IL PREZZO DI
UNA VITA PER I MALATI
Camici bianchi
sul fronte della sofferenza, che possiamo
sostenere con
un pensiero di sentita partecipazione
di Ernesto Bodini
Questa ecatombe sembra non aver fine: i
bollettini quotidiani divulgati dagli organi preposti e ripresi dai vari mass
media continuano a sfornare cifre a dir poco impressionanti, oggi (7 aprile) due
per tutte: nella sola Francia si contano oltre 10 mila decessi e in Spagna
circa 15 mila a causa di quell’essere pseudo misterioso microscopico e
impenetrabile, dagli effetti di quella che ormai è considerata una pandemia. È
una conta che fa rabbrividire ed inquieta l’animo di tutti, ma soprattutto di
tutti gli operatori sanitari. La nostra particolare attenzione (che in questo
caso non vuole essere di parte) si sofferma sui medici e sugli infermieri, e
non la si intenda con la mera affermazione: “è il loro dovere”, perché
è pur vero che il loro operato rientra nel dovere professionale ma lo stesso va
ancora al di là e, anche ciò, preciso, non sia da intendersi come l’atto stoico
di ognuno; bensì in un atto di eroismo in quanto ciascuno di loro è stato ed è
oggetto di rinuncia e sacrificio. Personalmente, come biografo e opinionista sono
stato sempre critico nei confronti di chi attribuisce il valore di “eroe” a coloro
che hanno compiuto una particolare buona azione, che peraltro non sempre è
indice di eroismo, ma per questi operatori che 24 ore al giorno sono sul fronte
per combattere un nemico “invisibile”, è opportuno derogare e il mio ideale
riferimento richiama la filosofia e l’etica del buon agire del premio nobel per
la Pace, il filantropo Albert Schweitzer (1875-1965). Curare un malato e
lottare per salvargli la vita a discapito della propria, richiama altresì il
concetto “rispetto per la vita”,
proprio come lo ha inteso nella pratica il medico alsaziano. In questi
frangenti il medico e l’infermiere per i loro pazienti diventano non solo
curanti ma anche i loro confidenti e portatori di serenità, se non anche “angeli
custodi”, nel senso della protezione e del non abbandono sino al loro ultimo
respiro… A questo riguardo, a mio parere, esplicito è l’aforisma del medico e
scrittore Vito Cagli (1926), che testualmente recita: «Solo l’incontro del medico con il suo il soffermarsi dell’uno sul corpo
dell’altro, il loro parlarsi ed ascoltarsi, aprono la via per restituire al corpo malato, oltre che la possibilità
di venire correttamente inteso e curato, la dignità di venire accettato come
entità sofferente e non soltanto come portatore di un organo da riparare». E
noi, concittadini e connazionali che al momento (a mio avviso per volontà del
destino) siamo al di qua della barricata, cosa possiamo fare? Non credo ci
siano molte risposte, tuttavia si può dimostrare un minimo di generosità ma
soprattutto di comprensione, e non credo che sia un “semplice” applauso
rigorosamente plateale ad essere di incoraggiamento, bensì una attestazione,
verbale o scritta, affinché rimanga tra i loro ricordi ed estensibile ai
posteri quale esempio di vita spesa per il prossimo… da imitare per il buon
prosieguo dell’esistenza umana. L’esperienza di chi ha vissuto e di chi vive
accanto a chi soffre, soprattutto come in questa circostanza, io credo che non
potrà mai suscitare confronti di qualsivoglia natura; un’esperienza il cui acme
potrà vedersi raggiunto nell’aver saputo rispondere con un sorriso e una
carezza al malato… il vero protagonista del massimo valore esistenziale!
La foto è tratta da La Stampa
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