UN PO’ DI LUNGUISTICA...
E UMILTÀ, NON GUASTANO
La “questione” dei
titoli accademici... abbreviati. Il titolo di Dottor (Dr), è un vezzo
prevalentemente italiano al quale non si rinuncia facilmente... eccezioni a
parte
di Ernesto Bodini
È
ormai noto da tempo che gran parte degli italiani, una volta conseguito un
titolo di Laurea (anche la cosiddetta triennale o “mini laurea”), ama farsi
interpellare con l’appellativo di “dottor”, sia pur in ambito non professionale.
I titoli accademici che esprimono una professione, si sa, si rendono necessari
se menzionati per identificare, appunto, il soggetto nell’esercizio della professione
che lo riguarda; ma il più generico titolo di Dottor, ancor più se abbreviato per iscritto quale “Dr”, necessita
di qualche precisazione. Sovente quando leggiamo un articolo di giornale o un
libro il nostro occhio non cade mai (o quasi) su determinati particolari come
ad esempio le abbreviazioni (od acronimi), soprattutto quando riguardano i
titoli accademici. Può sembrare banale ma in realtà a volte risulta importante,
almeno sotto l’aspetto formale, rispettare l’esatta abbreviazione di tale
titolo accademico. Vediamo perché. Il più delle volte, non solo sugli indirizzi
e a seguito della firma su carta da lettera o altro documento, ma anche sui
biglietti di visita, sulle targhe degli studi professionali, dei portoni, dei
citofoni, delle buca delle lettere, etc., vi è l’esigenza di abbreviare la
parola Dottore, e l’errore costante consiste nella formula Dr. con tanto di punto fermo per
chiusura. Ma perchè di chiusura? «Il
punto fermo – spiega il linguista Aldo Gabrielli – serve oltre al resto, come segno di chiusura, è vero, ma solo nelle
parole abbreviate per troncamento: Avv. per avvocato, Prof. per professore,
Ing. per ingegnere, Arch. per architetto, Egr. per egregio e così via. Anche al
di fuori dei titoli professionali, abbiamo abbreviazioni come etc., p. es., sig.,
u.s., e via di seguito, che tutti leggiamo senza esitare: eccetera, per
esempio, signor, ultimo scorso». Sarà dunque corretta l’abbreviazione Dott. dove quel punto sostituisce le
lettere troncate (ore), ed è questa la forma abbreviata più comune,
consigliabile. Ma nel caso su citato non si tratta di un’abbreviazione per
troncamento o di un’abbreviazione per sincope, ossia per taglio nel mezzo della
parola, più precisamente per sincope della parola latina Doctor; il punto, perciò, dopo la “R” finale è inutile, non dovendo
sostituire nessuna sillaba o lettera troncata. Piuttosto si dovrebbe scrivere
dev.mo per “devotissimo”, aff.mo per “affezionatissimo” o “affettuosissimo”,
etc.; dunque, la sigla corretta è Dr
senza il punto: “Dr Mario Rossi”, “Dr Avv. Eugenio Bianchi”. Inoltre, per
quanto riguarda l’abbreviazione del dottorato è bene distinguere: Dott. se
riferito a medico, e Dr se riferito al comune laureato. Altro caso identico
riguarda le parole junior e senior, a volte aggiunti a nomi propri
di persona “più giovane” o “più vecchia” dello stesso nome, c’è chi abbrevia i
due termini con il solito punto alla fine: Jr. e Sr. Anche se in questo caso è
un errore, per lo stesso motivo sopra descritto, salvo che queste
abbreviazioni siano in fin di periodo, e in tale caso il punto fermo servirà a
chiudere il periodo e non la parola; quindi Jr e Sr senza il punto di chiusura.
Si
dice “biglietto di visita” o “da visita”?
È
forse ancora discutibile l’adozione del da
o del di, ossia se è più corretto
dire biglietto da visita o di visita, festa da ballo o di ballo. Le perplessità
non mancano neppure ai linguisti (puristi lessicali) in quanto da una parte lo
scrupolo linguistico li porta a distinguere il valore dell’una o dell’altra
preposizione; dall’altra, invece, c’é l’uso molto più ricorrente di essere
pignoli ad oltranza... È noto che la preposizione da è usata a dovere nel complemento di fine o scopo, ossia quando
indica una destinazione occasionale particolare, una idoneità o un’attitudine
singolare e non generale o specifica del soggetto. È quindi corretto dire sala
da ballo o da pranzo perché, come spiega Gabrielli, il fatto che ci si balli o
ci si pranzi è un uso particolare assegnato a una sala, che potrà domani anche
diventare da conferenze o da concerti; come pure fazzoletto da naso in quanto
destinato al naso, per distinguerlo da quelli destinati ad uso diverso. Si dirà
quindi festa di ballo perché è tale in quanto è di ballo, biglietto di visita
perché la sua qualità specifica è quella di rappresentare la persona che fa
visita a qualcuno. Per le stesse ragioni si dirà biglietto di viaggio, biglietto
d’ingresso, biglietto di condoglianze, e non “da viaggio”, “da ingresso”, “da
condoglianze”. Disquisizioni o punti di vista diversi che sono certamente da
rispettare; come pure un po’ va rispettata, a mio avviso, quella raffinatezza
linguistica che meglio ingentilisce il nostro comune scrivere. Vorrei concludere
con una ulteriore considerazione sul titolo accademico di “dottore”, il cui
ostentato uso olografo e verbale talvolta “condiziona” non poco chi non lo
possiede e, in taluni casi, lede la loro dignità poiché l’uso di un
riconoscimento accademico, come anche quelli riconosciuti dalla Presidenza
della Repubblica (Cavaliere, Commendatore, Grande Ufficiale, etc.) non solo è
detto che sia sempre meritato sul campo, ma in ogni caso non è certo sinonimo
di intelligenza e... umiltà. Quelli che ancora hanno ragione di “esistere” (per
ragioni diplomatiche) sono i titoli nobiliari dei regnanti. Ma questo è un
aspetto formale e sostanziale che fa parte dell’evoluzione storica dei rapporti
tra le popolazioni.
La vignetta sopra è tratta dal sito www.controcampus.it
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