente né razionale. Nel passato (ma ancora oggi,
anche se in misura minore) alcuni movimenti pseudo popolari hanno provato a “sovvertire”
il perpetuarsi delle ingiustizie, ma con la responsabilità di aver agito in
modo incivile ed illegale, e non con quella intelligenza che molti dotti si
vantano di avere come se essere intellettuali fosse una garanzia del buon
contestare e del buon agire contro leggi che si potrebbero ritenere obsolete, incongruenti e quindi non più
necessarie. In quest’ultimo caso ve ne sono almeno due (molto attuali, ma che
per il momento non cito per ovvietà) che predispongono una certa obbligatorietà
all’osservanza, ma in caso contrario non prevedono alcuna sanzione…! Per
contro, si potrebbe evidenziare anche il concetto di anòmia (termine coniato dal
sociologo Émile Durkheim), ossia assenza o inadempienza di una o più leggi. Il nostro sistema peninsulare
prevede una pletora di leggi, ma a che serve legiferare in modo incongruente o,
peggio ancora, applicare in modo spasmodico con la “complicità” del sistema
burocratico a discapito del cittadino? È evidente che si vuole avere sempre un
capro espiatorio che paghi le conseguenze create da chi è il reale non
osservante di dette leggi, P.A. compresa. E poi si aggiunga la miriade di
quelle che sono le normative o le cosiddette procedure standard, e peggio
ancora di quelle che i burocrati definiscono “consuetudini”; e a riguardo, si
sappia che nell’ambito della P.A. una consuetudine non è una norma e tanto meno
una legge. Se quanto sinora esposto può essere considerato anacronistico, mi si
spieghi perché quando si insegna Diritto o Filosofia non si evidenzino gli
aspetti negativi e perversi del sistema politico-giuridico-legislativo mentre è
meno “compromettente” limitarsi alla citazione della saggezza teorica (e non
pratica) di insigni filosofi del passato, condita con esempi di oratoria che
quasi incanta… ma non insegna come affrontare la concretezza della vita in seno
alla collettività.
Io credo,
nella mia modestia di libero opinionista e divulgatore, che quello che ciascuno
di noi dovrebbe fare, per essere coerente, è trovare il modo di costruire la sicurezza delle proprie convinzioni e non
lasciarci distrarre dalle opinioni altrui, ovvero della massa, e tanto meno
sottometterci ai burocrati. Mi rendo conto che ciò è assai arduo, e chi mi dovesse
eventualmente leggere in modo “socratico”, ossia tendente all’anticonformismo,
non mi distanzio da ciò poiché forte del fatto che sviluppare le mie opinioni
mi permette di emergere dalla massa vociante e spesso inconcludente che,
purtroppo, è come un gregge che pascola allontanandosi dalla realtà… Il mondo è
pieno di uomini deboli e spesso incostanti e incoerenti, e quelli che
rappresentano l’eccezione sono una minoranza ma anch’essi destinati all’oblio.
Se un uomo è capace di trovare e perseguire la verità in ogni dove, dimostra
non solo coerenza ma anche un atteggiamento etico, che dire socratico è forse
riduttivo… Tale atteggiamento, se perpetuato nel tempo, ha il pregio di
dimostrate di essere meno passivi, meno inclini a seguire il gregge; e se
qualcuno fosse in disaccordo, bene sarebbe rispondere con esempi di logica
comportamentale dimostrando perché si pensi di aver ragione. Forse c’é chi
sostiene che non è possibile diventare filosofi perché non si è potuto (o
voluto) studiare in senso accademico, o perché non si è letto abbastanza, ma
secondo Socrate, tutti possiamo imparare a pensare e ad essere padroni dei
propri pensieri e delle proprie idee. Egli, tra l’altro, affermava: “Non vale la pena vivere una vita senza
indagine: una vita meditata è possibile per tutti”. E, come torno a
ripetere, ogni argomentazione che si intende sostenere deve essere logica e coerente, e non basarsi
sulla volontà della maggioranza. Quindi, il nostro Paese ha ancora molto da
imparare per essere di esempio ad altri, e non basta un buon sistema didattico
per erudire i suoi cittadini, è invece indispensabile responsabilizzarlo con il
buon esempio, in primis da parte di chi è deputato a governare; diversamente
l’Italia, a mio avviso, è destinata ad essere una nazione con un futuro sempre più incerto, ancorché politicizzato da quei soloni e pretendenti al
potere, esattamente come quegli ateniesi che dovettero giudicare Socrate
(470-399 a.C.), al quale fu chiesto da dove venisse, e lui rispose: «Non da Atene, ma dal mondo». Una ovvietà
analoga a quella espressa da Albert Einstein (1879-1955), quando entrando negli
Stati Uniti nel 1933, per sfuggire alle persecuzioni naziste, su precisa
richiesta delle sue origini ebbe a dire: «Io
appartengo all’unica razza che conosco, quella umana», demolendo così le
fondamenta del razzismo che si basa sulla diversità, che è più corretto
definire etnia. Un parallelo distante anni luce, ma la cui convergenza non
lascia dubbi sulle reciproche saggezza ed etica morale.
La prima
immagine è tratta dal sito Data Manager.
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