IL
VALORE E L’IMPORTANZA DI BEN INFORMARE
L’etica
riguarda non solo i professionisti dell’informazione
ma anche
i “liberi” divulgatori e frequentatori dei vari social
di Ernesto Bodini
Tutti i mezzi di comunicazione, proprio per la
loro struttura comunicativa e con il loro contenuto, spesso modificano la
nostra percezione della realtà, o meglio, della reale cultura spesso
condizionando la nostra capacità interpretativa. Oltre ad informare i media
sono agenti di socializzazione cui corrispondono l’apprendimento di valori, di
modelli culturali e di comportamento della collettività. Se prima i principali
enti di socializzazione erano la famiglia e la scuola, oggi (ma non solo
recentemente) nella nostra società assume sempre più importanza la
comunicazione di massa, volta alla massima socializzazione di tutte le
generazioni ma spesso con un divario di intese che farebbe commentare. Da ciò
deriva che informazione è fornire una serie di notizie, comunicazione è farle
pervenire a destinazione nel modo più opportuno. Fra queste spicca l’interesse
della collettività (ma solo in parte) soprattutto oggi, per le notizie in
materia di salute e sanità, e quindi per gli sviluppi della scienza medica;
argomento di particolare diffusione per via della situazione endemica che
stiamo vivendo. In effetti se ne parla molto anzi, fin troppo, e non c’é testata giornalistica (cartacea e televisiva), come pure i vari social, che non
ci aggiornino sul continuo evolversi di tale dramma ormai planetario. Sul
fronte medico-scientifico e storico-culturale molteplici sono gli esperti che
si spendono facendoci conoscere le loro teorie, supposizioni e alcuni
azzardando anche previsioni; ma va rilevato che oltre ad essere un
“stillicidio” quotidiano, l’acquisizione di queste notizie così ridondanti produce
confusione non solo tra i lettori comuni ma anche tra gli stessi addetti ai
lavori. L’informazione è certamente un diritto-dovere di chi la deve fare e la
stessa contribuisce ad incrementare la conoscenza, e questo deve essere sì in
linea coi tempi ma non suscitare incertezze, perplessità ed eccessivi
allarmismi. Ciò implica etica e deontologia e tanto più è corretta
l’informazione maggiore sarà il coinvolgimento sociale per aver suscitato
interesse e credibilità. Mentre chi scrive per una testata giornalistica
generalmente segue le “direttive” di un editore (politicizzato o meno), chi
scrive invece sui vari social come Facebook, YouTube, Instagram, Twitter e
Linkdin, non necessariamente è un giornalista ma non per questo deve avere
quella libera “liceità” di divulgare fake news o informazioni che possono in
qualche modo condizionare (o volutamente orientare) il pensiero del lettore,
per il solo fatto di essere detentore di un sito o di un blog, oppure di… non
essere controllato dagli Organi preposti. Va da sé che un qualunque testo,
giornalistico o meno, deve garantire contemporaneamente attendibilità delle
fonti, leggibilità, credibilità e capacità di interessare il lettore: saper
comunicare significa prima di tutto saper trasformare ciò che si vuol dire in
ciò che il pubblico vuol sapere, ma su questo aspetto, siamo sicuri che tutti i
lettori (specie dei siti online) vogliono leggere una notizia scritta con un
certo crisma, e non infarcita di vocaboli e sottintesi di dubbia moralità al
solo fine di appagare il proprio ego? Se per il giornalista accreditato esiste
un’etica ed un codice deontologico al quale attenersi, per il divulgatore
comune non c’è etica che tenga, ancorché libero da un codice deontologico in
quanto non rappresentante una professione. E quindi, a mio avviso, non c’é etica per i non pochi che si dilettano sui vari social a scrivere con ironia e
allusioni concetti di discutibile liceità… fortunatamente non di carattere
scientifico. Ma questo aspetto meriterebbe davvero una dissertazione a parte. E
anche se esiste la libertà di parola non è detto che essa rispetti la libertà
di pensiero, non solo di chi scrive, ma anche di chi legge!
L’immagine
è tratta da Network Service
Commenti
Posta un commento