L’UMANITÀ
DI FRONTE ALLE CALAMITÀ E L’ESTREMO
IMPEGNO DEGLI OPERATORI SANITARI
Brevi
considerazioni di un giornalista che ha vissuto alcune realtà sanitarie in
tempi… meno cruciali per la collettività. Un accorato pensiero e una dedizione per
tutti gli operatori impegnati oltre il valore della propria esistenza…
di
Ernesto Bodini
Come
ogni Era anche l’attuale fa e farà storia, anche per la pandemia in corso
(COVID-19) di cui non si conosce la fine, soprattutto per il nostro modo di
fronteggiare la stessa osservando i relativi provvedimenti comportamentali, e
con il nostro modo di essere solidali in particolare nei confronti di tutti gli
operatori sanitari. Di primo acchito può sembrare banale e retorico questo modo
di introdurre l’argomento che, dal canto mio come cittadino e come divulgatore
vorrei sviscerare, o ancor meglio approfondire; ma ritengo possa essere utile
apportare qui il mio modesto contributo in perfetta coscienza di quanto si è tutti
fortemente condizionati da un diverso modo di vivere e, come ripeto, dalla
presa di coscienza dell’immane sacrificio di chi è preposto a curare chi si
ammala. A tutti i sanitari in regime contrattuale si sono aggiunti (e si vanno
aggiungendo) altri colleghi già in pensione, ed ora sono richiesti anche i neo
laureati e tutti (medici generici e specialisti, infermieri, farmacisti,
tecnici di radiologia medica, psicologi, volontari, Forze dell’Ordine, etc.); costituiscono
un piccolo esercito per combattere un nemico che, al momento, pare fare la
parte del leone. Ma ogni combattente per affrontare il nemico e da lui difendersi
e difendere deve essere dotato delle armi essenziali, in assenza o carenza
delle quali è destinato a soccombere… E come è logico che sia, ogni esercito ha
dei comandanti in capo e dei sottoposti per imporre le direttive più
strategiche che, in questo caso, sono i nostri governanti più o meno “illuminati”
e responsabili per ogni decisione strategica pianificabile e pianificata con la
consulenza di mirati esperti nelle varie competenze e, da questo punto di
vista, non possiamo che osservare le loro direttive auspicando l’imposizione collettiva
tout court… senza remora alcuna. In tutto il territorio nazionale per questa
epidemia in ambito sanitario ogni giorno uomini e donne giovani e meno giovani non
si risparmiano per rischio e fatica, oltremodo perfettamente coscienti di
potersi trovare nella condizione di smettere il camice per indossare il
pigiama, e magari di aver salutato (più o meno consapevolmente) per l’ultima
volta i propri cari prima di andare a compiere il proprio dovere. Per noi, che
per il momento stiamo “alla finestra ad osservare”, il male è per così dire
minore ma allo stesso tempo non siamo e non dobbiamo essere privi della nostra
dedizione solidale, che ognuno può esprimere a seconda del proprio stato
d’animo dal punto di vista psicologico e delle proprie possibilità materiali.
Quante volte, molti di noi, nel corso della propria esistenza hanno avuto
bisogno dell’opera del medico invocandolo, egoisticamente, come figura amica se
non come angelo custode o addirittura “santo protettore”, e parimenti anche
l’infermiere sempre pronto alle nostre chiamate con il campanello, notte e
giorno? Ciò in un regime di “ordinaria” attività medica e assistenziale, ma in
merito a quella attuale l’esigenza va ben oltre rasentando il carattere dell’eccezionalità, e a questo riguardo siamo
tutti ben consapevoli del valore, che non considero “eroico”, ma di estrema considerazione
ed attestazione per la professione medica che molti considerano la più bella
del mondo! Indossare un camice io credo che il primo valore distintivo lo si
individua non tanto nel candore dello stesso, ma soprattutto nella interiorità
di chi lo indossa ogni giorno che, unitamente alla sua esperienza professionale,
è per noi tutti conforto e in non pochi casi anche il primo approccio
terapeutico. Nel
corso della mia esperienza di giornalista scientifico-divulgativo, in più
occasioni ho vissuto “in diretta” l’attività di medici, infermieri e tecnici
sanitari e quindi in presenza degli stessi pazienti ricoverati per questa o
quella malattia, e sempre con molta umiltà in questi ultimi ho cercato di
leggere nei loro occhi smarriti e in preda all’ansia la speranza di presto guarire
riponendo la loro fiducia nei medici curanti, e negli infermieri la richiesta di un piccolo conforto cercando
la loro mano soprattutto nei momenti di maggior sofferenza dopo un intervento
chirurgico o durante una “dolorante” medicazione. Storie di tutti i giorni per
la stirpe umana spesso accompagnata dalla sofferenza, ma tutti noi abbiamo la
consapevolezza che c’è sempre qualcuno dedicato per assisterci e curarci… sia
pur con dei limiti, e mai come in questo periodo vorremmo vivere un’atmosfera
diversa da quella radicale: o si guarisce o si muore! Queste mie spontanee
considerazioni, anche se per qualcuno possono sembrare scontate, in realtà
vogliono essere la mia vicinanza ideale a tutti coloro che sono sul fronte di
questa endemica emergenza giacché, per ovvie ragioni, non posso condividere “in
diretta” la loro realtà… unicamente
accanto ai loro pazienti e miei connazionali. Nel corso delle mie letture
quotidiane una frase del cardiologo statunitense Bernard Lown (1921), mi ha particolarmente
colpito, affermando che «La scienza può
spiegare come si moltiplica un virus, ma non sa dire perché si versa una
lacrima»; una ovvietà, potrei dire, come quella pronunciata nel corso della
Lettura nel 1985 durante il riconoscimento di un premio Nobel: «La speranza senza azione è senza speranza».
Ed è proprio l’ottimismo che deve incoraggiare sia chi cura che chi soffre!
L'immagine è tratta da Sky TG24
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