UN “DECLINO”
ESISTENZIALE DELL’UMANITÀ?
Nonostante il continuo
evolversi degli eventi non è il caso di drammatizzare, ma di esternare più
ottimismo e un minimo di gratitudine verso chi si sta prodigando nella cura e
nell’assistenza dei malati, ricercatori compresi. Ma anche stimolare di più la
responsabilità di chi governa per meglio coordinare
di Ernesto Bodini
Lentamente
ma inesorabilmente la conta dei positivi, contagiati e dei decessi a causa del
Covid-19 anche tra gli operatori sanitari, medici e infermieri in particolare,
sembra avanzare senza tregua, proprio questi che non hanno voluto “lasciare” al
loro destino i pazienti in cura. Tutti colpiti da quell’invisibile e malefico microrganismo
che fa parte della famiglia dei Coronavirus. Come in tante circostanze analoghe
a quella attuale sono infiniti i commenti che si possono fare, sia pur
ripetitivi ma particolarmente sentiti e tutti accomunati da quell’umana pietas,
come a voler intensificare il valore umano di ogni malato e nel contempo essere
conforto ai loro famigliari e che, nella maggior parte dei casi, non hanno potuto
accompagnare i propri cari nel loro ultimo viaggio… Un dolore nel dolore,
ancorché intensificato da quei numeri come un “pallottoliere” in continuo
movimento; un doveroso aggiornamento non solo statistico-anagrafico ma anche
dalla valenza scientifica per dare una risposta definitiva come interruzione o
termine di tale flagello. Il comparto sanitario impegnato su questo fronte da
oltre due mesi comprende diverse specialità di provata esperienza e dedizione,
tra queste i medici e gli infermieri coordinati da varie figure dal punto di
vista della logistica e della organizzazione e, a monte, da quel corpus
politico sempre più affannato e alle prese con normative (in parte assai
discutibili… anche perché tardive) da elaborare e far applicare tanto per gli
operatori quanto per la popolazione. Inoltre, sul campo e anche distanza non
mancano gli operatori dell’informazione per aggiornare, far sapere e prendere
maggior coscienza di una realtà con pochi eguali... Ma è giusto e utile essere
così martellanti con pluri aggiornamenti quotidiani? A questa domanda i pareri
potrebbero essere diversi, ma tenendo conto di molte persone (in gran parte
anziani) psicologicamente più labili e quindi maggiormente influenzabili,
l’informazione statistica ridondante credo che possa favorire ulteriore
sconforto se non anche pessimismo; mentre invece, c’é bisogno di un maggior invito
alla speranza e fiducia nella scienza medica (ancorché sostenuta da molti
ricercatori), magari un po’ meno nella politica pur rispettandone i ruoli…
anche se alla luce dei fatti è affetta da un incontrollato disorientamento! Quindi,
come vivere questo periodo in cui si è tutti testimoni, diretti o indiretti, di
uno spopolamento e di quell’estremo vissuto professionale di quanti non si
risparmiano per curare e mantene in vita i meno fortunati? Si fa presto a dire
di ricorrere alla Fede e a quel Credo che valorizzano il sacrificio e la prematura
dipartita a “compensazione” Divina; ma intanto questo “ingiusto” modo di vivere
penalizza tutti… democraticamente senza distinzione. La sofferenza che si
manifesta ogni minuto e un po’ ovunque è una sfida antica quanto l’uomo che non
si può negare, ma sicuramente può contribuire a lenire per non cadere tutti nel
baratro della debolezza e dell’angoscia. È pur vero che per quanto nobile è
l’uomo di fronte alle avversità che sembra ridursi nelle sue potenzialità, ma può
contare sull’incoraggiamento e il sostegno fisico e morale di tutti noi,
affinché non si senta mai solo proprio come quei medici e quegli infermieri che
per primi siedono al capezzale del malato sofferente e, sia pur per poco (data
la molteplicità dei casi), sanno creare un’atmosfera di amichevole complicità.
Ecco che lo spendere una parte del proprio tempo e dei propri sentimenti per
dovere o volontariato (poco importa) a favore di quell’altro “io” che soffre, è
sufficiente per creare un ponte tra il loro piccolo mondo e quell’infinito
Universo con tutti i suoi misteri. La continua lotta contro la sofferenza e il
suo diretto responsabile non deve lasciare spazio tra lo squilibrio di potere
di chi è malato e chi lo cura. E noi tutti possiamo sostenere questi operatori con
atti di riconoscenza, qualunque essi siano poiché, come diceva lo scrittore e
biochimico sovietico Isaac Asimov (1920-1992): «La gratitudine è tanto più efficace quando non si perde in frasi vuote».
E vorrei concludere questa prima parte rammentando, a chi di dovere, che di fronte
alla sofferenza e alla morte, solitamente si dovrebbe tendere ad essere tutti
un po’ più buoni, più uniti e solidali mettendo al bando ogni atteggiamento di
rivalità ed egoismo, poiché non è la superbia ma l’umiltà ad avvicinare i
popoli.
A tutti
gli infermieri e le infermiere
So
bene che i confronti e i paragoni
rapportati indietro nel tempo non sempre contribuiscono a sollevare il morale
dei professionisti d’oggi, specie in condizioni di estremo impegno a causa
dell’epidemia. Ma rievocare alcune peculiarità di Florence Nightingale
(1820-1910) credo sia motivo di orgoglio per tutti quelli che hanno scelto la
professione infermieristica, ancorché votata spesse volte all’estremo
sacrificio. Questa fondatrice delle Scienze infermieristiche, di cui quest’anno
ricorre il 200° della nascita, è da rammentare per lo sviluppo della sua indole
filantropica e della sua intera esistenza dedicata ai sofferenti. E ciò in
considerazione delle condizioni degli ospedali agli albori della rivoluzione
igienista, ma anche della grande ispirazione religiosa che ben ha
“accompagnato” la nascita delle scienze post-positiviste e del concetto di
specializzazione della profonda conoscenza, come pure del clima vittoriano che
muta la concezione femminile in pieno periodo di eventi bellicosi, quali la
parentesi di Crimea detta anche Guerra d’Oriente (dal 1853 al 1856). Ci
vollero le sue doti di sensibilità,
meticolosità e determinazione per far fronte alla drammaticità di quegli
eventi, riuscendo ad organizzare al meglio le condizioni igieniche
dell’ospedale, superando nel contempo l’indifferenza, l’ignoranza e le insidie
del contagio (tifo, colera e dissenteria). Per migliaia di sofferenti la sua
apparizione significò la salvezza, e per buona parte di loro si adoperò
aiutandoli anche economicamente e scrivendo lettere ai familiari. Sin da allora
le fu dato il soprannome “La signora della lampada” perché di notte girava
nelle camerate ad assistere i pazienti facendosi luce con una lampada.
L’esperienza vissuta accanto ai molti soldati feriti e morenti, proprio per le
scarsissime condizioni igieniche, diede inizio ad una campagna per migliorare
la situazione aprendo una sottoscrizione per la raccolta fondi con il risultato
che, molti ospedali soprattutto militari, vennero costruiti seguendo le sue
preziose indicazioni. Questo esempio di impegno etico e deontologico è durato
ben oltre mezzo secolo per una professione totalmente dedita ai sofferenti che,
rapportato alla nostra odierna attualità endemica, sicuramente può essere di
incoraggiamento e stimolo per tutti coloro che intendono fare questa scelta
professionale, e nel contempo anche per tutti coloro che nel corso della
propria vita incontreranno “un infermiere” o “una infermiera” che li possa
illuminare con la loro lampada… Un gesto che si confà anche ai giorni nostri,
ben interpretato da Noemi, l’infermiera della Terapia Intensiva dell’ospedale
Martini di Torino che, in un lungo post su Facebook, ha raccontato la video
telefonata (probabilmente l’ultima) tra una figlia e la mamma ricoverata. «Brividi e lacrime di unica emozione»,
ha scritto; non augurando ad alcuno di vedere ciò che stava vedendo in ospedale
nelle ultime settimane.
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