QUANDO LA FEDE E LA DETERMINAZIONE SUPERANO L’HANDICAP
L’amore per la vita e il rispetto della Verità nel credo di Nick Vjicic
di Ernesto Bodini
Forse non sono molti (o
forse sono tanti) i casi di disabili fisici la cui gravità ha segnato la vita
sotto tutti gli aspetti e, per alcuni, meno quello della accettazione; una vera
e propria conquista dettata, a loro dire, dalla fede che è quel credo in Gesù
Cristo. Emblematico il caso di Nick Vjicic (nella foto), un 38enne australiano di
origine serba, nato senza braccia e senza gambe, una anomalia genetica che
prende il nome di tetramelia, che
significa appunto assenza congenita dei quattro arti. Alla base del tronco solo
due piccoli piedi, uno dei quali è provvisto di due dita (prensili) che gli
permettono alcune azioni come usare il telefono, prendere un bicchiere d’acqua,
muoversi con la propria carrozzina, etc; una parziale autonomia che gli “facilita”
la vita quotidiana e di relazione. Un destino crudele si direbbe, anche per i
suoi genitori, in particolare la madre che all’inizio si rifiutava di tenerlo
in braccio e di allattarlo per il forte disagio, ma ciò durò pochi mesi e padre
e madre lasciarono al Signore tutta la loro tristezza, confidando in Dio il
loro credo perché aveva un piano ed un futuro per la vita del loro figlio. Per
Nick i primi anni furono di grande prostrazione, tant’é che all’età di otto
anni pensò persino al suicidio, che tentò senza riuscirvi; ma poi subentrò in
lui il pensiero dei suoi genitori che amava, un amore reciproco alimentato
dalla fede. In uno tanti incontri pubblici Nick ebbe a dire: »Smisi di
prendermela con Dio per quello che non avevo, e cominciai a ringraziarlo per
quello che avevo. Mia madre mi disse: “Nick, non so come e quando ma Dio si
userà di te”. Quelle parole divennero un seme che penetrò nel mio cuore, e per
la prima volta compresi che non aveva senso essere completi nell’esteriore
quando si è incompleti nell’interiore; e capii inoltre che Dio può guarirti
anche senza cambiare le circostanze in cui ti trovi». Questa fede lo riempì
e con essa arrivò la pace… E alla domanda cosa lo spinse a confidare in Dio e
nella sua parola non sapendo ancora cosa gli avesse preparato, Nick ha
spiegato: «Non riuscirei a trovare la pace nemmeno se avessi le braccia e le
gambe. Avevo bisogno di trovare la verità in merito alla mia vita: chi sono,
perché sono qua, dove andrò dopo la morte, e non ho trovato nessuna risposta
vera al di fuori di Gesù». Secondo la ratio del giovane australiano è
certamente difficile essere forti quando le persone intorno a noi cominciano a
scoraggiarci, non si è abbastanza bravi, non abbastanza forti perché nella vita
se non si conosce la Verità non si può essere liberi, finendo con il confondere
la bugia con la verità. Ci sono alcune cose nella vita che sono fuori dal
nostro controllo e che non possiamo cambiare, e con le quali dobbiamo
convivere…, e la scelta che però abbiamo è arrenderci o andare avanti.
E Nick non si è arreso, ha persino
trovato moglie, la bellissima messicana Kanae Miyahara con la quale ha avuto
quattro figli tra il 2013 e il 2017. Vivono in California (dove si sono sposati
nel 2012) e Nick, che ha anche due lauree in ragioneria e promozione
finanziaria, è oggi uno speaker motivazionale e continua a viaggiare in tutto
il mondo spesso incontrando nelle scuole molti giovani, per parlare della sua
vita e soprattutto trasmettendo loro i preziosi principi di vita. E a questo
riguardo in uno dei suoi incontri ha spiegato: «Penso che la cosa importante
per me non sarebbe andare in giro lamentando continuamente: se solo avessi
braccia e gambe, perché desiderare non aiuta! Quello che ho visto nella vita,
invece, sono alcuni principi fondamentali, uno dei quali è che bisogna essere
grati… ma non è facile». In effetti nel corso della propria esistenza a
volte è molto difficile sorridere: ci sono eventi che succedono e che non
possiamo sapere a priori, quanto dureranno e tanto meno capire, e magari il più
delle volte nemmeno a superarli. Rivolgendosi in particolare ai giovani più
volte ha sottolineato: «Sapete, è inquietante apprendere quante ragazze
hanno dei disturbi alimentari, come è anche inquietante apprendere quante
persone sono arrabbiate con la vita per la loro situazione difficile in casa, o
sono arrabbiate per altro. Ed è allarmante sentire quante persone in realtà
sono convinte di non valere niente». Frasi che suonano come un monito
pacato ma diretto, e come testimonianza
che in questi ultimi dieci anni ha condiviso con più di 3 milioni di
persone in 24 nazioni; una sorta di pellegrinaggio vocazionale per contribuire
a dare speranza a chi non ce l’ha o a chi l’ha persa magari per la poca fede. E
per essere utile a largo raggio ha scritto l’utobiografia “Vita senza limiti. Per una vita assurdamente felice” (ed. La Casa
della Bibbia, pagg. 305) in cui racconta la storia della sua disabilità e la battaglia emotiva che ha combattuto mentre cresceva e
imparava a convivere con il suo handicap come bambino, adolescente e adulto;
inoltre ha fondato “Life without limbs”
(“La vita senza arti”), una organizzazione internazionale non-profit per
disabili. Scrivendo e parlando ovunque Nick
offre consigli pratici per realizzare una vita di appagamento e felicità
costruendo fiducia negli altri, sviluppando relazioni di supporto e guadagnando
forza per il viaggio. Incoraggia il lettore mostrando come ha imparato ad accettare
ciò che non poteva controllare e concentrarsi invece su ciò che poteva. Tra le
righe incoraggia-domandando: «Non dovete
mai pensare che basti semplicemente credere in qualcosa. Va bene credere nei
propri sogni, ma bisogna agire finché si realizzino. Si può avere fiducia nei
propri talenti e fede nelle proprie capacità, ma se non si fa nulla per
svilupparli e sfruttarli, quale utilità avranno?».
A fronte di ciò non deve venir meno il coraggio di fare una
scelta. Ma quanto è visibile il coraggio? Secondo il lessicografo statunitense
Noah Webster (1758-1843 nell’immagine), soprannominato il "Padre dell'educazione
e della scuola americana", non è
visibile in quanto definisce il coraggio «la
qualità della mente che permette di affrontare con valore le difficoltà».
Testimonianza autorevole che, tuttavia, non intacca la convinzione di molti che
il coraggio può davvero assumere forma, consistenza e colore, e questo quando
accade di solito il risultato è eccellente. Ad esempio vi sono persone che
menomate o prive degli arti superiori a causa di malattie, incidenti o difetti
di nascita, sono riuscite a realizzare (con la bocca o con gli arti inferiori)
“vere” opere d’arte che sono state esposte in prestigiosi musei e gallerie
d’Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Italia e acquistate da collezionisti di
tutto il mondo. Ma anche il teatro, o meglio l’animazione teatrale, può essere
occasione per stimolare e coinvolgere giovani disabili gravi nel rapporto con
gli altri e la realtà circostante, utilizzando i linguaggi, la mimica e le
tecniche più diverse che il teatro offre per sviluppare le potenzialità espressive
e comunicative di ognuno. Il teatro come il linguaggio e la comunicazione
attraverso il corpo si pongono come alternativa rispetto al tradizionale
assolutismo del linguaggio scritto-verbale, primo atto della comunicazione
sociale. Così pure il cinema, che da diversi anni incontra l’handicap (ma oggi
un po’ meno), si serve di storie di disabili più o meno gravi per rimuovere un
panorama sempre uguale e nel contempo proporre nuove sensibilità. Sovente però
si rischia, per la forza prorompente dell’immagine, di impietosire e
allontanare, e purtroppo sono poche le eccezioni che sanno fare buon uso di un
tale mezzo, in modo da accettare ogni tipo di handicap e non solo per dire
qualcosa a tutti i costi.
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