LA LIBERTÀ DI STAMPA UN DIRITTO INALIENABILE
Una Giornata dedicata a tutti gli operatori
dell’informazione: cronisti, fotoreporter e
liberi opinionisti, ma soprattutto in prima linea gli inviati
e corrispondenti di guerra
di Ernesto Bodini
In ogni Paese
democratico che si rispetti solitamente sono impliciti determinati diritti ed
altrettante libertà, come ad esempio quella della libera informazione; mentre
in altri dove vige la dittatura il diritto di informare è mal tollerato, se non
addirittura sottoposto a censura come in Ungheria, dove il presidente Viktor
Orbàn (1963), in piena emergenza pandemia da Coronavirus, ha avocato a sé i
pieni poteri. Questa grave limitazione, che peraltro è presente anche in altri
Paesi ancora lontani dall’essere democratici, richiede l’attenzione
dell’opinione pubblica tant’é che il 3 maggio è stata la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa (promossa ogni anno
dall’Unesco). Una lunga maratona social per dire “No al bavaglio” in cui testimonianze si confrontano in ogni angolo
del mondo, un’unica grande iniziativa europea organizzata dall’Associazione
Culturale Leali delle Notizie, anche per ricordare chi ha perso la vita facendo
il suo dovere di cronista e/o fotoreporter in alcuni Paesi, come pure quelli
minacciati o imprigionati per aver rivelato con il loro lavoro verità scomode.
«Celebrare nel modo migliore questa
Giornata – ha dichiarato all’Ansa Andrea Martella, Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Informazione e all’Editoria
– significa portare avanti un’azione
concreta seguendo principi irrinunciabili: libertà dei giornalisti di
informare, libertà dei cittadini di essere informati, libertà per chi ha scelto
un mestiere che è una missione di svolgerlo senza il peso delle minacce o della
precarietà, libertà di mettere la propria professionalità al servizio delle
notizie e della comunità». Concetti sacrosanti, è il caso di dire, ma
purtroppo l’inosservanza di questo diritto-dovere anche nei Paesi più democratici
talvolta è disatteso, se non osteggiato; e anche in Italia in questi ultimi
decenni sono diversi i giornalisti che hanno perso la vita, nel preciso momento
in cui hanno divulgato le nefandezze della criminalità… in alcuni casi collusa
con i politici. Ecco che diritto e libertà, pur fondendosi in un unico concetto
di democrazia, subiscono una sorta di alienazione che nemmeno la più garantista
delle Costituzioni riesce a difendere. Tuttavia, val sempre la pena raccontare
la verità, specie se l’autore è deputato ad informare l’opinione pubblica nel
massimo rispetto dell’etica e della deontologia. E che dire degli inviati e
corrispondenti di guerra, che tutti i giorni rischiano la vita per farci
conoscere gli eventi della quotidianità internazionale? Personalmente mi sono
sempre battuto contro la faciloneria nell’attribuire l’etichetta di “eroe”
per una, sia pur lodevole, azione umanitaria; ma oltre ai medici in continua
emergenza, anche i giornalisti e/o foto-cinereporter (siano essi dipendenti di
un editore o freelance) meritano questo attributo, poiché la loro mission è da
intendersi non tanto come azione bensì come rinuncia e sacrificio.
Perciò, tutti
dovremmo essere consapevoli che chi svolge questa professione contribuisce a
renderci più partecipi alla vita quotidiana facendoci conoscere notizie e fatti
che, in non poche circostanze, possono (o potrebbero) migliorare il nostro
percorso esistenziale. L’elenco dei caduti purtroppo non è breve, e oggi è disponibile un sito per conoscere da
vicino la vita e la professione dei giornalisti uccisi perché cercavano la
verità. Il sito è www.giornalistiuccisi.it, una iniziativa di
Ossigeno per l’informazione. Intitolato “Cercavano
la verità”, il sito raccoglie per la prima volta tutte insieme le storie
dei giornalisti uccisi negli ultimi 60 anni dalle mafie, dal terrorismo e dai
conflitti all’estero; ciò con l’intento di collegare e valorizzare le diverse
iniziative già avviate nel tempo per ciascuno di loro, e di rendere più
accessibile l’informazione esistente coinvolgendo direttamente anche i
familiari delle vittime. Ma un pensiero vorrei spenderlo anche per i
giornalisti (solitamente freelance) che scrivono a titolo non profit, il cui
impegno (se costante e quindi non occasionale) rientra a pieno titolo nella
schiera di quei giornalisti in “prima linea” nell’ambito del sociale in senso
lato e, per questo per certi versi, al pari di tutti gli altri colleghi.
La prima immagine è tratta dal sito Il Discorso
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