IL BISOGNO ”FORZATO” DELLA
SOLITUDINE
Un bene da valorizzare ed apprezzare soprattutto oggi, che è anche
tempo per meditare
di Ernesto Bodini
Non c’è nulla da fare: oggi,
più di ieri, l’esigenza della solitudine si impone a ciascuno di noi perché è
lui che comanda, il famigerato e odiatissimo nemico virale; un forzato
isolamento che per molti versi condiziona, modificandole, le nostre relazioni
sociali con i pro e i contro. Relativamente agli aspetti negativi si possono
immaginare quali possono essere le eventuali conseguenze, e quali invece gli
aspetti positivi della solitudine (sia pur forzata) di medio-breve o lunga
durata? Io credo che non tutti, in questo periodo, si siano dati la briga di intravedere
ed apprezzare quali benefici può portare la solitudine, limitandosi a
rimuginare su se stessi senza trovare un minimo senso di pace e di serenità.
Ecco che allora ci può venire in aiuto Arthur Schopenhauer (1788-1860 nell’immagine),
la cui obiettività ci rammenta che ogni vita di società richiede
necessariamente un reciproco adattamento e temperamento delle esigenze e,
quella imposta dalla “segregazione forzata” sociale, ne è palese esempio; una
sorta di invito ad essere interamente se stessi… almeno finché si è soli, e chi
non ama la solitudine probabilmente non
ama neppure la libertà perché si è veramente liberi quando si è soli. «In generale – afferma uno dei maggiori pensatori del XIX secolo e dell'epoca moderna
– ognuno può essere in “perfetta armonia”
soltanto con sé stesso; non con il suo amico, non con la sua amante, perché le
differenze di personalità e di temperamento comportano sempre una sia pur
leggera dissonanza. Per questo, la vera profonda pace del cuore e la perfetta
tranquillità dell’animo, questo supremo bene terreno, accanto alla salute, si
trovano soltanto nella solitudine, e come condizione psicologica durevole solo
nella vita più appartata». Considerazioni apparentemente coercitive, forse,
ma sicuramente non sono prive di quella logica che ci induce a considerare
ulteriormente che per quanto l’amicizia, così come l’amore e il matrimonio possano
legare strettamente gli uomini, ognuno è tutto sommato completamente sincero
con se stesso. Se tutto ciò può essere letto come imposizione, ben venga
soprattutto verso coloro che sono refrattari ad ogni disciplina, come quei
giovani (o meno giovani) che non solo condizionano la vita sociale del prossimo,
ma non sanno dare nemmeno un minimo significato a se stessi, come se la loro
vita fosse padrona del loro egocentrismo… per poi perdersi nel nulla. Quindi, secondo Schopenhauer, «una disciplina importante per i giovani
dovrebbe essere imparare a sopportare la solitudine, perché è fonte di
tranquillità interiore e di felicità. Da tutto ciò ne consegue che sta meglio
di tutti chi ha fatto assegnamento solo su stesso, e che può essere se stesso
totalmente». Ma per rinverdire queste razionali considerazioni di questo
filosofo, è necessario subire la violenta intrusione di un virus? A mio avviso
credo di si, anche se ovviamente non c’era da augurarselo, perché in questo
frangente sinora nessuno ha fatto cenno alla utilità, extra provvedimento
istituzionale, della solitudine… sia pur forzata. Ma come si suol dire, non è
mai troppo tardi e ben venga, dunque, questo periodo di isolamento collettivo
(anche se di fatto, purtroppo, non è totale), ulteriore occasione per
ripensamenti e passare in rassegna ciò che si è fatto (o non si è fatto) per se
stessi e soprattutto per gli altri, e per il comportamento di ognuno solo il
tempo è galantuomo. Ma vorrei concludere con questi pochi versi del Petrarca
per spiegare il suo intenso e costante amore per la solitudine: «Cercat’ho sempre solitaria via/le rive il
sanno, e le campagne, e i boschi/per fuggir quest’ingegni storti e loschi/che
la strada del cielo hanno smarrita».
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