UNA “SPINA DORSALE” DEL SISTEMA SANITARIO CONTRO IL COVID-19
Sono gli
infermieri, soldati per combattere un nemico invisibile che, sprezzanti del
pericolo, lottano
per strappare alla
morte i contagiati talvolta con le armi della carezza e del sorriso
di Ernesto Bodini
È sempre molto triste affrontare i temi della sofferenza e
della morte, proprio perché due eventi della vita terrena che dobbiamo dare per
scontato e ai quali l’umanità (come l’intero regno animale) non vi si può
sottrarre. Ma quando si tratta di calamità naturali il conto da pagare quasi
sempre è molto elevato e non ci sono limiti di tempo e gravità perché ciò
accada. Le persone maggiormente a rischio di un evento precoce e spesso
traumatico sono coloro che esercitano una professione di particolare impegno,
solitamente dedite a tutelare la salute e la vita di noi tutti. Fra queste,
oltre alle Forze dell’Ordine e ai molti volontari, nel campo della Sanità i
maggiori esposti sono i medici e gli infermieri soprattutto sia in sala
operatoria che nei reparti di Rianimazione (terapia intensiva); forzati
dell’urgenza-emergenza ad oltranza e senza limiti di orario poiché le malattie
da curare spesso richiedono ore e ore di dedizione, ivi compresi imprevisti e
complicanze. Dei medici in trincea per l’attuale pandemia si è parlato molto, e
forse se ne parlerà ancora; ma ritengo altresì doveroso spendere qualche parola
in più per la grande famiglia degli infermieri, peraltro oggi sempre più
professionalizzati anche per via di una maggiore autonomia operativa, e quindi primo
riferimento per il malato H24 per tutto l’anno nell’ambito dell’attività
ospedaliera. Anche queste figure dai camici sempre in ordine e solitamente
dalla parola rassicurante, sin dall’inizio si stanno prodigando sul fronte
della pandemia e a tutt’oggi nel nostro Paese sono ben 12.000 quelli contagiati
dal Coronavirus, 39 i deceduti di cui 4 si sono tolti la vita. Professionisti
sul campo di battaglia per una buona parte dei quali privi di quelle più
semplici protezioni che chi di dovere dovrebbe garantire, e proprio su
mascherine e prodotti igienizzanti le speculazioni da parte di persone senza
scrupoli continuano senza sosta… e non c’è Codice penale che tenga, sic! Ecco
che questi “soldati dell’assistenza tout court” sprezzanti del pericolo quotidiano,
pur avendo anch’essi una famiglia, possono contare non solo sull’accostamento
dei medici ma anche sulla propria totale dedizione che, in questa circosanza,
va ben al di là del ruolo e dell’etica professionale; tant’è che il direttore
dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, li ha definiti la «spina dorsale di qualsiasi sistema sanitario».
Quindi, anche questa tra le professioni maggiormente colpite sul
fronte dell’emergenza che, per quanto impegnativa, ne fanno un vanto non per
mera gloria che contemporanei e posteri vorranno loro riconoscere, ma per quel
credo che rievoca l’esempio delle due pioniere in questo campo: la statunitense
Virginia Henderson (1897-1996, nella foto) e l’italiana (naturalizzata inglese)
Florence Nightingale (1820-1910). La prima mostrò con decisione la volontà di chiarire la funzione della
professione infermieristica all’interno della società, vedendo fortemente
correlata la funzione specifica dell’infermiere alla sua originale concezione
dei bisogni fondamentali dell’essere umano; infatti, i suoi suoi postulati si
basavano sul fatto che ogni persona tende all’indipendenza e lo desidera, forma
un unicuum che presenta bisogni fondamentali e che quando un bisogno non è
soddisfatto la persona non è completa né indipendente. La seconda per essersi
rivelata un genio decisamente sia dal punto di vista
teorico-didattico che pragmatico, oltre ad aver stilato un Giuramento che porta
il suo nome e redatto da una Commissione dell’Ospedale Harper di Detroit nel
1893, che qui si vuole riproporre.
"Prometto
davanti a Dio, in presenza di questa assemblea, di vivere degnamente e di
esercitare fedelmente la mia professione. Mi asterrò da tutto ciò che può
nuocere e non prenderò, né somministrerò consapevolmente alcuna droga nociva.
Farò tutto ciò che è in mio potere per elevare il livello della mia professione
e farò riservato uso di tutte le informazioni personali che mi verranno
confidate, nonché di tutte le situazioni familiari di cui sarò venuta a
conoscenza nell'esercizio della mia professione. Aiuterò lealmente il medico
nel suo lavoro e mi dedicherò al servizio di coloro che mi verranno affidati
per l'assistenza".
Questo documento, pur essendo
assai datato, io credo continui ad essere “Una
voce che guida – Salute per tutti”; proprio come il tema scelto dall’International
Nurses Council per l’Anno internazionale dedicato agli infermieri ai quali,
seppur esausti, viene chiesto un ulteriore impegno per la cosiddetta “Fase 2”
attraverso le Unità speciali di continuità assistenziali (Usca), nella gestione
territoriale dei casi Sars-Cov-2. Un continuum
che è proprio della Medicina che, pure rappresentata dagli infermieri, si impone
di qualche volta curare, spesso aiutare
e sempre consolare.
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